Brett Connolly: «A Lugano mi sto divertendo, ma ora voglio alzare l'asticella»
Archiviata la Coppa Spengler, torna il campionato. A Davos, in un Team Canada fallimentare, Brett Connolly è comunque riuscito a vivere una settimana da protagonista, segnando tre reti e finendo nell’All-Star Team del torneo grigionese. Questa sera cercherà di trascinare il suo Lugano nello scontro diretto contro il Losanna.
Brett, come valuti la tua settimana grigionese?
«È stata una bella esperienza. Come squadra non è andata bene, abbiamo perso tre partite su tre, ma mi sono divertito. L’atmosfera era elettrizzante, ci hanno accolti benissimo ed è stato piacevole giocare con alcuni ragazzi che conoscevo già dal Nordamerica. A livello personale sono soddisfatto, ho fatto il pieno di fiducia per il resto della stagione».
Il Lugano ne avrà bisogno...
«Le mie prime 27 partite in maglia bianconera sono andate piuttosto bene (27 punti con 8 gol e 19 assist, ndr.). Ora, però, voglio alzare l’asticella. Ci restano 22 gare e siamo consapevoli di dover vivere una seconda parte di stagione importante. L’obiettivo di squadra è inanellare delle serie di successi, come abbiamo già fatto in novembre. A livello individuale, cercherò di entrare ogni sera nel tabellino dei marcatori. Se saprò garantire il mio contributo in termini realizzativi, avremo più chance di vincere e scalare posizioni».
Il tuo ingaggio venne annunciato il 5 settembre, durante la conferenza stampa d’inizio stagione. Al tuo arrivo, lo spogliatoio era già in subbuglio. La squadra non era contenta di McSorley. Cosa ricordi di quei giorni?
«Per me fu una situazione folle. Ero l’ultimo arrivato, non sapevo nulla di quanto stesse succedendo. Affrontai un giorno alla volta, cercando di adattarmi il prima possibile al campionato svizzero e a un nuovo stile di vita. Purtroppo la squadra visse un inizio di stagione negativo. Io debuttai alla terza giornata e cinque partite dopo cambiò l’allenatore. Una situazione interessante, mettiamola così. Fortunatamente Luca Gianinazzi ha svolto un buon lavoro con me. Ha capito come sfruttare al meglio le mie caratteristiche e un poco alla volta sono riuscito a trovare il mio ruolo in squadra».
Prima della pausa natalizia avete battuto per la terza volta i campioni dello Zugo e avete perso per la terza volta contro il neopromosso Kloten. La fotografia perfetta della vostra stagione.
«Prima di tutto diamo credito al Kloten, una squadra che merita più rispetto. Contro di noi ha giocato tre buone partite e i loro top player sono fantastici. Chapeau. Ovviamente noi non siamo stati all’altezza. In generale, fin qui, abbiamo mancato di continuità. È stata una stagione di alti e bassi. In questa seconda parte di regular season dovremo giocare al massimo livello con maggiore costanza. Abbiamo i giocatori per riuscirci. Ognuno di noi deve avere fiducia in sé stesso, nella squadra e nel sistema».
Da qui alla prossima pausa per le nazionali (5 febbraio), giocherete 14 partite in 34 giorni.
«Meglio così. Il mese di dicembre non mi è piaciuto. Abbiamo giocato solo sei partite. Troppi tempi morti: così è dura trovare ritmo. Ne ho parlato con altri giocatori, anche di altre squadre, e sono in tanti a pensarla come me. Noi vogliamo giocare a hockey, vivere l’atmosfera delle piste, salire su un bus e darci dentro ogni sera. Certo, gli allenamenti sono importanti per aggiustare le piccole cose, ma non è mai l’ideale avere troppo tempo per pensare tra una partita e l’altra. Spero che questo gennaio così fitto ci aiuti a cambiare passo una volta per tutte».
Alla Coppa Spengler hai potuto affinare la tua intesa con Carr, fin qui protagonista di una stagione molto sfortunata.
«Daniel ha attraversato mesi complicati, è vero. Credo che il torneo grigionese lo abbia aiutato a trovare ritmo e fiducia. La nostra linea è stata la migliore del Team Canada e questa chimica tornerà utile anche al Lugano. Io e lui sappiamo di poter dare molto ai bianconeri. Mi ripeto: davanti a noi abbiamo ancora 22 partite per fare la differenza e aiutare la squadra a vincere».
Natale non vuol dire solo Spengler, ma anche Mondiali Under 20. Che ricordi hai delle tue due partecipazioni?
«Da bambino, durante le feste, li guardavo in TV sognando di giocarli. La prima volta fu molto emozionante. Ti senti gli occhi della nazione addosso ed è proprio in quel momento che capisci di essere sulla strada giusta. Vedi la NHL un po’ più vicina. Oggi conservo tanti ricordi positivi, ma entrambe le esperienze furono segnate da due dolorose sconfitte contro la Russia. Nel 2011 perdemmo la finale 3-5 dopo essere stati avanti 3-0 al 40’. Nel 2012 perdemmo una semifinale ancora più incredibile: al 49’ eravamo sotto 1-6. Poi segnammo quattro gol in cinque minuti, ma non riuscimmo a pareggiare, uscendo sconfitti 5-6».
Sei stato la sesta scelta assoluta al draft NHL del 2010, sei stato un nazionale juniores e hai vinto una Stanley Cup con Washington nel 2018, segnando 6 gol in quei playoff. Da sempre convivi con aspettative e pressioni. A Lugano ne hai scoperte di nuove?
«Giocare da straniero in Svizzera è un tipo di pressione diverso, sì. Ma sono cambiato anch’io. Con gli anni ho imparato a gestire queste situazioni. Se hai figli, e io ne ho due, è più facile staccare la mente dall’hockey. Prima, quando tornavo a casa e mi sedevo sul divano con mia moglie, non ero mai veramente sconnesso da quanto succedeva sul ghiaccio. A Lugano ci si aspetta che io faccia sempre la differenza e va bene così. È una cosa che posso gestire. Qui mi diverto, amo i miei compagni e i tifosi sono fantastici. Capiscono e apprezzano quando dai tutto per la squadra. C’è passione. E c’è una voglia matta di tornare a vincere qualcosa. Sono felice di far parte di tutto questo. Oggi non siamo dove vorremmo essere, c’è ancora tanto lavoro da fare, ma abbiamo gli strumenti per cambiare rotta. Lo abbiamo già dimostrato: quando giochiamo nel modo giusto, possiamo sorprendere chiunque».