Calcio

Angelo Renzetti si congeda: «Sì, è stata una follia»

Intervista al presidente uscente del FC Lugano, a poche ore dal passaggio di consegne a Joe Mansueto: «Ho commesso tanti errori di forma, ma la sostanza l’ho sempre soppesata bene» - IL VIDEO
Angelo Renzetti, 67 anni, si gode la nuova dimensione da presidente uscente. ©CdT/Gabriele Putzu
Massimo Solari
19.08.2021 20:28

«Serena, il solito per favore: due cornetti, un cappuccino con tanta schiuma e una spremuta al pompelmo». Abitudine. Per Angelo Renzetti, però, la colazione con vista all’hotel Villa Sassa oggi aveva un gusto speciale. Quello della libertà e della realizzazione. «Sì, la cessione del Lugano a Joe Mansueto è stata la vittoria più bella».

Presidente Renzetti, come ha dormito dopo il passaggio ufficiale di consegne alla nuova proprietà?

«Molto bene. Invero, è da diverse notti che il sonno è conciliante. Da subito ho compreso la serietà, la solidità e la determinazione di Mansueto e i suoi collaboratori. Abbiamo colto un’opportunità incredibile, a maggior ragione tenuto conto che l’auto su cui viaggiavamo - oramai - non aveva più benzina. Per fortuna - restando nella metafora - abbiamo avuto la forza di spingere ancora un po’. E alla fine, all’orizzonte, è apparso il distributore di cui avevamo bisogno».

Eppure siamo un pochino offesi. Poche settimane fa aveva affermato che la soddisfazione più grande era l’aver letto, al 15 orizzontale del cruciverba del CdT, «il presidente del FC Lugano».

«Quella era una battuta (ride, ndr.). Scherzi a parte, giuro che mi aveva fatto molto piacere imbattermi in questa definizione. Io, umile disegnatore edile, figlio di emigranti, che ha cercato di fare il meglio possibile alla testa di una squadra di calcio».

La presentazione dei nuovi amministratori del club è stata a tratti surreale. Il Ticino, in effetti, non aveva mai avuto a che fare con un’organizzazione sportiva ed economica così potente...

«Credo che l’operazione farà molto bene all’autostima della città e del cantone. E, in generale, della società. Tutti, a mio avviso, hanno qualcosa da guadagnare da questo insediamento. Detto ciò, ho percepito del sano realismo nei discorsi di Mansueto e dei suoi uomini. Insomma, non ci hanno fatto vedere la luna. Almeno inizialmente, gli ostacoli da superare saranno diversi. I diretti interessati ne sono consapevoli. Ed è bene che lo sia anche l’ambiente luganese. Poi, certo, alla lunga sono convinto che la nuova gestione si rivelerà vincente. Ripeto: sono rimasto impressionato dallo spessore di chi si è presentato al pubblico. Prima di esporsi, Joe si è preparato tantissimo. Sul passato, il presente e il futuro della società che in tanti amiamo. L’augurio - ma un certo timore rimane - è che il Ticino sappia fare tesoro di queste risorse. Purtroppo, nella nostra realtà c’è chi preferisce gioire quando le cose vanno male. Le condizioni quadro uniche di cui disponiamo, invece, andrebbero sfruttate con maggiore coraggio e costruttività».

«Vendere il Lugano non è come vendere un pacchetto di caramelle». Ripetuta a scadenze regolari, questa sua frase è diventata celebre. Alla fine è riuscito a valorizzare la sua creatura. Un’altra bella soddisfazione, vero?

«Una volta firmati i contratti, Mansueto mi ha mandato una bellissima e-mail. Colma di gratitudine e rispetto. Cosa, va da sé, che mi ha riempito d’orgoglio. Se un imprenditore è disposto a pagarti per la società che hai gestito a lungo, significa che - tutto sommato - è stato fatto un buon lavoro. E infatti siamo in Super League da sette anni, con risultati più che dignitosi a fronte di mezzi contenuti. Averlo riconosciuto, denota una grande sensibilità».

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Senza voler tracciare dei parallelismi che non hanno ragione d’esistere. Dopo quello sentitissimo a Marco Borradori levatosi dalle tribune di Cornaredo, la «piazza» - presente al Palazzo dei Congressi - ha voluto riservare anche a lei un applauso spontaneo. È un gesto che ha apprezzato?

«Naturalmente. Mi ha emozionato. Lusingato, anche. La riconoscenza più importante, comunque, l’ho assorbita da chi in questo periodo ha lavorato al mio fianco. Apprezzando la mia persona e le mie idee. Non a caso le sensazioni più forti, forse, le ho provate ripensando a tutto il mio percorso alla testa del Lugano. Onestamente, non avrei mai creduto di potercela fare. E, men che meno, di poter chiudere in questa maniera. Non sono stati anni facili. Ho vissuto attimi di euforia, ma pure momenti di grande difficoltà. Il numero di trattative intavolate per provare a vendere le mie quote societarie - ben 94 - deve fare riflettere. Ho girato mezzo mondo e quando mi sono convinto definitivamente che dovevo lasciare, è arrivata - come una mazzata - la pandemia. Per tacere della questione stadio, di fronte alla quale si sono fermati diversi investitori. La stessa appendice, per quanto positiva, è stata logorante. Il mio compagno di viaggio in società aveva giustamente delle aspettative. E, insieme, abbiamo commesso dei passi falsi».

A proposito di errori. Mercoledì, con grande modestia e umanità, ha voluto chiedere scusa per quelli in cui è incappato durante la sua presidenza. Pensava a qualcosa in particolare?

«I miei errori, sovente, interessano la forma. Che ha una sua valenza, sia chiaro. Sbaglio perché sono un impaziente, impulsivo e coraggioso, che di tanto in tanto osa cercare il limite. Ma quando sei chiamato a gestire qualcosa più grande di te, da solo, poco importa se non porti la cravatta e la giacca. Conta esserci. La sostanza, al contrario, credo di riuscire a soppesarla piuttosto bene. Anche perché, solitamente, tocca la mia persona. E nel limite delle possibilità, su questo piano scivolo raramente. In ogni caso, sono sempre stato me stesso. Nel bene e nel male».

Sì, Angelo Renzetti è stato un presidente impulsivo. Martin Blaser, nuovo CEO, ha invece già messo le mani avanti. «Non commenterò mai una partita o la prestazione di un centrocampista». Un approccio un po’ diverso dal suo...

«Blaser è un grande professionista. Ha capacità manageriali fuori dal comune e sono davvero felice che - d’ora in avanti - gestirà il Lugano. A differenza mia, però, avrà uno stipendio, sarà coperto da Joe Mansueto e affiancato da Georg Heitz. Il paragone con la mia figura, insomma, è impossibile. Agendo da solo e portando sulle spalle tutta la responsabilità, il mio coinvolgimento è stato giocoforza totale».

Se ripensa al 2010, quando ha assunto la presidenza del club bianconero, che Angelo vede?

«Come dicevo poc’anzi, non avrei mai pensato di arrivare sino a questo punto. E se è successo, è perché mi sono sacrificato tantissimo: a livello fisico, psichico ed economico. Chi, in questi undici anni, mi ha osservato dall’esterno - e penso soprattutto a mio figlio, a mia moglie, coloro che mi hanno voluto bene - non ha esitato a parlare di follia. E adesso, a bocce ferme, non posso che dare loro un po’ di ragione. Aver fatto qualcosa per il bene della città, degli sportivi, mi carica tuttavia di gioia. Sentirsi realizzato è uno dei sentimenti più intensi e piacevoli. Fallire sul più bello, consegnando la società in mani sbagliate, mi avrebbe al contrario arrecato molta frustrazione. Non a caso ho ripreso subito in mano le operazioni quando la soluzione De Souza si è rivelata inconcludente».

Il disorientamento (positivo) che provano in queste ore i tifosi e gli addetti ai lavori è anche dovuto allo scarto clamoroso tra la credibilità della cordata italo-brasiliana e quella, nuova, americana e svizzera. Qual è la sua interpretazione in merito?

«In fondo è stato il leitmotiv degli ultimi anni. Un continuo saliscendi. Con promozioni scialacquate all’ultimo, alternate - per esempio - a qualificazioni all’Europa strappate in modo incredibile. Alla fine, comunque, conta l’epilogo. Il come si esce di scena. E, non ho paura a riconoscerlo, io sono stato anche fortunato».

La presidenza del Team Ticino mi appassiona. Non avrei problemi a restare in sella

Ha parlato dei suoi affetti. Come hanno vissuto la rosea evoluzione degli ultimi giorni?

«Sono molto contenti per me. Prima di arrivare a questo esito felice, tuttavia, abbiamo dovuto fare i conti con alcune tensioni. Anche importanti. Non dico che si è arrivati ai ferri corti, ma ci è mancato poco. Sia mio figlio, sia mia moglie, volevano proteggermi. Farmi presente dei pericoli ai quali stavo andando incontro. Di norma, quello che si adopera per preservare chi gli sta attorno, è però il sottoscritto. Di qui un certo fastidio, dal momento che vivevo questi moniti come un ulteriore fardello. Ora è tutto finito. Sono tranquillo. E dei ringraziamenti, se possibile, sono doverosi».

Prego.

«Ci sono delle figure che mi hanno aiutato moltissimo. Da Michele Campana agli altri ragazzi, passando per i collaboratori dell’amministrazione. O ancora Eugenio Jelmini, l’avvocato Gianluca Airaghi, il direttore del dicastero Sport Roberto Mazza, che ha spinto tantissimo insieme a noi su diversi temi. E mi scuso per le molte altre persone che sto dimenticando. Oltre al lavoro, tutti loro mi hanno dato fiducia. E quando qualcuno ti dà fiducia, ti dà tutto».

Cosa farà da grande Angelo Renzetti?

«M’interessano solo la serenità e l’integrità fisica. Il calcio, va da sé, rimane una passione. Continuerò a discuterne e a seguirlo. Ma non ho mire particolari. Semmai, forte di un’esperienza decennale, cercherò di fornire il mio contributo, la mia visione su dossier e argomenti puntuali».

E quale sarà il suo buen retiro? Il Ticino o Pescara?

«Un po’ qui e un po’ là. Diciamo che in Ticino sono un po’ più libero, mentre a Pescara c’è mia moglie (ride, ndr.)».