La crisi

Il basket ticinese è al tappeto

Abituata ad avere almeno una squadra al vertice, la nostra pallacanestro si lecca le ferite insieme a SAM e Tigers - I massagnesi, travolti a Friburgo, devono cambiare attitudine; al giovane Lugano servirebbe almeno l’apporto di tutti i suoi stranieri
Salvatore Cabibbo, tecnico della SAM Massagno. © CdT/Gabriele Putzu
Fernando Lavezzo
10.11.2024 21:30

Il basket ticinese è al tappeto, senza più squadre ai piani alti della classifica. La SAM Massagno ha il potenziale per stare nelle «top 4», ma al momento arranca ed è settima (su 9) con un bilancio di 2 vittorie e 4 sconfitte. I Lugano Tigers sono ultimi con un solo successo in 6 partite, mentre il Riva è in fondo alla classifica della LNA femminile con 0 punti in 6 giornate. Lasciamo da parte le momò, che nel weekend non hanno giocato per gli impegni della Nazionale (impostasi 59-44 in Lussemburgo), e concentriamoci sul desolante fine settimana vissuto degli uomini di Cabibbo e Montini. Complessivamente, Friburgo e Ginevra – le due squadre più forti del Paese – hanno battuto le nostre per 205 a 139.

«Noi siamo questi»

All’Elvetico nulla di nuovo: da anni il Lugano tira a campare con una squadra di giovanissimi cresciuti in casa e tre stranieri non sempre azzeccati. A questo giro è il centro Bonke Maring a far disperare i (pochi) tifosi bianconeri. E i quattro svizzeri più forti dello scorso anno (Dell’Acqua, Warden, Bracelli, Ali) non ci sono più. La sconfitta di sabato contro i Lions (63-98) rientra dunque nella logica delle cose: i Tigers hanno retto 10 minuti (20-20), poi non c’è più stata partita. Troppa la differenza di valori, accentuata dalle condizioni precarie del topscorer bianconero Hopkins, reduce dall’influenza. Il club ha già lo sguardo rivolto alla fine del 2026 e al nuovo palazzetto, ma il contenitore non basterà per tornare in alto. In attesa di trovare nuove risorse, si va avanti come si può: «La frustrazione va tenuta lontana», dice coach Montini. «Noi siamo questi, dobbiamo essere felici di venire ogni giorno in palestra e di verificare, settimana dopo settimana, i nostri piccoli miglioramenti. Speriamo che la salute ci assista, perché siamo molto inesperti e quando i giocatori cardine non sono al 100% andiamo in affanno».

Se poi, come è successo anche sabato, alcuni giovani giocano due partite in tre ore, scendendo in campo alle 14.00 con la U23 in LNB e alle 17.00 con la prima squadra in LNA, le cose assumono contorni surreali: «In Svizzera questo è permesso, ma la ritengo una cosa abbastanza pericolosa», spiega Montini. «Giocare due partite nello stesso giorno, a livello di concentrazione e di fatica, mette i ragazzi nelle condizioni di subire infortuni».

Attitudine remissiva

Se a Lugano era stato messo in conto l’ennesimo campionato sofferto, a Massagno – dove fino a pochi mesi fa si contendevano titoli e coppe all’Olympic – il discorso è diverso. La squadra è stata parecchio ridimensionata (ci sono due svizzeri d’esperienza in meno e tre soli stranieri, con il «rookie» Morgan in evidente difficoltà), ma l’umiliante sconfitta casalinga con il Nyon (68-91), seguita dall’imbarcata a Friburgo (107-76), lasciano comunque perplessi. Un conto è perdere, un altro è rimediare brutte figure. Finire K.O. con l’Olympic, che gioca un campionato tutto suo e che ha vinto di 21 anche a Ginevra, è normale. Soprattutto in assenza di Dusan Mladjan ed Eric Koludrovic e quindi con sei soli titolari. Ma farlo senza difendere, subendo 107 punti (30 nel primo quarto) e concedendone 66 nel «pitturato» (il Friburgo ha chiuso con 37 su 43 da 2, pari all’86%!), deve far riflettere. Se ai limiti strutturali della squadra (per correggere il tiro alla voce «stranieri» servono tanti soldi...) va ad aggiungersi un’attitudine remissiva, allora sono guai. Mercoledì a Basilea, negli ottavi di Coppa Svizzera, la SAM è chiamata a dare delle risposte.

L’eterno tema della fusione

Con il primo derby all’orizzonte (sabato), torna d’attualità il tema della fusione: hanno senso due squadre di bassa classifica? Ospiti della RSI, i presidenti Regazzi e Cedraschi non hanno chiuso la porta. Ma nemmeno l’hanno aperta, parlando di problemi più complessi e strutturali e di una rivalità che in fondo mette un po’ di pepe. A mancare è il sale.

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