Ad Ambrì passando per Londra: «Il mio anno al servizio dell'hockey britannico»
Stasera la Svizzera affronta la Gran Bretagna. Una selezione composta prevalentemente da giocatori che militano in patria nella Elite Ice Hockey League. Un campionato in cui, nel 2018-19, ha lavorato Manuele Dalle Ave, da cinque stagioni assistente responsabile del materiale dell'Ambrì Piotta. Ci siamo fatti raccontare la sua annata al servizio dei Milton Keynes Lightning.
Allo sbaraglio
Nell’estate del 2018, dopo cinque anni trascorsi nello staff dell’Asiago, Manuele Dalle Ave cercava nuove sfide. «Avevo già avuto un colloquio con l’Ambrì, ma non se n’era fatto nulla», ricorda il 32.enne veneto. «Tramite il team manager dei leventinesi Alessandro Benin, però, venni contattato da Doug McKay, allenatore e general manager a Milton Keynes, una città a nord di Londra. La sua squadra era risalita nella massima serie britannica da un anno ed era alla ricerca di un nuovo responsabile del materiale. Senza pensarci troppo, sono partito allo sbaraglio».
Ad accoglierlo in pista, il giorno dopo il suo arrivo, Manuele non trovò Doug McKay, bensì il proprietario degli MK Lightning, Graham Moody. «Il coach arrivò qualche giorno dopo per problemi di visto. I giocatori, però, c’erano già».
Tra risse e cheerleader
Dell’hockey inglese, Dalle Ave conosceva poco: «Sapevo che l’Elite League era di livello più alto rispetto al campionato italiano e che era infarcita di stranieri. Si praticava un gioco fisico, infatti di giocatori piccoli me ne ricordo pochi. Di risse, in compenso, ne ho viste tantissime. Quando le partite non si sbloccavano, erano le bagarre a smuovere le acque. Il pubblico le apprezzava».
Già, il pubblico: «È stata la sorpresa più grande», afferma Manu. «Non mi aspettavo così tanta gente alle partite. Per la nostra prima trasferta a Sheffield c’erano 12 mila spettatori. Anche a Belfast e Cardiff, ma pure in realtà più piccole, si registrava il tutto esaurito. Per rendere il prodotto più appetibile, cercavano di riprodurre i tipici show all’americana, con le lucine, le cheerleader e le mascotte. Tutte cose che io, in Italia, non avevo mai visto».
Come leggiamo sul sito della Elite League, l’hockey su ghiaccio è lo sport professionistico indoor con più spettatori nel Regno Unito e il terzo in assoluto durante il periodo invernale dopo calcio e rugby. «Non ho mai capito da dove saltassero fuori tutti questi appassionati e in che modo si fosse diffuso l'amore per l’hockey in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord», ammette Manuele. «In tutte le città di hockey, ci sono anche seguitissimi club calcistici. A Milton Keynes, ad esempio, la squadra di football gioca in un moderno stadio da 30 mila posti, pur militando in quarta divisione. E nei dintorni ci sono tante squadre di Premier League. Insomma, per me era facile immaginare l’hockey come uno sport di nicchia. Mi sbagliavo. C’era fermento anche nelle leghe inferiori. Per contro, i settori giovanili mi sono sembrati trascurati e poco sviluppati. Infatti di giocatori britannici al 100% ce ne sono pochi. Sono quasi tutti canadesi naturalizzati».
Tè caldo e pane tostato
L’Elite Ice Hockey League è una lega privata: «Proprio per questo non ci fermavamo mai per le pause internazionali della IIHF. Si tirava dritto, giocando un sacco di partite, anche tre di fila tra il venerdì e la domenica, a volte viaggiando in aereo. Il titolo viene assegnato al termine della regular season. Dopo ci sono anche i playoff, ma durano solo pochi giorni e mettono in palio un titolo a sé stante. E poi c’è anche la Coppa. Noi, pur arrivando ultimi, giocammo circa 80 match». Ultimissimi in classifica e alle prese con gravi problemi finanziari, gli MK Lightning salutarono l’Elite Ice Hockey League nel 2019. «In febbraio ci dissero che avremmo dovuto trovare una nuova sistemazione per l’anno successivo, perché i nuovi proprietari sarebbero ripartiti dalla lega inferiore. Tra alti e bassi, però, è stata un’esperienza divertente, che porterò con me per tutta la vita. Venivo da Asiago, un paese di 6.000 abitanti, e mi sono trovato catapultato alla periferia di Londra, senza conoscere nessuno. Il club aveva mezzi ridotti, dovevo ingegnarmi, ero da solo ad occuparmi del materiale e dovevo fare anche da team manager. Ad esempio, dovevo pensare a ristoranti e alberghi per le trasferte. E guai se nei pasti sul bus mancavano tè caldo, pane tostato e burro d’arachidi».
Non solo batoste
Dell’attuale selezione britannica, Manuele Dalle Ave conosce bene due giocatori: «Brett Perlini, fratello dell’ex biancoblù Brendan, e Cole Shudra, ora a Sheffield, ma all’epoca in forza ai miei MK Lightning. Rispetto al 2018-19, oggi la Gran Bretagna mi sembra più forte. È cresciuta tanto. Con la Finlandia ha preso una bella batosta, ma all’esordio contro il Canada si era fatta valere».