«Da Silva, quella è la porta»: e non servono spiegazioni
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Clamoroso a Cornaredo. O forse no. Carlos Da Silva è stato esonerato con effetto immediato dall’FC Lugano. E, in questo senso, la notizia non può non destare un certo scalpore. La squadra bianconera, d’altronde, occupa il primo posto in classifica, punta concretamente al titolo e continua ad alimentare le proprie ambizioni sul campo e fuori. Il silenzio del club, che si è limitato ad annunciare il licenziamento del 41.enne, non contribuisce poi a fare piena chiarezza sulla situazione. E sulle dinamiche che, appunto, hanno portato all’interruzione del rapporto di lavoro nel pieno della stagione. Anzi. Le speculazioni, anche tendenziose, non hanno tardato a farsi largo.
Il declassamento
Rimanendo su un piano strategico e persino ideale, la decisione presa dalla società è invece sorprendente sino a un certo punto. Dal 1. gennaio, lo ricordiamo, Da Silva aveva cambiato ruolo. No, non una promozione, ma qualcosa di molto più vicino a un declassamento. Per volontà e investitura della proprietà, decisa a cambiare aria nelle posizioni chiave pure a Chicago, ad assumere l’incarico di Chief Sports Officer è stato Sebastian Pelzer, ex direttore tecnico dei Fire. E, di riflesso, Da Silva è stato costretto a fare un passo indietro, accettando la soluzione di ripiego creata ad hoc dalla dirigenza. Quale? La responsabilità della prima squadra. O, se preferite gli anglicismi da tempo abbracciati dal club, la funzione di Head of First Team.
Che il diretto interessato non avesse accolto benissimo la scelta dei superiori, di fatto, era un segreto di Pulcinella. D’altro canto, Da Silva si è ritrovato di colpo dietro le quinte, privato di un potere decisionale di per sé già esiguo - considerato la centralità di Chicago - e però anche di una rilevante visibilità mediatica. Pelzer, detto altrimenti, si è preso la scena in tutto e per tutto. Marginalizzando e fragilizzando il collega, anche - e soprattutto - agli occhi di uno staff tecnico e uno spogliatoio che nel giro di poche settimane si sono ritrovati a dover fare i conti con un’evidente sovrapposizione di ruoli e interlocutori.
Gli interrogativi
In questo senso è lecito chiedersi in che misura l’addio di Da Silva intaccherà l’ambiente bianconero. Detto che, come precisato dalla società, si è proceduto «per effetto della disdetta ordinaria del rapporto di lavoro» e «nel contesto della pianificazione delle prossime stagioni», non tutto sembra tornare. Un po’ come era già accaduto con il repentino allontanamento del «prof» Nicholas Townsend, nel novembre del 2023. Guarda caso, il comunicato redatto allora dal club presentava formulazioni identiche. E anche in quel caso i dirigenti bianconeri si erano trincerati dietro il silenzio stampa.
Eppure, gli interrogativi sono molteplici. Si moltiplicano, anche. Perché, al netto dei termini di disdetta finalizzati a giugno, provocare lo strappo proprio in questa fase «delicata» della stagione? E perché dare disdetta il 18 febbraio, con una certa urgenza dunque, e non a fine mese? E poi: per quanto il malcontento di Da Silva potesse rientrare nella logica delle cose, come giustificare le dichiarazioni entusiastiche di fine novembre, quando per l’appunto era stato resa nota la riorganizzazione all’interno del Dipartimento sportivo? Ci limitiamo a riproporle. Da un lato il CEO Martin Blaser: «Siamo molto lieti di poter continuare a contare sulla preziosa esperienza di Carlos Da Silva». Dall’altro l’ex direttore sportivo: «Nel mio nuovo ruolo di Head of First Team, sono pronto a dedicarmi con entusiasmo allo sviluppo della nostra Prima squadra». È durata poco.