Ugo Tognazzi, un attore difficile da dimenticare
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È stato uno dei volti e degli attori più popolari della commedia italiana, capace di attraversare la storia del ‘900 televisivo e cinematografico della Penisola interpretando, con uno stile unico, ruoli di ogni genere, dal comico al brillante al drammatico. È Ugo Tognazzi del quale oggi ricorre il centenario della nascita, avvenuta a Cremona il 23 marzo del 1922. Un artista a tutto tondo la cui vocazione si manifestò sin da bambino: a soli quattro anni fece infatti il suo debutto sulla scena in una filodrammatica aziendale. Prima però di darsi completamente al palcoscenico ci volle del tempo: proveniente da una famiglia tutt’altro che agiata, dopo gli studi dell’obbligo dovette cercarsi infatti un lavoro «vero», facendosi assumere quale contabile in un salumificio ma più che per la sua dimestichezza con numeri e cifre, grazie alla popolarità guadagnata durante le recite messe in scena al dopolavoro: un’arte servitagli anche durante la guerra durante la quale fu impiegato soprattutto nell’organizzare spettacoli leggeri per il morale delle truppe.
L'incontro con Wanda Osiris
Finito il conflitto dalla natia Cremona Tognazzi si trasferì a Milano dove viene baciato dalla fortuna facendosi notare da Wanda Osiris durante una serata di dilettanti al teatro Puccini: assunto in compagnia si costruisce una brillante carriera di «primo giovane» e intrattenitore che gli permette di lasciare il lavoro nel salumificio. Nel 1950 scende a Roma sulla via di Cinecittà perché «col cinema si guadagna di più. Ma niente come il teatro – dirà – restituisce il calore del contatto diretto che io ho poi ricostruito con la mia vera vocazione, la cucina. Preparare una cena e vedere l’espressione soddisfatta dei commensali è proprio come finire una serata in teatro quando il pubblico ti applaude. Per questo considero il cinema solo come il mio hobby preferito». Un hobby nel quale inizia a cimentarsi grazie a Mario Mattoli che lo vole ne I cadetti di Guascogna del 1950 a fianco di Walter Chiari che gli ruba la scena.
Il duo con Raimondo Vianello
L’anno seguente incontra invece Raimondo Vianello e i due faranno coppia fissa per tutti gli anni ‘50 arrivando al grande pubblico con il trionfale successo di molte pellicole, ma soprattutto col varietà televisivo Un, due, tr e. Nel 1959, a causa di una scenetta satirica sul presidente della Repubblica Gronchi, il programma viene chiuso senza preavviso e i due licenziati dalla Rai. Ma il cinema ha ormai adottato quel lombardo che sforna film a raffica (12 nel solo 1959) ed è ormai pronto per parti da protagonista senza rivali. Se ne accorge Luciano Salce che con lui si afferma grazie a Il federale (1961) per poi stringere un lungo sodalizio.
Risi, Ferreri, Monicelli e gli altri
Se ne accorge Dino Risi che ne replica il successo con La marcia su Roma del ‘62. La carriera di Ugo Tognazzi da quel momento è un’ascesa costante che diviene sfida a se stesso: non è un uomo bello, secondo i canoni tradizionali, ma ha fascino da vendere; non è un attore intellettuale e colto come il suo amico Gassman, ma non c’è autore di qualità che non lo cerchi; ha l’impronta dell’uomo normale ma con l’altro amico d’elezione, Marco Ferreri, cerca l’eccesso, la provocazione, il surrealismo calato nella rappresentazione realista della vita. Nascono così capolavori come La donna scimmia, L'udienza, La grande abbuffata. Per Monicelli darà vita invece alla saga di Amici miei con l’irresistibile maschera del Conte Mascetti. Con Risi e Scola stringerà un sodalizio profondo che frutta grandi successi come «Straziami ma di baci saziami o La terrazza. Un vitalismo insaziabile che si traduce nella capacità di rischiare ogni volta, spinge Tognazzi ad evitare gli schemi e le «parrocchie» del cinema italiano: incrocia Elio Petri (La proprietà non è più un furto) e Bernardo Bertolucci (La tragedia di un uomo ridicolo con cui vince la Palma d’oro a Cannes nel 1981); sostiene gli esordi di Pupi Avati (La mazurca del barone...) e si traveste da gay per Edouard Molinaro ne Il vizietto che sul finire degli anni ‘70 lo rilancia in tutto il mondo. Continua a tenere un ritmo di lavoro infernale (almeno due film all’anno) ma dalla metà degli anni ‘80 torna sempre più di frequente al teatro, passa molto tempo a Parigi, si fa sorprendere dalla malattia più infida e crudele: la depressione. Ormai a poco servono i grandi raduni tra la casa di Velletri e quella di Torvajanica dove col pretesto di un torneo di tennis tra amici e colleghi si passa il tempo in pantagrueliche tavolate. Pur con intorno l'affetto dei figli avuti da ben tre matrimoni e la dolcezza dell'ultima moglie, il grande attore si isola sempre più spesso, si lancia in una serie televisiva che non porterà a termine, Una famiglia in giallo. La morte che lo colse nel sonno a soli 68 anni la notte del 27 ottobre 1990 stroncato da un’emorragia cerebrale, lascerà in sospeso anche il progetto di una nuova regia, percorso cominciato dietro la macchina da presa già negli anni ‘60 (Il mantenuto) e che gli aveva portato buon consenso critico con titoli come Il fischio al naso, Cattivi pensieri, I viaggiatori della sera. Dopo la sua morte, la figlia Maria Sole gli ha dedicato un documentario, Ritratto di mio padre, che ne recupera la dolcezza e la sensibilità anche fuori dal set, mentre i figli Ricky e Gianmarco hanno spesso cercato mostrare la stessa naturalezza interpretativa, frutto di una passione autodidatta che ha fatto di lui un artista capace di mettere in mostra tutti i difetti, le viltà, le fragilità dell'uomo contemporaneo con una maschera però mai definibile, mai stereotipata, ma sempre amorevole.