Dal grande Bazar di Istanbul al mercato del Lugano
Oltre ai match analyst del prossimo avversario in Europa, Partizan Belgrado (probabile) o Dinamo Kiev (stasera in campo forte del 6-2 firmato all’andata), una figura in particolare rischia di vedere aumentare il proprio carico di lavoro dopo l’impresa accarezzata dal Lugano a Istanbul. No, non parliamo del tecnico Mattia Croci-Torti, ma del direttore sportivo Carlos Da Silva. E insieme a lui, allargando il discorso a Chicago, del Dipartimento chiamato a gestire il mercato.
Contro il Fenerbahçe alcune pedine bianconere hanno impressionato. Pedine per altro già finite sui taccuini di diversi dirigenti e osservatori. Albian Hajdari, per fare un primo nome, ha offerto una prestazione monumentale. Per averlo, la società aveva fissato l’asticella attorno ai 5 milioni di franchi. Ma alla luce di quanto visto al Sükrü Saraçoglu vien da chiedersi se siano sufficienti per un elemento di tale personalità e solidità, ancorché giovanissimo. Di certo Torino e Augsburg, sin qui in prima fila tra i potenziali acquirenti, dovrebbero essersi convinti una volta per tutte del valore del giocatore. Come suggerito, però, la prova clamorosa di Hajdari potrebbe anche aver attivato i radar di altri club e nuove trattative. Sarebbe sorprendente il contrario.
Pure Belhadj, al proposito, è emerso su compagni e rivali. Come la Torre di Leandro nel cuore del Bosforo e al netto della splendida rete che per un attimo ha fatto sognare il popolo bianconero. Il tunisino è un profilo che piaceva e continuerà dunque a far parlare di sé, non da ultimo considerate le costanti convocazioni in nazionale.
Più che al mercato in uscita e all’interrogativo principale che lo accompagna – giusto privarsi di alcuni gioielli e incassare: ma in quale momento di un’estate carica di impegni internazionali? – Da Silva ha tuttavia assistito a un’altra piccola lezione. Se il 4-3 dell’andata era parso un prezioso suggerimento, la seconda vittoria del Fenerbahçe ha certificato definitivamente variabili e fattori decisivi. E nella conferenza stampa post-partita, Mattia Croci-Torti ha indirettamente lanciato l’ennesimo SOS ai suoi superiori. «Edin Dzeko, a questi livelli, ha dimostrato nuovamente di essere troppo per noi». Tradotto: sul piano offensivo il Lugano è ancora troppo poco. «Alla fine i turchi hanno fatto la differenza in attacco» ha sintetizzato e rincarato Milton Valenzuela nella pancia dello stadio.
Poi certo, con i suoi piani gara bizantini e al contempo audaci, il Crus ha confermato di poter sorprendere e complicare la vita a chiunque. Anche a José Mourinho. Ma perseverare, schierando formazioni senza centravanti puri, prima o poi potrebbe ritorcersi contro lo staff e pure i giocatori schierati fuori ruolo. Non solo: ripetersi e convincersi che possano bastare Przybylko (che qualche limite ce l’ha) e Vladi (vicino al rientro dopo un brutto infortunio e lontano dalla piena maturità) costituisce un azzardo. Persino un errore di valutazione. Perché per competere in Europa o Conference League, e al contempo giocarsi seriamente il titolo svizzero, servono determinate credenziali. Credenziali individuali, non solo collettive.
Come squadra, in effetti, il Lugano ha chiarito una volta di più di saper dare sostanza alle proprie ambizioni. Con coraggio, idee, onestà, qualità. Altro che il caos e i trappoloni disseminati lungo il dedalo di vicoli del grande Bazar d’Istanbul. Sfavoriti con il Fenerbahçe e però vicinissimi a sovvertire i pronostici, i bianconeri si ritrovano così a indossare i panni dei favoriti nel terzo turno preliminare di Europa League. Lo ripetiamo: quanto osservato a Istanbul vale più di ogni ranking. Buon lavoro, dunque, ai match analyst di Partizan Belgrado o Dinamo Kiev. E buon lavoro al direttore sportivo Carlos Da Silva e a Chicago.