L'intervista

«Anch'io sogno le Olimpiadi e per provarci ho ritrovato le mie radici»

Un nome bellissimo, la testa piena di sogni: la 19.enne Amélie Bertschi è tornata in Ticino per viverli appieno
©Roldy Cueto Cabrera
Cristina Casari
20.11.2024 06:00

Ha un nome bellissimo, la testa piena di sogni e una combattività fuori dal comune. La 19.enne di origine ticinese Amélie Bertschi è tornata alle sue radici, piantando la tenda in quel di Lugano per crescere e maturare sia a livello umano sia a livello sportivo.

Tre titoli assoluti (400, 800 e 1.500 m stile libero), un secondo posto nei 400 m misti e nuovo record ticinese nei 1.500 m. Un bel weekend quello ai campionati svizzeri a Sursee, vero?
«Mi sentivo bene, sapevo di essere in un buono stato di forma e consapevole del lavoro svolto in allenamento. Quindi ero fiduciosa, sì. La mia rivale numero uno si è purtroppo fatta male poco prima degli assoluti e perciò la mia strada era in discesa, anche se nello sport non bisogna mai dare nulla per scontato. Mi aspettavo le medaglie, ma non i tempi che ho realizzato, soprattutto quello dei 1.500 m. Era il mio secondo 1.500 in vasca corta, disciplina entrata da poco in quella distanza».

Per i profani, qual è la differenza tra un 1.500 in vasca lunga e quello in corta, che ti ha permesso tra l’altro di battere il record ticinese stabilito da Flavia Rigamonti nel 1997?
«La differenza maggiore sta nella quantità di virate, una sessantina rispetto alla trentina della lunga. La gestione della gara è uguale, ma l’approccio alla virata è diversa: se fatta male si può perdere parecchio tempo. In vasca lunga spesso ci si trova in difficoltà nella seconda metà del percorso, mentre nella corta si ha ancora energia grazie alla spinta prodotta».

Raccontaci un po’ di te, Amélie.
«Ho 19 anni. Sono nata e cresciuta a Losanna da genitori ticinesi, che studiavano entrambi lì e lì hanno deciso di rimanere. Ho iniziato ad andare in vasca che praticamente ero un bebè: i miei, entrambi ex nuotatori, volevano che imparassi a nuotare, anche per una questione di sicurezza. La stessa cosa l’hanno poi fatta con mio fratello, di due anni più giovane. Ci hanno iscritti ai corsi e poi siamo andati avanti entrambi, appassionandoci all’agonismo»

E come sei approdata dalle rive del Lemano a quelle del Ceresio?
«Ho terminato il liceo a Losanna un anno e mezzo fa e avevo previsto di continuare gli studi universitari in Romandia. Poi ho cambiato idea, annullando i miei piani. Ho chiesto a Fausto Mauri se fosse possibile venire a Lugano ad allenarmi. Nello spazio di una settimana tutto era deciso, appartamento compreso. Il trasferimento è avvenuto poco dopo».

Una decisione importante. Contenta?
«Sì, molto. Parlando già la lingua non ho avuto problemi di adattamento. In più, qui ci sono i miei nonni, i miei zii e i miei cugini, che sono di grandissimo sostegno. Non sono sola. Non ho però voluto stare da loro, perché ho scelto di essere autonoma e organizzare la mia vita in ogni suo aspetto. Sono iscritta alla facoltà di psicologia con unidistance, che mi permette, e permette agli sportivi d’élite, di conciliare studi ed allenamenti. Si ha la possibilità di ottenere il bachelor in quattro anni e mezzo».

Quali sono i sogni dell’Amélie atleta?
«Come tutti gli atleti, credo, sogno i Giochi olimpici. Ma non tutti ce la fanno. Ci voglio tantissimo lavoro e impegno. Finché mi diverto, però, continuerò a nuotare e mi lascerò sorprendere da ciò che mi attende. La gara di Sursee mi ha dato fiducia e sono convinta che posso fare ancora meglio».

Per i risultati ottenuti c’entra il cambiamento effettuato o sarebbero arrivati comunque?
«Questo è difficile dirlo. Ma qui a Lugano, rispetto a Losanna, gli allenamenti sono strutturati in modo diverso. Fausto ha un gruppo con più fondisti, che mi permette di avere un termine di paragone. In Svizzera romanda ero tra le poche a nuotare le grandi distanze e in allenamento ero sola, mentre qui c’è un altro approccio. Credo anche che il fatto di andare a vivere da sola mi abbia fatto crescere, maturare. Non sono migliorata solo in acqua, ma anche come persona».

E il Ticino dove lo posizioni in questa tua crescita?
«Beh, lo conoscevo già, ovviamente. Mi sento a casa senza esserci cresciuta. Ho ritrovato le mie radici o, come dice mia nonna, sono tornata alle radici. Mi sono detta che era uno di quei treni che passa una volta sola e che se non ci fossi salita forse me ne sarei pentita. Sto vivendo un bel cambiamento, ma ho voluto prendere la palla al balzo quando ho capito che a Losanna le incognite erano maggiori delle certezze offerte a Savosa. Mio fratello vive male il fatto di essere figlio unico, adesso (ride, ndr). Viene a trovarmi e vorrebbe trasferirsi anche lui qui».

Chissà mai, il Ticino è terra di accoglienza.