Violetta Valery e l'illusione di un amore totale e assoluto
Se dall’esterno, in questi giorni, il LAC regala l’impressione di un luogo calmo, tranquillo, vivacizzato unicamente dalla presenza di turisti nella hall e negli spazi museali, nella sala teatro l’atmosfera è molto più concitata, frenetica, eccitata: manca infatti ormai poco più di una settimana al via della nuova stagione contrassegnato dal ritorno a Lugano dell’opera lirica. A quattro anni di distanza dalla riuscita messinscena del rossiniano Barbiere di Siviglia, sarà infatti uno dei titoli più celebri e rappresentati del melodramma, La Traviata di Giuseppe Verdi, a inaugurare il cartellone 2022/2023 del centro culturale luganese: un’opera che già avrebbe dovuto andare in scena nella primavera 2020 nella celebre versione detta «degli specchi» realizzata dal regista Henning Brockhaus e dal coreografo Josef Svoboda per lo Sferisterio di Macerata e che, dopo il forzato stop dettato dalla COVID, si è deciso di proporre in un allestimento nuovo, originale e totalmente «made in Ticino». A firmare l’allestimento è infatti il direttore artistico del LAC Carmelo Rifici affiancato, musicalmente, dall’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Markus Poschner e dal Coro della RSI e, sul fronte tecnico, dalla squadra con cui il regista ha già realizzato quattro anni fa il Barbiere arricchita da un rinforzo d’eccezione: la compagnia piacentina Teatro Gioco Vita da cinquant’anni specializzata nel teatro di figura e nel teatro d’ombre. Una «new entry» questa di particolare importanza vista la lettura speciale che la coppia Rifici/Poschner ha deciso di dare dell’opera. «Con Markus – spiega il regista – si è deciso di sganciare Traviata da quell’idea un po’ appassionata di un Ottocento sentimentale, romantico, spesso sopra le righe e, soprattutto, di svincolare la protagonista da quell’immagine di prostituta in cui viene solitamente rappresentata, inserendola in una cornice rarefatta, onirica, sospesa, all’interno della quale vive l’illusione di un amore assoluto. La nostra Violetta, insomma, non è una seduttrice che alla fine muore di tisi ma una sorta di bambina che incomincia ad immaginare cosa potrebbe essere l’amore, l’universo dei sentimenti più intimi, ma che però, per uno sfortunato scherzo del destino, si ritrova vittima di una società maschile estremamente ipocrita. Un’immagine insomma diversa che cercheremo di veicolare grazie a tempi, sfumature e sospensioni sceniche che speriamo il pubblico di Lugano apprezzi».
«Un altro mondo»
Una Traviata dunque innovativa che, per Rifici, rappresenta una sfida anche perché lo costringe a un lavoro totalmente diverso rispetto alle sue regie teatrali. «L’opera è davvero un altro mondo», confessa. «Il teatro per me è un territorio di ricerca personale dove indagare testi e temi che sento affini e, soprattutto, che fanno parte della mia natura. L’opera – che pur frequento con assiduità e con la quale sento di avere molte affinità – è un’altra cosa: qui vince la musica, vince la tradizione, i cantanti devono cantare in un certo modo, devono prendere i respiri in un certo momento, devono poter fare certe note. Compito della regia è dunque accompagnarli affinché quei momenti non siano tecnici, ma diventino un fatto emotivo, emozionale, di anima. Lavorare nell’opera, insomma, non significa solamente impostare un’interpretazione ma stare a fianco di chi è sulla scena affinché tutte le imposizioni, le regole tecniche che devono essere utilizzate, diventino un’espressione artistica». Un compito non semplice questo in considerazione dell’ampiezza del cast che, come spiega il direttore dell’OSI Markus Poschner comprende alcuni dei «migliori cantanti oggi sulla piazza» ossia la soprano Myrtò Papatanasiu nel ruolo di Violetta Valery; il tenore Airam Hernandez Delgado in quello di Alfredo Germont; il baritono Giovanni Meoni in quello di Giorgio Germont nonché Sofia Tumanyan (Flora Bervoix), Michela Petrino (Annina), Lorenzo Izzo (Gastone, Visconte di Létorières), Davide Fersini (il barone Douphol) e Laurence Meikle (il marchese d’Obigny). Assieme a loro pure il Coro della RSI diretto da Andrea Marchiol, un corpo di ballo, la Civica Filarmonica di Lugano e, naturalmente, l’OSI che Poschner giudica «perfetta per questa che per me è l’opera più intima di Giuseppe Verdi, ricchissima di colori e molto vicina al mondo cameristico, così come il LAC, con le sue dimensioni e caratteristiche acustiche, è probabilmente il luogo più adatto per ospitare la messa in scena di questo capolavoro».
Nel futuro c’è Donizetti
Capolavoro che dopo le quattro rappresentazioni luganesi, non avrà un seguito, non andrà in tour contrariamente a molte altre produzioni del LAC. «Si tratta di un titolo talmente famoso e apprezzato del quale tutte le principali strutture teatrali cercano di dare una propria versione», spiega Carmelo Rifici, «per cui sarebbe stato pretenzioso per un teatro così giovane come il nostro, nato all’inizio con l’idea di ospitare stagioni e che quasi all’improvviso si è trasformato in un teatro di produzioni, avventurarsi adesso in una simile impresa. Però in futuro ci proveremo: anzi posso anticipare che già l’anno prossimo inizieremo a lavorare su un’opera di Donizetti, sotto la direzione di Diego Fasolis, in coproduzione con un paio di teatri italiani che ci permetterà di dare alla produzione operistica del LAC una visibilità anche al di fuori dei nostri spazi».