La sfida

Celje contro Lugano, le mille vite di Albert Riera e la prova del nove del Crus

I due tecnici sono nati a cinque giorni di distanza: domani, si giocano tanto negli ottavi di Conference League – Lo spagnolo è stato spesso divisivo, Croci-Torti non vuole iniziare ora...
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Massimo Solari
05.03.2025 19:45

È stata la dimora di una delle dinastie più potenti d’Europa. E le rovine dell’imponente castello medievale, senza eguali in Slovenia, sono lì a testimoniarlo. Celje è la città dei conti e a Celje i conti dovranno in qualche modo tornare. O per Albert Riera, alla testa del club di casa, o per Mattia Croci-Torti, capostipite del Lugano. I due allenatori, che domani sera (21.00) si affrontano negli ottavi di finale di Conference League, sono nati a cinque giorni di distanza. Il Crus il 10 aprile 1982. Lo spagnolo il 15. Eppure, al netto di una culla e di ambizioni continentali comuni, si tratta di personaggi profondamente diversi. Da un lato le mille vite e le molteplici peripezie calcistiche di Riera. Dall’altro la «nostranità» e autenticità di Croci-Torti. Entrambi, però, stanno attraversando un periodo complicato. Entrambi, con le rispettive squadre in difficoltà, si giocano dunque molto.

Un talentuoso giramondo

Campione sloveno in carica, lo Celje aveva abbracciato la stagione con l’obiettivo di ripetersi. E per farlo, un po’ a sorpresa, era tornato ad affidarsi a Riera, fuggito in fretta e furia dal fallimento del Bordeaux, dopo che nell’autunno del 2023 non aveva tuttavia esitato a mollare gli sloveni per misurarsi proprio con il suo ex club in Ligue 2. Sì, perché il 42.enne nato a Manacor è stato un calciatore dei Girondins. Ma, tenetevi forte, anche di Maiorca, Espanyol, Manchester City, Liverpool, Olympiacos, Galatasaray, Watford, Udinese, Zavrč, Koper e - in Siberia, dove ha sposato Yulia, madre dei suoi tre figli - Tom Tomsk. Insomma, un giocatore-giramondo, talentuoso e pure di un certo calibro, considerati i 16 gettoni con la Spagna. Sia in campo, sia dalla panchina, Riera ha inoltre fatto parlare di sé in svariate occasioni.

Se ho il timore di non fare più l'unanimità tra i tifosi? Fa parte del gioco, anzi è una situazione che mi carica
Mattia Croci-Torti, allenatore FC Lugano

Un occhio nero e il flop Udinese

Quattro episodi, in particolare, hanno fatto balzare l’iberico agli onori della cronaca. Ai tempi del Liverpool - società che lo acquistò per 8 milioni di sterline nell’estate del 2008 - Riera costrinse Rafa Benitez a metterlo alla porta. Il motivo? Lo scarso impiego della seconda stagione e, soprattutto, una dichiarazione tutto fuorché diplomatica circa i metodi del connazionale: «Non ha mai risolto una situazione con un giocatore parlando con lui. Il suo dialogo è praticamente nullo». Ahia, appunto.

Ancor più celebre, però, fu la rissa con Felipe Melo, suo compagno al Galatasaray. Correva l’aprile del 2012 e a ridosso dei playoff del campionato turco un alterco iniziato in allenamento venne poi regolato a cazzotti in spogliatoio. Fatih Terim sospese entrambi per una partita. «Anche se qualche ora dopo l’accaduto eravamo seduti insieme a bere un bicchiere di vino e a scusarci a vicenda» ebbe modo di spiegare Riera a The Athletic nel settembre del 2022. Nei giorni successivi alla rissa, tuttavia, l’esterno spagnolo non riuscì a camuffare un occhio nero. Ahia, di nuovo.

Le versioni divergono altresì in merito alla breve e infelice parentesi con la maglia dell’Udinese. Finito al Watford da svincolato, nel 2014 Riera gravitava nell’orbita dei Pozzo e voleva fortemente la Serie A. La Serie A, tuttavia, non esitò a rigettare il diretto interessato, cavalcandone infortuni e comportamenti infelici. A novembre, non a caso, la rottura era già totale. Stando ai media locali, Riera pago carissima la partecipazione a un torneo di poker a Nova Gorica. Mentre lui incassava 3.550 euro, classificandosi secondo al tavolo finale, l’Udinese ospitava infatti il Chievo. «La vicenda mi sconvolse, perché si trattava di una bugia» tenne a chiarire a posteriori il maiorchino. «Non ho mai perso nessuna sessione di allenamento o partita, ma i giornali scrissero falsità». Okay. A non facilitare la vita e la reputazione di Riera, però, fu anche un tweet del 24 ottobre: «Il Galatasaray è stato il miglior club in cui sono stato, l’Udinese il peggiore». Con tanti cari saluti.

«Arrogante e irrispettoso»

Albert Riera, ad ogni modo, non è uno sprovveduto. Anzi. Lo suggerisce il suo curriculum - arricchito da titoli conquistati in Turchia, Grecia, Spagna, da diverse presenze in Champions League e una Coppa UEFA persa in finale -, ma lo certifica pure il suo percorso da allenatore. Riera, per dire, ha ottenuto il patentino studiando al fianco di Xabi Alonso, Xavi Hernandez e Raul. Non solo. In Slovenia - alla prima esperienza da tecnico principale e dopo aver fatto da vice a Terim al «Gala» - Riera ha già messo le mani su un titolo: con l’Olimpija Ljubljana, nel 2023. E la miccia di quell’avventura trionfale rappresenta il quarto episodio controverso dell’attuale mister dello Celje. La conferenza stampa di presentazione all’Olimpija, in effetti, venne bruscamente interrotta dall’irruzione di alcuni ultras, furiosi con il club per la separazione dal vecchio allenatore e leggenda Robert Prosinečki. I fatti, dicevamo, diedero ragione a Riera e alla sua filosofia. «Mi riconosco in quello che sostenne Marcelo Bielsa. E cioè che ci sono due modi di giocare a calcio. Uno è aspettare l’errore dell’avversario. L’altro è giocare con personalità e cercare di provocare l’errore dell’avversario. Io preferisco il secondo. Voglio che la mia squadra sia protagonista, che senta di essere superiore all’avversario».

Eccola, infine, una concreta convergenza con Mattia Croci-Torti. Il ticinese, a differenza dell’omologo spagnolo, non è tuttavia disprezzato da molti colleghi. Per la precisione, Riera ha fatto terra bruciata in Francia, attaccando senza filtri predecessori, gioco altrui e arbitri. «È irrispettoso, arrogante e non ha umiltà» il ritratto, in sintesi, del soggetto iberico. Un personaggio spesso e volentieri divisivo che non sta riuscendo a spingere il Celje oltre il 5. posto in campionato, ma che potrebbe portare per la prima volta un club sloveno ai quarti di finale di una competizione continentale.

È un'opportunità per invertire la tendenza, ma anche un appuntamento con la storia
Mattia Bottani, attaccante FC Lugano

Tre sconfitte filate bastano

Fedelissimo a sole due società - Chiasso e Lugano -, il Crus ha invece fatto quasi sempre l’unanimità in Ticino. A maggior ragione nelle ultime, inebrianti stagioni alla guida dei bianconeri. È di un aggregatore e persino di un idolo che parliamo; non si spiegherebbero in altro modo i travestimenti da Croci-Torti spuntati al Rabadan. I risultati negativi ottenuti negli scorsi giorni, con la clamorosa eliminazione ai quarti di Coppa per mano del Bienne e una rincorsa al titolo che si è fatta claudicante, potrebbero tuttavia incrinare gli umori della piazza. O meglio, di una parte dei tifosi. «Farebbe parte del gioco essere messi in discussione in caso di 5-6 sconfitte consecutive» rileva il 42.enne momò nella pancia dello Z’dežele Stadium. Per l’allenatore del Lugano, la sfida contro il Celje rappresenta quindi una prova del nove. «Perché perderne tre di fila è successo diverse volte, ma a quota quattro il mio Lugano non ci è mai arrivato. Situazioni del genere, delicate, forgiano comunque il carattere di un allenatore. Mi danno tanta forza, sì. Perciò non subisco il momento, ma - al contrario - sono più carico del solito». Per gli ottavi di Conference, Croci-Torti sarà orfano di Aliseda, Bislimi, come pure di Vladi e Mahou (rispettivamente out per 4 e 6 settimane). Provvidenziale, nel cuore del campo dovrebbe invece rivedersi Grgic, mentre dopo tre gare senza reti, a fare la differenza in fase offensiva sarà chiamato il terzetto formato da Steffen, Koutsias e Bottani. «Questa partita, oltre a costituire un appuntamento con la storia, è un’opportunità enorme per invertire la tendenza» rileva il capitano. «È una fase delicata della stagione, e però - con un match di questa portata - non servono particolari motivazioni esterne. No, semplicemente ciascuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Io per primo, tenuto conto del mio ruolo e dell’importanza delle giuste decisioni negli ultimi 30 metri». E al triplice fischio finale capiremo se e per chi i conti sono tornati.

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