La testimonianza

Vita, morte ed ecologia nel diario di un guardiacaccia

A cavallo tra Ottocento e Novecento Giovanni Nesa di Lugaggia raccontò nel dettaglio le sue giornate, tra lavoro e vita privata, in un documento da poco ripubblicato dall’Archivio audiovisivo di Capriasca e Val Colla
Lugaggia, 1925: Giovanni Nesa mentre cuoce la polenta. © Archivio famiglia Nesa
Pietro Montorfani
Pietro Montorfani
10.04.2020 19:27

A malincuore, toccherà dire ai molti sportivi che (perlomeno fino a prima dell’emergenza sanitaria) percorrono giornalmente le valli del Luganese, e che giustamente si vantano delle loro imprese sui social network, che il vero campione di resistenza, chilometri e dislivelli, si chiama Giovanni Nesa, di Lugaggia, vissuto tra il 1838 e il 1926. Per sincerarsene basterebbe registrare su Strava o Runkeeper una giornata tipo, una delle tante di cui ha tenuto nota nel suo diario di guardacaccia: «Di buonorissima sono stato sul monte Gazzerola, e sulla cima del Camogè, e retrocedendo da Isone e al presente ho trovato tranquillo». Oppure: «Passai per Sala Capriasca, ed ho percorso la sponda sinistra del fiume Vedeggio, sino a Camignolo, e toccando Medeglia...», e via di questo passo, ogni giorno della settimana compresi i festivi, sotto l’acqua e sopra la neve.

Al di là dei record, il documento ripubblicato con grande cura dall’Archivio audiovisivo di Capriasca e Val Colla, con contributi di Nicola Arigoni, Flavio Zappa e Giovanna Ceccarelli, è una testimonianza preziosa di un’epoca lontana, conservatasi grazie alla sensibilità dei discendenti di Giovanni Nesa. Il diario era uno strumento di lavoro imposto dalle mansioni di guardacaccia e veniva consegnato mensilmente alla Direzione cantonale di polizia; nel caso di Nesa, copre gli anni tra il 1880 e il 1886, un periodo in cui a livello federale e cantonale si cercava di regolamentare un settore ancora molto «spontaneo», per usare un eufemismo.

Nel lungo saggio introduttivo, scritto con la passione di chi affronti un tema a lui caro, Flavio Zappa ricostruisce tappa per tappa la creazione nel 1876 dei cosiddetti «distretti franchi», gli antenati delle bandite, che in Ticino comprendevano due grandi aree, una nel Sopraceneri (tra Chironico e Cevio) e una nel Sottoceneri (tra Val Colla e Morobbia) affidata allo stesso Nesa.

Nelle pagine manoscritte, in bella grafia, entrano piccoli fatti quotidiani, molti toponimi e molta meteorologia, ma anche gli animali incontrati e salvati e quelli di cui Nesa ha potuto soltanto constatare il decesso, e così i cacciatori scoperti e multati, l’omertà della popolazione che, allora più di oggi, vedeva il guardacaccia come un traditore della patria (locale) asservito al «nemico» dello stato cantonale o federale. Quest’ultimo aspetto, che fa a pugni con la figura morale, correttissima di Giovanni Nesa, è sintomatico di un’epoca in cui il federalismo, dopo la centralizzazione amministrativa del 1848, faticava a prendere piede, soprattutto presso le popolazioni delle valli, che mal vedevano imposizioni dall’alto e rigidi regolamenti alle loro radicate abitudini di vita. Il pendant più immediato è con la lunga tradizione del contrabbando, più o meno onesto, tra Val Cavargna e Val Colla, di cui si leggono cose gustose nell’ultima pubblicazione dei «Documenti orali della Svizzera italiana» (volume 6). Pur essendo un oggetto di ambito strettamente burocratico, nel diaro di Nesa entrano anche questioni personali, ben messe in luce da Nicola Arigoni: dietro l’algida nota «obbligato adempire un dovere in famiglia» si cela, il 4 febbraio 1882, la nascita di una figlia, e all’altro estremo sta il lapidario e inequivocabile «non feci nessuna escursione, perché mi è morto un figlio» del 27 giugno 1884. Nulla più di questo, in un documento scritto in una lingua (studiata da Giovanna Ceccarelli) che sa essere anche gustosa, mista di termini colti e popolari, pure di provenienza straniera. Infine, emerge tra le pagine di Nesa una sensibilità che è oggi largamente condivisa, rara invece nell’Ottocento ticinese, per le questioni ecologiche, il rispetto dell’habitat animale e vegetale, l’ossequio nei confronti del ciclo della vita da cui tutto dipende.