L’anniversario

Cagliari, 50 anni di uno scudetto entrato nel mito

Il 12 aprile 1970 la squadra trascinata da Gigi Riva si laurea campione d’Italia: un’impresa diventata leggenda - Per la Sardegna è un riscatto sociale, un urlo che cancella sofferenze e umiliazioni
L’undici cagliaritano che vinse il campionato 1969-’70. © Wikipedia
Paride Pelli
11.04.2020 11:51

Il 50. anniversario di uno scudetto magico festeggiato in un periodo cupo e sfortunato. Cagliari si appresta, domani, a salutare in silenzio il mezzo secolo dello storico tricolore – l’unico nella storia di un club che taglia pure il traguardo dei 100 anni di storia, fu fondato infatti il 30 maggio 1920 – rinviando a data da destinarsi tutte le celebrazioni. Una beffa per il sodalizio del presidente Tommaso Giulini, che per sottolineare le due ricorrenze aveva dato vita la scorsa estate ad un mercato ricco che inizialmente aveva permesso alla squadra rossoblù di stabilirsi nei quartieri alti della classifica, addirittura in zona Champions. Poi il calo, quasi un crollo, il cambio di allenatore (con Zenga che però non ha ancora avuto la possibilità di esordire in panchina e forse non l’avrà mai) e, infine, la pandemia. Non c’era periodo peggiore per il Cagliari per rinverdire ricordi indelebili, per rivivere emozioni uniche. Per la Sardegna tutta quel trionfo fu una sorta di rivincita: sociale, prima che sportiva. Quell’isola lontana circondata dal Mediterraneo non era certo, nella prima metà degli anni Sessanta, la meta ambita di oggi, con le spiagge da cartolina e la tavolozza di colori che rende unico il suo mare, «mari pintau» per dirlo alla sarda.

Negli stadi ci chiamavano pecorai e banditi, e io mi arrabbiavo: poi però vedevamo solo tante facce di emigrati, la loro gioia era il nostro orgoglio

«Mi comunicarono che c’era una squadra di serie B disposta a pagare 37 milioni di lire per avermi. Poi mi dissero che era il Cagliari: a me però pareva l’Africa. Nelle chiacchiere dell’epoca era l’isola dimenticata, dove mandavano la gente in punizione. Il Cagliari? Ma proprio laggiù devo finire? Non ci andrò mai». Sono passati 57 anni da quelle parole, e Gigi Riva, allora neppure ventenne, non solo a Cagliari ci andò, ma ci è poi rimasto e vi rimarrà per sempre. Niente e nessuno potrà strapparlo alla terra che tanto ama e che gli sarà sempre riconoscente per quello scudetto straordinario e per il rifiuto altrettanto clamoroso – nessuno come lui – alla Juventus di Boniperti che offriva in cambio due miliardi cash o, in alternativa, un miliardo più sette giocatori. Correva il 1973: Riva aveva 29 anni e il ciclo di quel Cagliari era agli sgoccioli, con il suo apice raggiunto il 12 aprile 1970 con la conquista del tricolore (con due turni di anticipo) grazie alla vittoria allo stadio Amsicora contro il Bari.

Riscatto sociale, dicevamo: quello di una regione che riscopre un orgoglio a lungo sopito; lo scudetto è un’emozione che cancella in un sol colpo l’isolamento, non solo geografico, le sofferenze e le umiliazioni. L’Italia intera applaude al Cagliari dopo averne simpaticamente seguito le gesta e l’incredibile crescita fin dai primi anni nella massima serie. «A Milano e Torino ci chiamavano pecorai e banditi e io mi arrabbiavo: poi però vedevamo solo tante facce di emigrati. La loro gioia era il nostro orgoglio» dichiarò sempre Riva.

Il Cagliari scudettato diventò così un mito. Ma era soprattutto, nel campionato 1969-’70, una grande squadra, dal numero 1 (Albertosi) al numero 11, giggirriva appunto. In mezzo altri grandi interpreti, diretti magistralmente in panchina da Manlio Scopigno: il filosofo, così fu ribattezzato, si inventò la «zona mista» e il primo centrale moderno davanti alla difesa (il capitano Pier Luigi Cera). Dietro, un libero (Giuseppe Tomasini) oltre a tre marcatori: Comunardo Niccolai, celebre per i suoi autogol ma giocatore di grande temperamento, Mario Martiradonna e Giulio Zignoli detto «il pretino», mancato prematuramente nel 2010 dopo essere diventato un imprenditore di successo molto conosciuto anche a Lugano, dove aveva aperto un negozio di arredamento d’interni. Quattro i centrocampisti: il già citato Cera, poi Angelo Domenghini (ala-tornante), Olinto Claudio de Corvalho ai più conoscituo come Nenè e Ricciotti Greatti (con Mario Brugnera prima alternativa). Due punte: «Rombo di tuono», ovviamente, e poi il centravanti Sergio «Bobo» Gori. Una squadra spettacolare, che segnava tanto e subiva poco, anzi pochissimo. Non è un caso che Riva vinse la classifica marcatori con 21 gol e Ricki Albertosi fu superato appena 11 volte (record assoluto nel campionato a 16 squadre).

Gran merito per la costruzione di quella corazzata andò ad Andrea Arrica, soprannominato «la volpe» per la sua fama di sagace uomo-mercato. Rimane un rimpianto: quel Cagliari era una squadra che avrebbe potuto vincere molto di più, soprattutto se Riva non si fosse gravemente infortunato la stagione successiva, al Prater di Vienna, con la maglia azzurra, falciato da un intervento assassino dell’austriaco Hof. Ma forse, oggi, quello scudetto leggendario non avrebbe lo stesso sapore.