C'è un po' di Ticino nella Kings League italiana grazie a Michael Casanova
La Kings League è qui. Oddio, non proprio qui: in Italia. Ma anche in Ticino, volendo (ci arriveremo). Il Teatro Regio di Torino, ieri, ha ospitato il cosiddetto draft del torneo. La prima, primissima Kings League, giova ricordarlo, venne fondata nientepopodimeno che da Gerard Piqué nel 2022. Si tratta di una lega di calcio a sette con regole differenti rispetto al calcio cui siamo abituati. Fra queste, citiamo le sostituzioni illimitate o l’implementazione di armi segrete al fine di aggiungere dinamismo e, soprattutto, intrattenimento alle partite. Il debutto ufficiale è previsto fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. In attesa di comunicazioni ufficiali, e qui veniamo agli addentellati ticinesi, alla Kings League italiana parteciperà altresì lo speaker di Radio 3i nonché influencer («ma io preferisco dire content creator» ci tiene a sottolineare) Michael Casanova. Nello specifico, sarà l’allenatore dei portieri del Black Lotus FC, la squadra dei presidenti Off Samuel e Sergio Cruz. E noi, beh, ci siamo rivolti proprio a Michael per capirne di più.
Cominciamo dalla
fine, ovvero dal draft di ieri sera a Torino. Che effetto fa ritrovarsi
in mezzo a grandi nomi del calcio italiano e internazionale? E come sono
arrivati, quelli del Black Lotus, a Michael Casanova?
«È successo tutto in
pochi, pochissimi giorni volendo rispondere all’ultima parte della domanda.
Sono stato contattato dai presidenti del Black Lotus. Mi hanno semplicemente
chiesto: ti va di venire a fare l’allenatore dei portieri? Credo che, in parte,
il mio passato come calciatore professionista abbia avuto un peso, mentre dall’altra
hanno pesato le mie attività social. Avevo, insomma, un doppio profilo che ai
loro occhi dev’essere piaciuto. Quanto al draft, devo dire che è stato
incredibile ritrovarmi in mezzo a gente come Ciro Ferrara, Perin, Fedez,
perfino Luciano Moggi. Non c’era Zlatan Ibrahimovic, il presidente della Kings
League italiana, a cui avrei voluto dire bella gianda. Pazienza, sarà per
la prossima volta. La serata di Torino, in ogni caso, mi è piaciuta perché ho
potuto osservare e apprezzare l’organizzazione dietro a un evento simile. Ho
capito, nemmeno il tempo di mettere il piede sul tappeto rosso, che questa Kings
League può vantare un budget importante. Lo stesso Teatro Regio era
meraviglioso, luccicante, sfarzoso. Fare parte di tutto questo, anche solo come
allenatore dei portieri, è un motivo d’orgoglio per me. Non solo, la Kings
League mi consentirà di parlare e confrontarmi con gli altri content creator».
Curiosità: perché
influencer non è un termine corretto?
«Diciamo che potrebbe
avere un’accezione negativa, ecco. Preferisco e preferiamo content creator
perché un content creator può sopravvivere anche senza un seguito oceanico. L’influencer,
al contrario, dipende fortemente dal suo pubblico».
L’Italia ha già
conosciuto un prodotto simile a questo, ovvero la Goa7 League, ma l’aspetto più
interessante della creatura di Gerard Piqué è proprio questo connubio fra
calcio e social. Due mondi apparentemente lontani che si uniscono.
«La differenza con la Goa7
League, forse, è che la Kings League non credo scada o scadrà nella volgarità,
cosa che invece è successa proprio in occasione della Goa7 League, che peraltro
non è esplosa come uno si sarebbe aspettato. Anche perché quando sei volgare,
poi gli sponsor si allontanano. La Kings League, per quanto ho potuto vedere, è
un ambiente sano, pulito, tant’è che vi ruotano attorno una marea di partner».
Piqué, dunque, ci ha
visto giusto?
«Sì, nella misura in cui –
appunto – ha impostato una linea editoriale, se così vogliamo chiamarla, che
strizza l’occhio alle famiglie da un lato e ai citati sponsor dall’altro. A un
pubblico mainstream, che vuole divertirsi. La Goa7 League, invece, è destinata
a un pubblico più giovane e tendenzialmente più abituato al trash».
Qui, però, veniamo al
nocciolo della questione: c’è chi punta il dito anche contro la Kings League,
dicendo che non è più sport ma showbusiness, pensando in particolare a regole
come quella di far calciare il rigore al presidente. È davvero così?
«Difficile rispondere. È
una critica su cui, in parte, ho ragionato anche io. Credo, però, che all’interno
di un torneo e una lega del genere ci sia ancora spazio per il calcio. Per la
competizione, intesa come dare tutto per vincere. Piqué, a mio avviso, ha comunque
riservato un ruolo da protagonista al calcio. Non è spettacolo, insomma. O non
solo. È un torneo calcistico con alcune aggiunte, anche interessanti. Ho
parlato con il Black Lotus, ho visto con quanta e quale serietà intendono
impostare la preparazione al torneo e gli allenamenti. Siamo e saremo una
squadra vera, ecco. Che curerà, dunque, pure l’aspetto atletico e quello
tattico».
Ci sarà equilibrio
fra l’anima caciarona, diciamo, e quella puramente sportiva, par di capire.
«Sì, anche se poi lo
spettacolo rimarrà comunque un passo avanti al resto. È chiaro. E tutti lo
accettano. Ma per spettacolo intendiamo anche lo spettacolo del campo: le
giocate, i gol, le partite. Basti pensare alle wild card, cioè ai calciatori
che si possono prendere senza passare dal draft. I nomi che circolano
sono tutti di grandi ex. Ieri, in collegamento dal Brasile, c’era ad esempio
Kakà, che lancerà il torneo nel suo Paese. Insomma, nella Kings League stanno
confluendo i campioni più profilati degli ultimi decenni».
Come cambia il ruolo
del portiere e, quindi, di un allenatore dei portieri pensando a un campo per
giocare sette contro sette?
«Mi rifaccio alle parole
di Gigi Buffon in occasione del lancio della Kings League italiana: un
portiere, alla fine, deve parare, al di là del fatto che la porta rimane grande
mentre il campo è decisamente più piccolo. Poi, certo, le misure e la
profondità sono differenti e, di conseguenza, il modo di stare in porta non può
essere lo stesso che a undici. A mio avviso, per giocare sette contro sette non
serve essere altissimi. Bastano buoni riflessi, una reattività felina e poco
altro. Detto questo, uno come me, che con i piedi la sparava oltre il tetto della
tribuna o, nella migliore delle ipotesi, pescava Dante Senger lungo, nel calcio
di oggi, sia quello a undici sia quello della Kings League, non avrebbe avuto
spazio: avevo piedi pessimi, davvero».
Ultima domanda: il
Casanova content creator come racconterà la sua avventura in Kings League?
«Sui social sono famoso
perché verifico le cose più inutili, come quanti bicchieri servono per riempire
una piscina, o perché misuro cose assurde. Ma anche il calcio ha sempre trovato
posto sui miei profili, al di là delle attività che faccio con il Milan a San
Siro. I miei follower, perlopiù giovanissimi, sanno che in passato sono stato
un portiere ad alti livelli. E sanno che ho lasciato quel mondo a ventitré
anni. È un filone che il mio pubblico conosce e che, dunque, mi permetterà di
entrare nella Kings League con una certa coerenza. Questa esperienza, allargando
il discorso, mi permetterà di farmi conoscere anche a fette di pubblico più in
avanti con gli anni».
Scherzavamo sull’ultima
domanda, in realtà ne abbiamo ancora una: che contenuti potrà proporre Michael
Casanova all’interno del calderone della Kings League?
«Diciamo che non c’è una
regola fissa. Nel calcio vero, per dire, mai avrei immaginato di portarmi il
cellulare in panchina. Qui, invece, potrò farlo. E magari commentare alcune
giocate in diretta, che ne so. Per la creatività che mi contraddistingue, di
per sé, è un grande stimolo».