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Sì, in Bridgerton c'è anche una prospettiva storica

Amanda Vickery, docente alla Queen Mary University of London, ha condiviso la sua esperienza come consulente della serie: «Gli anacronismi? Sono intenzionali»
© Netflix
Marcello Pelizzari
13.06.2024 18:30

All'epoca, nel 2020, in piena pandemia o quasi, Bridgerton fece parlare (e pure molto) di sé. Per due caratteristiche apparentemente in contrapposizione fra loro: la serie, infatti, appariva allo stesso tempo sofisticata e pacchiana, a tratti troppo pacchiana. Di qui, beh, il suo successo. La serie, ieri come oggi, è una creazione di Shonda Rhimes. Un nome importante, per il settore. Come importante è la fonte di ispirazione: i romanzi d'amore di Julia Quinn, ambientati durante la cosiddetta Età della Reggenza. Fra il 1811 e il 1820, indicativamente, anche se la tendenza è quella di considerare un arco temporale più ampio (dal 1795 al 1837). Sin dalle primissime puntate, per contro, alcuni critici televisivi avevano puntato il dito contro la presenza di attori afrodiscendenti. Una bestemmia, rispetto al periodo descritto caratterizzato dalla presenza di un'élite bianca e razzista. All'epoca, lo showrunner Chris Van Dusen disse che, ai suoi occhi, Bridgerton doveva essere il più possibile vicina al mondo in cui viviamo noi. Quello del ventunesimo secolo, per intenderci.  

Allargando il campo, molti spettatori si sono chiesti, da un lato, quanto le vicende narrate fossero rispettose della realtà storica e, allo stesso tempo, se Bridgerton beneficiasse di un lavoro di ricerca, in questo senso. Certo, per dirla con il New York Times è difficile immaginare che una serie capace di (ri)proporre Yellow dei Coldplay come marcia nuziale abbia bisogno di storiche e storici a mo' di supporto e guida. E invece, proprio il quotidiano statunitense ha rivelato che, per questa terza stagione, con la seconda parte di puntate appena uscita su Netflix, il ruolo di consulente storica è stato affidato ad Amanda Vickery, docente alla Queen Mary University of London, nel Regno Unito. In precedenza, era stata l'amica e collega Hannah Greig, della Royal Holloway, a ricoprire il ruolo. 

Bridgerton, ha spiegato Vickery al New York Times, non punta certo all'accuratezza. Il suo essere una storia romanzata, per contro, cerca comunque una «comprensione del periodo». Detto in altri termini, la serie fa delle scelte. Scelte che non possono passare per o essere lette come errori storici. «Se lo show si discosta dal periodo storico o dai fatti, lo fa in maniera intenzionale e consapevole». Per il resto, Bridgerton cerca – davvero – di essere fedele alla Storia con la S maiuscola. Tant'è che il team creativo è composto altresì da un consulente dei dialoghi, John Mullan, un altro professore, chiamato a rendere gli scambi di battute degni del linguaggio dell'epoca.  

Vickery, dal canto suo, è intervenuta anche per offrire contestualizzazioni ad ampio respiro. Ad esempio, le è stato chiesto quale fosse lo status sociale di una vedova durante l'Età della Reggenza. «Ma il mio obiettivo non è quello di fare la maestrina e, se caso, mandarli a quel paese». No, l'obiettivo è fornire suggerimenti che possano aiutare la trama e i personaggi a svilupparsi. Quanto agli anacronismi, pure quelli sono intenzionali e consapevoli. In Bridgerton è sempre primavera. E, per un Paese come il Regno Unito, il clima è incredibilmente secco e asciutto. Di più, le donne godono di autonomia e, come detto, molti afrodiscendenti occupano ruoli chiave nella società. Basti pensare alla regina Carlotta, interpretata da Golda Rosheuvel. Sebbene più di uno storico abbia ipotizzato che Carlotta, quella vera, potesse avere un aspetto simile, questa teoria è stata poco accettata dalla maggior parte degli studiosi. Vickery, fra le altre, ha notato come in realtà Carlotta fosse vista come eccessivamente tedesca e noiosa nelle cronache dell'Ottocento.

Al di là delle licenze poetiche, dicevamo, Bridgerton sin qui si è dimostrato molto fedele e rispettoso dell'epoca. I balli, scrive sempre il New York Times, erano stravaganti. E c'era pure del sesso, leggiamo. Il suo carattere giocoso, se così vogliamo definirlo, ha certamente fatto arrabbiare più di uno spettatore. A maggior ragione se consideriamo che, fra i critici, c'è chi non ha completamente compreso il senso di diversificare l'aristocrazia di quegli anni senza considerare il colonialismo e, di riflesso, il razzismo. In termini di politica o geopolitica ante litteram, invece, poco o nulla viene detto delle guerre napoleoniche o, pensando alla sola Inghilterra, della rivoluzione industriale. «Ma non è quello che Bridgerton sta cercando di fare» ha chiarito la storica. «Questo è uno show incentrato sul piacere femminile». Tutto qui. La docente, come spettatrice, ha spiegato di non sentirsi mai a disagio di fronte a un chiaro anacronismo o a un fatto non riportato fedelmente. Proprio perché, vista la natura e visto lo scopo della serie, bisogna aspettarsi deviazioni dal sentiero principale. 

Il vero merito di Bridgerton, venendo alla Storia con la S maiuscola, è stato quello di aprire una finestra sul periodo a molti spettatori interessati. Spettatori che, a loro volta, si sono poi cercati da soli le informazioni. Quali altri show possono dire di aver fatto altrettanto? Vickery, concludendo, ha detto che questa consulenza l'ha arricchita in quanto storica. Anche perché le domande poste dagli sceneggiatori, riguardanti la moda e il galateo, spesso sono legate a doppio filo a temi più ampi come il potere e la reputazione. 

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