A un simile dolore non eravamo preparati
Non la pioggia, ma le lacrime. A inzuppare il terreno e oltre dodicimila seggiolini del Wankdorf, alla fine, sono state solo le seconde. Complice la tristezza, maledetta. Non la gioia, tutta ginevrina. E hai voglia ad aggrapparti all’orgoglio dopo una finale così. Persa così. È incredibile. Pensavamo che quella di un anno fa facesse male. Perché i supplementari e i rigori, al cospetto dello Young Boys, ci erano stati negati anzitempo, poco importa chi avrebbe poi baciato la gloria. Contro il Servette, invece, i tiri dal dischetto calciati all’ombra della curva bianconera si sono trasformati in una sorta di giudizio universale. Un giudizio terribile, senza appello. Per la storia dei singoli più che per quella del club. Un giudizio, in ogni caso, al quale non eravamo pronti.
A Jonathan Sabbatini, evidentemente, il 2024 aveva da offrire qualcosa di più importante di un futuro al sicuro, seppur in secondo piano. Un pallone per l’eternità. Se lo sono preso le stelle, insieme a un silenzio comprensibile, ma difficilmente accettabile. Quello portato sul dischetto da Renato Steffen, per contro, era un pallone per la credibilità definitiva. Se l’è portato via il vento (pure qui con tanto di parole non dette). E il discorso, a ben guardare, non è così differente nel caso di Zan Celar, bomber sul mercato. Sì, ma quale?
E poi certo, c’è lui: Mattia Croci-Torti. L’allenatore simbolo, per la piazza e allo stesso tempo per una competizione - la Coppa Svizzera - che ama celebrare personaggi e magia. Da ieri, però, il Crus è l’allenatore che di trofei ne ha persi due su tre. Senza rimpianti, d’accordo, anche se pure a questo giro - al netto dell’inconcepibile e dei rigori non dati - il Lugano non è stato eccezionale. A lui, al condottiero bianconero, probabilmente fa più male che all’intero popolo che gli è voluto stare vicino solo nel dì di festa. Questa è l’ora più buia. Quella dei mal di pancia e dei sogni spezzati. Nessuno lo nega. E ci mancherebbe. Forse, però, c’è anche una buona notizia. Il Crus, che in caso di vittoria avrebbe sublimato stagione e personale carriera a Cornaredo, vorrà riprovarci a tutti i costi. Vorrà farlo vero? L’etichetta di perdente, di perdenti, per quanto ingenerosa, andrà infatti levata in qualche modo.
L’estate, al proposito, assomiglia all’ennesima sfida per la società. E siamo curiosi delle prime indicazioni che saranno fornite già in mattinata dalla dirigenza. È il 3 giugno. E fra un mese e mezzo, solo fra un mese e mezzo, il Lugano tornerà a misurarsi con la Super League, con l’Europa, con sé stesso. Sin qui si è ragionato in termini progressivi. Nel senso che la formazione bianconera ha sempre compiuto passi avanti. Riuscirci una volta di più, oggettivamente, sarà complicato. Ma se questa è la direzione, beh, è lecito attendersi risposte e mosse rilevanti. E pensiamo soprattutto agli impegni sul piano internazionale, per altro non garantiti. Qualora in autunno i bianconeri dovessero tuttavia ritrovarsi alla Stockhorn Arena di Thun - sede prescelta per le competizioni europee -, l’auspicio è che determinate situazioni non tornino a ripresentarsi. Le fatiche fisiche e logistiche patite lo scorso autunno, per dire, hanno compromesso anzitempo le solide e però altresì incoscienti ambizioni in campionato. Alla finale di Coppa Svizzera, al contrario, il Lugano si presentava con una lucidità, una consapevolezza e una forza mai conosciute in anni recenti. Per questo il verdetto è ancora più difficile da accettare. A un dolore simile non eravamo preparati.