L’intervista

«Vi racconto Dante, il poeta che ha inventato l’idea di Italia»

Il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo ha dedicato un romanzo al sommo poeta
© Basso Cannarsa
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
19.02.2021 06:00

«A riveder le stelle»: si intitola così il romanzo della Divina Commedia che Aldo Cazzullo ha dedicato al sommo poeta e al suo ruolo chiave nella creazione ideale e culturale dell’Italia. Cazzullo sarà domenica 21 febbraio il primo ospite (in streaming dalle ore 11) delle Colazioni letterarie «Omaggio a Dante» promosse dalla Società Dante Alighieri Lugano, PiazzaParola e LAC Lugano Arte e Cultura. Dialogando con lui diamo inizio ad un ciclo dedicato al 700. anniversario della morte del poeta.

Aldo Cazzullo, partiamo da un aspetto personale: come è stato lavorare sulla “Commedia” e qual è il suo rapporto privato, dai tempi della scuola al Cazzullo di oggi, con il sommo poeta?

«Ho sempre adorato Dante. Da studente mi piaceva impararlo a memoria. Quando i miei figli erano piccoli giocavamo a ripetere i nomi dei diavoli, inventati da Dante: Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto sannuto, Graffiacane, Farfarello, Rubicante pazzo... Riscoprirlo da adulto è meraviglioso. E i due mesi di lockdown totale mi hanno dato il tempo e la concentrazione necessarie per scrivere un libro che ovviamente avevo iniziato prima e finito dopo. Però la sofferenza che sentivo attorno a me in qualche modo comunicava con l’angoscia che segna la discesa di Dante nell’abisso dell’animo umano. I suoi diavoli non sono davvero spaventosi; sono piuttosto buffi, grotteschi. Il male per Dante è dentro di noi. Siamo noi l’Inferno».

L’Italia, come idea e come concetto, è dunque l’unico Paese del mondo a scaturire dalla mente e dal cuore di un poeta: un privilegio inestimabile o un’eredità troppo pesante di cui essere degni?

«Per Dante, in effetti, l’Italia non era uno Stato; era un’idea. Un patrimonio di valori e di bellezza. Per Dante l’Italia aveva conquistato il mondo due volte, con l’impero romano e con la fede cristiana. E per Dante l’Italia aveva una missione: conciliare la classicità con la cristianità. Dante è un padre per tutti gli italiani, visto che ci ha dato una lingua e un’idea di noi stessi, ed è un modello per chiunque scriva, e anche per chiunque faccia politica. Perché Dante è poeta civile: si indigna, denuncia scandali, manda quattro Papi del suo tempo all’Inferno e due in Purgatorio, denotando grande coraggio intellettuale. E noi italiani abbiamo il dovere di essere all’altezza di un tale patrimonio non solo di tecnica letteraria ma di cultura enciclopedica e di qualità morali. Dante si sentiva tradito dagli italiani del suo tempo; e temo che neppure oggi la vita pubblica sia all’altezza di quel che il poeta si attendeva».

Perché possiamo definire il medievale Dante come il primo vero umanista?

«Perché proprio dall’incontro tra classicità e cristianità, tra la Roma dei Cesari e la Roma dei Papi, nasce l’umanesimo. Per questo Fernando Pessoa, il grande poeta portoghese, considerava Dante il primo umanista. Ciò non toglie che Dante sia ovviamente un uomo del Medioevo: senza la fede per lui non c’è verità né salvezza. Ulisse, eroe della conoscenza, fa naufragio. Dante si occupa anche di astronomia e di economia: manda gli usurai all’Inferno, denuncia la volgarità dei “subiti guadagni”, dei guadagni troppo facili. Dante sa essere alto e basso, scrivere di amore e di odio, usare suoni duri, aspri, parole terribili, a volte scurrili. Machiavelli ad esempio non amava Dante, gli rimproverava di aver usato la parola “merda”, oltre che di aver denigrato, a suo dire, la patria fiorentina. Poi però lo stesso Dante trova accenti sublimi che lo portano sin davanti al volto di Dio».

Dante ha visioni quasi profetiche. Ad esempio, ha un’idea molto moderna della donna

Colpisce nel suo libro l’importanza data al rapporto tra il poeta e le donne: perché è essenziale non dimenticarselo?

«Dante ha visioni quasi profetiche. Ad esempio, come lei fa giustamente notare, ha un’idea molto moderna della donna. In un tempo in cui si discuteva se la donna avesse o no l’anima, lui scrive che la specie umana supera tutto ciò che è sulla Terra grazie alla donna. E’ Beatrice che salva Dante, è la donna che salva l’uomo. Per Dante le donne erediteranno la terra. La donna è il capolavoro di Dio, la meraviglia del creato; e Beatrice, che rappresenta tutte le donne amate – non solo le spose e le fidanzate, ma anche le mamme, le sorelle, le nonne, le figlie – è la meraviglia delle meraviglie. E chi fa del male alle donne finisce all’Inferno: un monito appunto da non dimenticare».

Il rapporto con l’Italia è naturalmente fondamentale ma come convincere anche chi italiano non è che siamo di fronte, come diceva Borges, “al miglior libro scritto dagli uomini”?

«Perché i sentimenti che Dante descrive, le passioni che racconta, i peccati che stigmatizza sono universali. E’ l’eterna giovinezza della Divina Commedia. Nell’amore carnale di Paolo e Francesca, nella disperazione che induce Pier delle Vigne al suicidio, nella sete di conoscenza di Ulisse, nella rabbia vendicativa del conte Ugolino chiunque può riconoscere una parte di se stesso. Così come nella volontà di ascesa, nell’ansia di purificazione, nella speranza di salvezza. Dante è eterno, non contingente. È un grande italiano, ma appartiene all’umanità».

Per ora il suo racconto si è fermato all’Inferno: dobbiamo accontentarci o visto anche il grande successo del libro potremo prima o poi farci guidare da Aldo Cazzullo anche nelle altre due cantiche?

«Sto già scrivendo il racconto di Purgatorio e Paradiso. Incentrato attorno alla figura di Beatrice. Con la stupenda preghiera finale alla Madonna: “Vergine madre, figlia del tuo figlio...”. Non è vero che il Paradiso è noioso. Tenterò di dimostrarlo. Del resto, “A riveder le stelle” è il verso con cui Dante conclude l’Inferno. Dopo non viene subito il Paradiso; prima c’è la montagna del Purgatorio da scalare. Il 2021 sarà l’anno del nostro Purgatorio».