Roberto Baggio, l’uomo più che il grande campione

Mondiali di Calcio 1994 negli USA: una cameriera di colore uscendo da una camera, incontra un calciatore straniero che le fa i complimenti per le elaborate treccine della sua elegante pettinatura afro. Lui ha una testa di capelli ricciuti, lunghi e ribelli, ma quando riappare agli allenamenti due ore dopo, ha una serie di perfette treccine afro. «Il mio codino nacque così: per gentilezza e per divertimento, e poi grazie ad un elastico messo alla bell’e meglio per evitare che le treccine mi dessero noia durante la corsa. Mai avrei pensato che sarebbe piaciuto così tanto a tutti da diventare il mio segno distintivo. Adesso le treccine non ci sono più, ma al codino mi ci sono affezionato». Così ci ha raccontato Roberto Baggio, capelli candidi e viso da ragazzo, alla presentazione del film a lui dedicato dal titolo Il Divin Codino, diretto da Letizia Lamartire e da quest’oggi disponibile su Netflix. Non una biografia e neppure un film sul calcio, bensì «un modo per celebrare un atleta, ma soprattutto l’uomo che c’era dietro», come ha puntualizzato in conferenza stampa Sara Furio di Netflix International Original Films che ha ricordato: «All’epoca vivevo a Chicago, ma come tutti i ragazzini di famiglia italo americana, anch’io avevo la maglia e gli scarpini di Baggio ed era per lui che tutti noi in America facevamo il tifo».
Una storia molto americana
Il cinema americano ha sempre avuto un debole per gli uomini capaci di tenere testa al destino beffardo, per i campioni in grado di risorgere dai momenti bui e di lottare per realizzare i propri sogni, e in questo Roby Baggio in fondo non è molto diverso da Rocky Balboa. Quando nel 1985 da giovane promessa, considerato un novello Maradona, dal Vicenza sta per spiccare il volo verso la Fiorentina e una promettente carriera, un terribile infortunio – uno di quelli che all’epoca significavano spesso la fine prematura di qualsiasi sogno di gloria – lo blocca in ospedale e poi in riabilitazione per due anni e gli impedisce di giocare. «I tifosi della Fiorentina mi sostennero in quegli anni difficili», ricorda Baggio. «La gente di Firenze mi voleva bene anche se non avevo ancora mai giocato. Ed io sono stato profondamente grato per questo loro affetto e non l’ho mai dimenticato». E per dimostrarlo, quando, venduto alla Juventus, Baggio dovette lasciare la squadra e la città, portò con sé una sciarpa viola raccattata in campo e, con quel gesto, in fondo si portò via anche il cuore dei tifosi.
È questo il fascino potente e discreto assieme alla fatica, alla tensione, ai sacrifici, il segreto di questo campione del calcio silenzioso e riservato che ha conquistato gli italiani con i fatti, passando di squadra in squadra, affrontando problemi fisici e calcistici, incomprensioni con gli allenatori e, a fasi alterne con le tifoserie, lottando con se stesso e le proprie insicurezze come narra il film Il Divin Codino.
La sfida dell’eroe al destino
«È la sfida dell’eroe con il suo destino sintetizzata in tre momenti della carriera e della vita di Roberto Baggio», hanno raccontato Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo sceneggiatori del film. «Ci sono gli inizi e il drammatico passaggio alla Fiorentina; il cruciale rigore sbagliato di Pasadena al Mundial; e poi dopo il bel periodo al Brescia, in perfetta sintonia con il mitico allenatore Mazzone, la speranza del quarto mondiale in Nazionale: Corea-Giappone del 2002 che però sfuma. Prima c’è un grave incidente al ginocchio a bloccare Baggio e poi una volta ristabilitosi in tempi record, viene lasciato a casa da Trapattoni che all’ultimo ha cambiato idea».
Il filo rosso che unisce tutti questi avvenimenti è il rapporto conflittuale tra Roby, (interpretato da Andrea Arcangeli) e il padre Florindo (Andrea Pennacchi), un uomo umile, che si è fatto da solo e con la moglie Matilde ha allevato otto figli, ma la durezza della sua vita l’ha reso rigido, più incline alle critiche, secondo lui istruttive, che ai complimenti; cieco davanti al bisogno del figlio di essere rassicurato, sia dell’amore paterno che per il suo talento. «Ci sono momenti nella vita di ogni ragazzo», ha confessato Roberto Baggio, «in cui vedi un nemico in tuo padre, nei tuoi genitori, che invece vorrebbero proteggerti insegnandoti a vivere. Ed è una cosa straziante e sbagliata».
«Dai spazio all’emozione»
Un personaggio complesso e un ruolo difficile per il giovane protagonista del film Andrea Arcangeli che, dopo avere passato tante ore a vedere ed ascoltare registrazioni video e audio per «rubare» il modo di muoversi di Baggio; il tono della sua voce dall’accento particolare che il tempo e i trasferimenti di città in città hanno cambiato; si è sentito dire da Roberto alla vigilia del primo ciak: «Basta. Non pensare più a me. Hai fatto tutto quello che dovevi e potevi fare. Adesso tocca a te, vivi quest’occasione che è solo tua. Dai spazio all’emozione che senti». E anche se non è lui nelle sequenze delle partite che vediamo, Arcangeli riesce a trasmettere allo spettatore quella passione, quello struggimento che lo catalizzano sino alla fine, davanti alle continue «discese e risalite», vittorie e sconfitte di un fuoriclasse che si porta dentro ancora l’amarezza di quel rigore sbagliato, sognato sin da bambino, ma che saputo lo stesso costruirsi una carriera ed una vita fuori dall’ordinario.