La ricorrenza

Lost è e rimarrà per sempre la nostra costante

Vent'anni fa il primo episodio dell'epocale serie tv firmata da J. J. Abrams – Il nostro omaggio è un rinnovato atto di fede
Massimo Solari
21.09.2024 09:00

Cosa disse il pupazzo di neve all’altro pupazzo di neve? Non lo sappiamo ancora. Ma fa niente. Perché una risposta esiste. Perché l’Isola esiste. E noi l’abbiamo guardata negli occhi. E ciò che abbiamo visto è bellissimo. Lo è anche a vent’anni di distanza dal primo episodio di Lost. A vent’anni di distanza dallo schianto del volo Oceanic 815. Quando tutto ebbe inizio.

Abbracciare la splendida creatura di J. J. Abrams è stato un atto di fede. Lo è tutt’ora, a maggior ragione con le sei stagioni dell’epocale serie tv confluite su Netflix. Tornate a noi. Non se n’erano mai andate, invero. Accompagnando pensieri e citazioni quotidiani. Lost è vivo. E, no, i suoi protagonisti non erano morti dal principio. Guai anche solo a provare a pensarlo.

Certo, non è stato semplice. L’Isola ha messo alla prova pure noi, con i suoi misteri che conducevano ad altri misteri. Figure, cifre, rimandi. Avanti e indietro. E infine di lato, con una realtà parallela plasmata per trovare una casa comune, oltre la morte effettiva. Si vive insieme e si muore soli, ricordate? Come ogni innamoramento, Lost e i suoi discepoli hanno vissuto di fiammate. Clamorose quelle che hanno accompagnato le prime tre stagioni. Minacciate dal vento, e da un caos ricercatissimo in cabina di regia, le seguenti.

«We have to go back!».
«We have to go back!».

La verità, però, è che non ce ne siamo mai andati. Non abbiamo mai voluto farlo. «We have to go back!». Eccome, Jack. Noi arrossiamo ad ammetterlo: abbiamo sempre fatto il tifo per il dottore. Per la sua ostinazione ammantata da una fragilità commovente. Lui, uomo di scienza portato ad abbandonarsi ad altri valori. Al volere dell’Isola. Alla luce indispensabile per evitare che il male avvolgesse e distruggesse il pianeta.

Ma prima che universale, e come spesso accade con le narrazioni più devastanti, è la dimensione interiore dei personaggi ad averci rapito in un modo tanto violento, quanto irresistibile. Mentre le nostre vite si confondevano con gli intrighi dell’Isola, abbiamo sofferto con molti di loro. Come molti di loro. Non tutti. E, manco avessimo il potere di incidere sul capolavoro trasmesso dalla ABC, non abbiamo superato molte scelte. Ci manca Mr. Eko, per esempio. Sì, avremmo voluto trattenerlo ancora un po’. Mentre la catarsi finale di Ben, mah…

E poi? Poi, di tanto in tanto, illusi e nostalgici, ci giochiamo la serie 4 8 15 16 23 42 al lotto. Funzionerà, prima o poi. Ne siamo sicuri. Perciò non avremmo mai smesso di premere quel pulsante. Gli errori di sistema, non a caso, continuano a farci paura. Come terrorizzavano nostro fratello Desmond. Alla fine, però, Penny ha risposto. Ha risposto Des! Anche se non era la sua barca. Ed è stato bello emozionarsi insieme, cullati dalla magistrale colonna sonora di Michael Giacchino.

Poco importa il controverso e criptico finale, dunque. Chissenefrega degli orsi polari, dei quesiti rimasti irrisolti e del debole di Kate per Sawyer, bello e maledetto. Soprattutto maledetto. Lost è e rimarrà per sempre la nostra costante. E, «coso», a vent’anni di distanza dalla prima volta avvertivamo il bisogno di urlarlo di nuovo.

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