L'annuncio

Ted Lasso torna per una quarta stagione: e non potremmo essere più felici

L'allenatore di football americano prestato al calcio sarà nuovamente protagonista della fortunata serie targata Apple TV+
© Reuters
Marcello Pelizzari
14.03.2025 16:30

Ora è ufficiale: Apple TV+ ha dato il via libera a una quarta stagione di Ted Lasso. E, credeteci, non potrebbe esserci notizia migliore. Nel campo delle serie TV, ma anche oltre. Non tanto, o non solo, perché siamo appassionati di calcio. Ma perché stiamo parlando di un vero e proprio inno alla gentilezza. Che, inevitabilmente, conquista il cuore. Di per sé, al momento non sappiamo molto di più su trama e personaggi. Tornerà, questo sì, Jason Sudeikis, nei panni appunto di coach Lasso, un allenatore di football americano prestato a quello che gli americani chiamano soccer. E ritrovatosi, dall'oggi al domani, a Londra. Salvo poi fare rientro in Kansas dopo aver scalato i vertici della Premier League – attenzione: spoiler – con l'obiettivo di stare vicino a suo figlio. 

Prima di addentrarci nelle meraviglie delle prime tre stagioni, contestualizziamo un filo: Ted Lasso ha debuttato nel 2020 mentre la terza ondata di puntate è andata in onda nel 2023. Ha sfruttato, indubbiamente, la particolarità del periodo – leggi pandemia – per crearsi un pubblico ma, al contempo, ha saputo, grazie a una scrittura notevole, entrare con forza e leggerezza nell'immaginario collettivo. Distinguendosi e per profondità e per sentimenti veicolati.

Ci sono serie che strappano risate a ripetizione. Altre, invece, che fanno riflettere e perfino piangere. Ted Lasso fa entrambe le cose. In maniera, a nostro giudizio, magistrale. E sfruttando un equilibrio invidiabile. Le puntate, in realtà, sono piccoli, grandi viaggi emotivi. All'interno delle personalità che compongono lo show. E dire che, quando Apple TV+ ha lanciato la serie, il pubblico credeva di affrontare una semplice, finanche banale commedia sportiva. Dalla trama perfino scontata, all'insegna dell'incontro-scontro di culture – sportive e non – fra Stati Uniti e Regno Unito. Il calcio, però, è semplicemente un pretesto. Per parlare d'altro, pur con una certa retorica che a tratti può apparire stucchevole. Ted Lasso, il personaggio, è l'emblema dell'ottimismo ma anche della fragilità umana, della felicità (spesso solo di facciata) come pure dei dolori. Della resilienza, per quanto questa parola sia abusata. E della capacità di rialzarsi.

In un mondo, in primis quello sportivo, che fatica maledettamente ad aprirsi e a parlare di determinati temi, Ted Lasso, con i suoi baffi da sparviero impregnati di birra, riesce ad affrontare l'ansia, la depressione, la solitudine, l'insicurezza. Il panico, anche. Ed è proprio l'evoluzione del protagonista, a ben vedere, il centro e la forza della serie. Perché, diciamocelo, Ted è come noi. Un ottimista, talvolta ingenuo, che usa l'arma del sorriso e della gentilezza come scudo. Del tipo: quanto è difficile affrontare i propri demoni. Nella seconda stagione, in particolare, Lasso è costretto a confrontarsi con i suoi continui e ripetuti attacchi di panico. A chiedere aiuto, altro tabù del nostro tempo. Lo fa con una sincerità disarmante, lasciandoci in lacrime e costringendo, pure noi, a confrontarci con ciò che siamo e con ciò che temiamo maggiormente.

Ma non è solo Ted a emozionare. Ogni personaggio affronta battaglie personali che colpiscono lo spettatore: Rebecca, la proprietaria del Richmond, il club in cui Lasso allena, teme di non essere abbastanza ed è costantemente alle prese con le scorie di una (passata) relazione tossica, mentre Roy Kent scopre che la rabbia non è il solo modo per affrontare il mondo là fuori, a maggior ragione una volta appesi gli scarpini al chiodo. E ancora: Jamie Tartt, la superstar, si riscopre sensibile e a sua volta ferito, complice un padre abusivo.

Ted Lasso, concludendo, fa ridere e piangere. Quasi negli stessi momenti. Fa ridere e piangere perché è una serie vera, sincera, al netto – dicevamo – di un uso forse esagerato della retorica e del buonismo a ogni costo. Ma, alla fine, al netto dei difetti è un prodotto che racconta la vita, le nostre vite, senza filtri, con tutte le sfumature e le sfaccettature del caso. Questa serie, come hanno sottolineato in molti, ci ricorda che anche le persone più solari e apparentemente felici nascondono feroci battaglie interiori, che la crescita passa (anche) dagli errori e che, talvolta, chiedere aiuto è l'atto di coraggio più grande. O l'unica opzione possibile, per quanto sia complicato ammettere di avere bisogno dell'altro.

E poi c’è la gentilezza, già. Non ingenuità, non buonismo (o non solo come detto) e non superficialità. Gentilezza, sì. Che sa essere forza, perfino trainante, in un mondo dominato dal cinismo. Quanti insegnamenti, fra una scena e l'altra, pensiamo ad esempio alle riunioni dei cosiddetti Diamond Dogs, e quanta vita.

Ted Lasso scalda i cuori. Epperò li spezza pure. All'improvviso. Senza un accenno o un segnale. È una storia di luci e ombre, di ottimismo e disagio, di famiglia. Quella che crei ma poi si sfascia, quella in cui ti ritrovi da un momento all'altro per poi lasciare, alla fine di un percorso, per non essere etichettato come un padre assente. O, ancora, per non far pesare al figlio gli errori commessi. È una storia di seconde chance, di empatia e di crescita. Personale e di gruppo. È, soprattutto, un bigliettino appeso da qualche parte che ci ricorda un assioma potentissimo: essere gentili non significa essere deboli. Anzi. Bentornato, coach.