«Calciatori brutti» veste la Feralpisalò: e se la mossa facesse scuola?

Alla vigilia di ogni stagione, puntualmente, è uno dei temi di maggiore discussione. Quanto il mercato in entrata e in uscita, per intenderci. Parliamo del design scelto da club e sponsor tecnici per le divise da gioco delle rispettive compagini. E via di commento libero, tra l’ammirato e il risentito, per giudicare i differenti kit: partite casalinghe, trasferta, terza maglia, e via discorrendo. Già, tutto molto bello (o meno). Ma se a disegnare la maglia della squadra del cuore fossi proprio lui, il tifoso?
L’idea, tanto semplice quanto geniale, è venuta alla Feralpisalò. La formazione italiana, alla prima esperienza nella Serie B, è in piena lotta per non retrocedere. Più che per i risultati (in parziale ripresa, per altro), la sintesi calcistica delle cittadine di Salò e Lonato del Garda è però riuscita ad accendere i riflettori su di sé grazie a un’iniziativa diventata subito virale. Virale proprio perché nata in collaborazione con uno dei fenomeni social più apprezzati dagli amanti del pallone nella Penisola: Calciatori brutti. Sono bastati un post e una risposta provocatoria, a mo’ di sfida. E così, su mandato della Feralpisalò, il network nato nel 2012 con l’obiettivo di dare vita a uno spogliatoio virtuale ha offerto ai follower la possibilità di designare la quarta maglia del club. Come? Mettendo al voto tre modelli e permettendo altresì di optare per la frase da incidere nel colletto di ogni divisa. La presentazione del prodotto è prevista oggi a Milano, in uno store di corso Europa. I «Leoni» del Garda, invece, indosseranno il nuovo kit già sabato, in occasione della sfida casalinga contro il Parma capolista.
Perché a vincere sono in pochi
L’operazione, inedita a livello professionistico, ha centrato il bersaglio. Eccome. Calciatori brutti, d’altronde, è oramai presente su tutte le principali piattaforme e può contare su oltre 5 milioni di seguaci. Sino a qualche settimana fa, la Feralpisalò rappresentava per contro circa 25 mila abitanti e altrettanti follower su Instagram. Questi ultimi, ora, sono quasi 33 mila, mentre l’hashtag #Feralpisalò continua a farsi largo tra la spietata concorrenza social. Da un lato il piccolo club bresciano ha saputo allargare la base dei propri tifosi/simpatizzanti. Dall’altro quella che sarebbe stata una maglietta destinata all’oblìo diventerà verosimilmente un pezzo da collezione. Insomma, marketing allo stato puro. Ma in modo genuino e senza forzature.
«E il risultato mi piace davvero molto» afferma Federico Mari. Ticinese, e con un curriculum accademico impressionante fra Losanna, Barcellona, Milano e Harvard, il nostro interlocutore è un fine conoscitore dell’arte dello sport business. Già autore del podcast «Colpo di Testa», oggi collabora con la FIFA e - soprattutto - funge da consulente indipendente per i club. «Mi occupo dello loro sviluppo aziendale, a livello di gestione del brand, internalizzazione, digitalizzazione, supporto agli atleti e fan-engagement». Ecco, appunto. Come interpretare la mossa della Feralpisalò? «Beh, nel mondo vi sono migliaia di squadre. Pochissime, però, sono quelle in grado di vincere. Di qui la necessità, per le altre, di trovare delle vie attraverso le quali mettere in mostra la propria realtà, facendo sì che le relazioni verso i tifosi, gli sponsor e i partner non dipendano solo dalla conquista di un trofeo». In questo senso, stando a Mari, diverse cose si stanno muovendo. «Penso, restando in tema, alla sovrapposizione tra case di moda e calcio. L’interesse è reciproco: intercettare la massa di tifosi. Per riuscirci, tuttavia, bisogna assumersi dei rischi. Ragionare in modo innovativo. E l’idea della Feralpisalò, che tocca l’oggetto più rappresentativo del club - la sua maglia - costituisce un primo passo nella giusta direzione».


«Un’era più democratica»
Tutte le divise della società bresciana, va detto, sono autoprodotte. E, di riflesso, l’assenza di sponsor tecnici - con i loro vincoli contrattuali - si traduce in libertà di manovra. «Ma osare è possibile anche ai massimi livelli» precisa Mari, facendo l’esempio dell’Inter e delle magliette realizzate insieme allo sponsor Paramount+ per omaggiare le Tartarughe ninja e la saga Transformers. «Ogni club è unico, così come la sua storia che - agli occhi del pubblico - va sempre rispettata. A differenza del passato, oggi le società moderne sono però chiamate a rivolgersi a più target di tifosi, a più generazioni, con strumenti e stili di comunicazione specifici».
L’obiettivo, in fondo, è comune a qualsiasi società: coinvolgere il più possibile chi segue la squadra. «E mai come in questa fase, con un’industria immersa nel digitale, è possibile smarcarsi, ottenere successo e attenzione, anche se si è piccoli. Il caso della Feralpisalò dimostra che nessuno deve sentirsi spacciato in partenza. All’opposto, abbiamo la prova che una strategia creativa - se coraggiosa - può essere pagante. Ripeto: si tratta di un’epoca d’oro - e molto più democratica rispetto a un tempo - per chiunque sappia rischiare». E, al proposito, la Feralpisalò non si è fermata alla collaborazione con la community di Calciatori brutti. A fungere dai main sponsor sulla nuova divisa, con il celebre motto «Bada come la fuma», sarà l’Antico Vinaio, il marchio di schiacciate fiorentine più famoso al mondo. «Guarda caso - osserva Mari - un’altra piccola realtà locale che negli anni è riuscita ad allargare a dismisura il suo seguito, approdando persino negli Stati Uniti».
Sentirsi parte in causa
La Feralpisalò, dicevamo, ha teso una mano ai tifosi. Un’azione virtuosa, volendo esagerare. Altri, invece, preferiscono appropriarsi della voce dei fan. A seconda degli interessi in gioco. I sondaggi che spergiurano di abbracciare i desideri di chi si reca allo stadio o guarda il calcio sugli schermi si moltiplicano. Questo a favore della Superlega e dei Mondiali ogni due anni, quello a difesa dell’attuale modello, più conservativo. «Per permettere ai club e al sistema di non andare in bancarotta occorre equilibrio, rendendo centrale sia la figura del calciatore, sia quella del tifoso, senza il quale l’intero business verrebbe a cadere» rileva Mari: «Trasparenza e interazione, quindi, sono essenziali. A fronte delle varie forme d’intrattenimento a disposizione, il fan ha bisogno di sentirsi parte in causa. Vuole vedere il dietro le quinte, capire cosa significa lavorare per il club tanto amato, esserne quasi proprietario». E se tutto va bene decidere pure come vestire i giocatori.