La riflessione

Troppi avverbi? Assolutamente

L’evoluzione della lingua parlata ha favorito l’inserimento nelle nostre conversazioni di una serie di termini spesso utilizzati in modo esagerato, smodato e totalmente al di fuori del loro contesto originario ma che riflettono le tendenze del momento
Roberto Cotroneo
10.02.2021 21:36

Il grande Aby Warburg diceva che il buon dio si nasconde nel particolare. Aveva ragione naturalmente: è nei particolari, nei dettagli che si capiscono le cose. Ed è nei particolari che troviamo delle spiegazioni ampie di quanto stiamo vivendo e di quanto stiamo attraversando. I linguaggi, ma questo è noto, cambiano nel tempo: muta il modo di parlare, si coniano neologismi, persino la maniera di costruire le frasi risente del tempo che stiamo vivendo. Ad esempio è sempre più diffuso uno scrivere utilizzando periodi brevi, alle volte fatti di una parola o due soltanto, perché dà velocità, perché rende tutto più nitido e più intenso. Generalmente preferisco frasi comprensibili, ma più ricche, ma non c’è nulla di male, e buona parte dei vecchi errori che le maestre di un tempo segnavano con la matita blu, oggi sono diventati di uso corrente. Ma qui non si tratta di errori, qui si tratta di un’altra cosa: ovvero dell’uso smodato, ed è proprio il caso di dirlo, degli avverbi. E in particolare di un avverbio. Un uso molto interessante perché ci spiega chi siamo e chi siamo diventati molto di più di mille saggi sociologici. Parlo di «assolutamente». Deriva da «assoluto», e su di esso il dizionario di italiano della Treccani dice: «Senza limitazioni o restrizioni, in maniera assoluta». Si tratta di un avverbio che non ha un significato positivo o negativo, ma dipende dal contesto, al punto che sarebbe preferibile aggiungere un sì oppure un no. Sei d’accordo su questo? Assolutamente sì. Ti piacerebbe andare in campagna? Assolutamente no. Ma non si fa. Oggi «assolutamente» è un termine emotivo, è un moto delle passioni, è lanciare il cuore oltre l’ostacolo. È affermare la propria identità. Lo mettiamo il peperoncino sulla minestra? Assolutamente. Vorresti raggiungere quel risultato? Assolutamente. Sogni di tornare dove hai passato l’infanzia? Assolutamente.

Una parola «glamour»
Assolutamente viene usato in modo glamour. In modo af-fermativo e quasi mai negativo. Perché suona in modo affascinante, perché non lascerebbe spazi di ambiguità (e invece li lascia eccome, perché tuttora rimane nell’uso sia per il positivo che per il negativo). Assolutamente rende tutto più interessante in un mondo fragile e incerto. E non solo: assolutamente è anche sufficientemente vago per non dare l’idea che tutto sia preciso e definito. Cosa c’è dietro un assolutamente? C’è un mondo interiore, c’è l’assoluto, c’è l’esserci, c’è il non avere dubbi e non per grettezza e superficialità, ma per scelta, per decisione, per coraggio. Questo avverbio è entrato nel linguaggio in modo diffuso perché rispecchia le nostre paure, è una sorta di mantra, di grido di battaglia che dovrebbe scacciare i dubbi, che testimonia temperamenti passionali, che dice: qui c’è qualcuno che sa cosa scegliere, sa quello che gli piace, non si tira indietro, e non lascia spazi ai dubbi. È capace di scelte coraggiose.

Le risposte di Mike Bongiorno
Negli anni Settanta, un tempo storico anche quello non proprio semplice, si impose un altro avverbio. Merito di un programma di quiz di Mike Bongiorno, Rischiatutto. I concorrenti dovevano rispondere «esattamente» alle domande. E le risposte erano esatte o errate. Un mondo manicheo dove dire esattamente era un modo per certificare qualcosa di indiscutibile. La risposta era quella, il mondo era così, non c’era il pressappoco, non c’era il forse. Se tutto andava come doveva allora era «esattamente» così. Di esatto in questo mondo, e questo i matematici, i fisici, gli scienziati lo sanno assai bene, non c’è nulla. Una lieve approssimazione, una leggera imprecisione, fa parte dell’esistenza. E quell’esattamente degli anni Settanta si perdeva nelle contraddizioni di una società che non aveva nulla di esatto e nulla di indiscutibile, ma voleva che fosse così. Ma esattamente era diverso: non era emotivo, era da maestrini, da professori con la bacchetta. Giusto, sbagliato. Anzi più che giusto: esatto. Esattamente era proprio di quel mondo: e una donna o un uomo che risponde «esattamente» alla domanda «ti piacerebbe cenare con me questa sera?», non restituiva di certo un brivido di emozione. Ma assolutamente? Assolutamente è una versione due punto zero, o forse tre punto zero di esattamente. Assolutamente per imporsi, deve fingere persino che sia in disuso il suo significato negativo, l’assolutamente no. È un sì. È uno svelarsi, una resa dei conti. Il capovolgimento di un mondo che ci sfugge, che non comprendiamo, che temiamo, ma che è capace di assoluto, espresso in forma di avverbio. Per quel che può valere, certo.

Un’annotazione finale: in questo articolo ho usato, in poco meno di 5000 battute qualcosa come 27 avverbi. Era necessario, perché è un articolo sugli avverbi. Ma è anche un’eccezione. Nei miei corsi di scrittura faccio fare un esperimento agli allievi che hanno scritto dei testi lunghi. Chiedo loro di inserire nella ricerca del testo il suffisso «-mente». E dico di verificare una cosa. Quasi sempre, se non sempre, ogni volta che usiamo, perfettamente, esattamente, assolutamente, decisamente, e via dicendo, lo facciamo, e mi si consenta il gioco: inutilmente. Possono essere tolti tutti e il testo non solo non cambia, ma ne guadagna, diventa più agile, meno pesante, e più elegante. È garantito. Assolutamente.