Il crollo di Credit Suisse

Una storia di uomini, milioni e sete di potere

A due anni esatti dal fallimento della grande banca, un documentario ricostruisce le tappe di un disastro annunciato fin dal 1977 ed analizza una serie di errori compiuti da manager dai compensi stratosferici
©Ascot elite
Antonio Mariotti
29.03.2025 06:00

Sin dal titolo, la metafora del flipper sembra del tutto appropriata, con la pallina che schizza a velocità sempre più alta da un angolo all’altro del campo da gioco finché l’eccessiva irruenza del giocatore non manda in tilt la macchina e fa apparire l’irrimediabile scritta intermittente «Game Over». Come visualizzare in maniera più efficace il modo di comportarsi di tutta la serie di manager che si sono succeduti al vertice di Crédit Suisse tra il 1977 e il 2023? Uomini senza scrupoli, egocentrici e assetati di potere che hanno giocato una partita folle, lunga quasi mezzo secolo, in cui ogni pallina poteva valere milioni di franchi e centinaia di posti di lavoro. Un periodo estremamente lungo durante il quale l’istituto bancario, poi assorbito da UBS, ha cercato - evidentemente compiendo le scelte peggiori, soprattutto per la sua attività al di fuori della piazza finanziaria elvetica - di riparare al «peccato originale» dello scandalo Texon che alla fine degli anni Settanta trasformò la filiale di Chiasso della banca da gallina dalle uova d’oro in «vergogna» da cancellare ad ogni costo. Un «pasticciaccio brutto» (per citare Gadda) che costò carissimo non solo dal punto di vista finanziario ma soprattutto per ciò che riguarda il danno d’immagine. Da allora, il ritratto di assoluta competenza, sicurezza e affidabilità dei banchieri elvetici iniziò a mostrare le prime crepe che andarono allargandosi nel corso degli anni in seguito ad altri scandali e malaffari di vario genere. I responsabili che si succedettero sul «trono» della banca cercarono, invano, di cambiare le carte in tavola ma due anni fa, di fronte all’evidenza della bancarotta, anche l’ultimo di loro dovette gettare la spugna. Molti i tratti che li accomunano: in primis quello di essere tutti uomini (il genere femminile pare del tutto assente dal mondo bancario), poi quello di non aver mai rinunciato a un centesimo dei loro bonus indipendentemente dai risultati raggiunti, quello di aver declinato l’invito ad esprimersi nel corso del documentario e infine quello di averla passata del tutto liscia dal punto di vista giudiziario. Ciò che suscita l’indignazione dell’avvocato Paolo Bernasconi - tra i testimoni interpellati nel corso del film, che nel 1977 si occupò come Procuratore pubblico dello scandalo Texon - poiché nessuno di loro non solo non ha mai scontato un giorno di galera ma neppure è stato mai incolpato di alcunché.

Doppio exploit riuscito

Questo è il ritratto che, in meno di due ore condotte a ritmo indiavolato, dipinge della caduta di Crédit Suisse il 39.enne regista sangallese Simon Helbling in un documentario i cui temi - seguendo lo stesso schema narrativo - saranno approfonditi in una serie in quattro episodi. Un doppio exploit che si può dire del tutto riuscito, per la chiarezza dei propositi espressi dai vari interlocutori sollecitati (due dei quali sono attori che giocano il ruolo degli informatori insider) e per la tempestività con la quale è stata portata a termine l’operazione. Game Over non è un vero e proprio instant movie ma dimostra la capacità del cinema svizzero di affrontare con tempestività gli eventi epocali che colpiscono l’immaginario collettivo. Non si può allora non pensare a Grounding - Gli ultimi giorni di Swissair, la fiction di grande successo che Michael Steiner diresse nel 2006. I meccanismi decisionali, il tentativo di «annacquare» le perdite già accumulate grazie a un’incauta politica di acquisizioni all’estero sembrano più o meno gli stessi, così come la mentalità manageriale dei protagonisti. Se Grounding viveva molto delle storie collaterali dei «piccoli» la cui esistenza è stata rovinata dagli errori dei «grandi», Game Over riserva il suo capitolo meno concitato a un fallimentare programma di investimenti in favore della pesca al tonno in Mozambico architettato da Crédit Suisse a puro scopo speculativo. Un’operazione che manda in bancarotta il già fragile Paese africano, portandolo sull’orlo della guerra civile e deludendo le aspettative dei pescatori che vi avevano aderito. A dimostrazione di come una pallina lanciata a velocità folle in un flipper di Paradeplatz possa avere conseguenze nefaste anche a migliaia di chilometri di distanza.

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