Tradizioni pasquali: è nato primal’uovo, il coniglio o la colomba?

È nato prima l’uovo, la colomba o il... coniglio? La domanda sorge spontanea passando davanti ai dolciumi che fanno bella mostra nei negozi in queste forme, tutte egualmente additate a simbolo della Pasqua, la festa principe della cristianità. Sono insomma le uova di cioccolata, o i coniglietti l’emblema della Pasqua, oppure il titolo spetta alle dolci colombe o ancora ai saporiti piatti a base di agnello e capretto, tutti facenti parte dell’iconografia della ricorrenza? Per dare una risposta al quesito bisogna fare un lungo salto a ritroso nel tempo, addirittura all’epoca in cui la Pasqua... neppure esisteva. In pratica a migliaia di anni fa e alle popolazioni che abitavano buona parte dell’Europa continentale, i Celti, la cui religiosità era legata alla natura e ai suoi cicli, da loro sottolineati con varie cerimonie religiose e sociali.

Tra questi, appunto, il ritorno della Primavera, stagione da loro identificata con la dea Eostre il cui nome (che ancora oggi sopravvive nella denominazione anglosassone della Pasqua – Easter/Ostern) deriva da “aus”- “aes” e cioè Est. Eostre era una divinità legata al sole nascente e al suo calore che in Primavera torna a riscaldare la terra dopo il freddo invernale rendendola fertile: una dea che all’inizio della stagione, veniva venerata scambiandosi uova “sacre” sotto l’albero ritenuto “magico” di ogni villaggio. Il perché dell’uovo non era casuale: la Primavera è infatti il periodo durante il quale gli uccelli depongono le proprie uova, regalando agli antichi cacciatori un prezioso sostentamento dopo l’austerità dell’inverno. Per i Celti dunque l’uovo divenne potente talismano di fertilità e di vita: un alimento con cui celebrare la rinascita del sole e il ritorno delle stagioni dell’abbondanza.

L’uovo, tuttavia, ha avuto un alone di sacralità anche presso molte altre antiche popolazioni. Gli antichi Egizi, ad esempio, lo consideravano il fulcro dei quattro elementi dell’universo (acqua, aria, terra e fuoco). Stessa considerazione godeva anche tra i Persiani, i primi nell’area indoeuropea a diffondere la tradizione dello scambio di uova di gallina all’avvento della stagione primaverile, poi imitati dai già citati Egizi e dai Greci, ma anche da indiani, cinesi e da molti altri popoli per i quali l’uovo rappresentava la “ripetizione della nascita esemplare del Cosmo, l’imitazione della cosmogonia”.

Ma torniamo ai Celti: se l’uovo era il mezzo utilizzato per omaggiare Eostre, la stessa veniva raffigurata con le sembianze di una lepre o di un coniglio, figura anche in questo caso non scelta casualmente ma per due ragioni: per le famose doti riproduttive di questi animali e perché, secondo la loro tradizione, le aree nere della luna rappresenterebbero proprio una lepre, sancendo così la sacralità dell’animale. Uova e conigli dunque non sono altro che un’eredità che le antiche religioni pagane hanno lasciato al Cristianesimo il quale, come in altre ricorrenze (vedi il Natale e Ognissanti) non ha fatto altro che sovrapporre i propri riti a quelli già esistenti, adottandone le simbologie alle proprie esigenze.

Anche un altro simbolo pasquale – l’agnello o il capretto – è riconducibile all’antico culto eostriano. Gli ovini infatti, errando nei boschi, sono soliti rosicchiare le cortecce degli alberi danneggiandoli notevolmente. Siccome, secondo i Celti, solo un dio della vegetazione poteva nutrirsi della sua creazione, l’animale che compiva questo gesto doveva giocoforza avere la sua benedizione e dunque era sacro. Come nel caso delle uova, l’uomo antico, mangiando la carne dell’animale, credeva di acquistare e assorbire una parte di divinità. Pertanto il cibarsi di animali sacri, soprattutto durante i rituali celebrativi del dio in questione, si trasformava in un sacramento solenne. Un rituale, questo, poi diffusosi presso molti altri popoli tra cui quello ebraico (mangiare un agnello è parte integrante della Pasqua ebraica – la Pesach, che ricorda la liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto durante la quale Dio ordinò al popolo “di uccidere un agnello, segnare con il suo sangue lo stipite della loro abitazione e poi consumarne le carni”) e successivamente tra i cristiani per i quali la Pasqua è la celebrazione del ritorno alla vita del Cristo dopo la sua passione e la sua morte: un Gesù, guarda caso, definito dalle Scritture come “Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo...”
La colomba pasquale: questione di business...

Se l’uovo in quanto simbolo pasquale ha origini antiche, più recente è la tradizione della colomba pasquale. La sua data di nascita è il 1934, il luogo è Milano ed il suo “papà” è Dino Villani, pubblicitario veneto in forza all’industria dolciaria Angelo Motta. Lì, vedendo che i macchinari utilizzati per produrre i panettoni non venivano utilizzati al di fuori del periodo natalizio, Villani pensò di sfruttarli per creare un dolce destinato alla Pasqua: la forma di colomba gli fu suggerita da dolci tradizionali siciliani chiamati palummeddi o pastifuorti che però si differenziavano in quanto a componenti: l’impasto originale della colomba milanese è infatti a base di farina, burro, uova, zucchero e buccia d’arancia candita – come il panettone, dunque – con una ricca glassatura alle mandorle.

Il dolce, dopo essere stato lanciato dalla Motta, fu ripreso da altre aziende diffondendosi rapidamente sia in Italia che in molti altri Paesi e il suo successo favorì poi (un po’ come per il panettone) il fiorire di una serie di finte leggende sulla sua origine. Le più popolari riportano al re longobardo Alboino che durante l’assedio di Pavia (VI secolo) si vide recapitare una simile dolce offerta di pace, e alla regina longobarda Teodolinda e al suo confessore, il santo abate irlandese Colombano, che avrebbe trasformato in pasta i volatili arrosto preparati dai cuochi reali così da dribblare l’osservanza quaresimale di non cibarsi di carne.

Ulivo, eterno simbolo di pace

La Pasqua, tra i suoi molti simboli ha anche quello dell’ulivo, albero che sin dai tempi più remoti è considerato simbolo di pace. Nella mitologia greca si narra che già la dea Atena lo offrì agli ateniesi in segno di pace dopo aver sconfitto Poseidone. L’ulivo compare poi in molti racconti biblici: è tra il becco della colomba che ritornò da Noè dopo il diluvio; è nell’Orto del Getsemani dove Gesù si recò a pregare la notte del suo arresto, e ramoscelli di ulivo erano tra le mani della folla festante che osannava Gesù al momento del suo ingresso nella città di Gerusalemme (pochi giorni prima che fosse crocifisso). La tradizione vuole inoltre che la Croce sia stata fatta di legno d’ulivo, divenuto in tal modo l’albero cosmico, asse del mondo e collegamento tra il cielo e la terra. Ma dall’olivo si produce anche l’olio utilizzato per ungere i nuovi cristiani che in tal modo vengono liberati dal peccato entrando così nella “societas” cristiana.
