Calcio

Daniel Maldini e le dinastie: quando la famiglia scende in campo

Classe 2001, il figlio di Paolo e nipote di Cesare ha appena fatto il suo esordio in Serie A con il Milan – Ripercorriamo la sua parabola e quella di molti altri eredi importanti
Daniel Maldini, figlio di Paolo e nipote di Cesare. © EPA/Matteo Bazzi

Si scrive «figlio d’arte», ma in molti tendono a leggere «raccomandato». Già, ai giorni nostri essere l’erede di un campione dello sport e cimentarsi nella stessa disciplina è un azzardo bell’e buono. Una questione di etichette da scrollarsi di dosso. Ma anche di aspettative (spesso gonfiate) da non disattendere. E allora auguri a Daniel Maldini, 18 anni, figlio di Paolo e nipote di Cesare. Domenica pomeriggio ha esordito in Serie A: il primo della cosiddetta «generazione Z» gettato nella mischia dal Milan. Un altro difensore di belle speranze? No, nel sangue di Maldini jr scorre un altro tipo di talento. È una seconda punta, all’occorrenza trequartista, con i lineamenti del papà – 902 presenze in maglia rossonera (un record) – ma la fantasia sudamericana, trasmessagli dalla mamma venezuelana. A suggerirlo e introdurlo nelle giovanili del Milan fu invece il nonno, come raccontato alla Gazzetta dello Sport da Mauro Bianchessi, per anni responsabile della «cantera» del Diavolo e attualmente a capo della direzione del vivaio della Lazio. «L’è propri brao, picinin ma brao, diverso ma brao» il commento dell’ex ct della nazionale italiana. E chissà se in futuro Paolo, oggi direttore tecnico dei rossoneri, avrà il privilegio di poter prendere in prestito la frase pronunciata da un papà orgoglioso del percorso e dei successi ottenuti dall’erede: «Lui non è più il figlio di Cesare, io sono diventato il padre di Paolo».

Se di «Zizou» ce n’è solo uno

Quella di Daniel Maldini resta insomma una parabola da scoprire. Altre, restando al mondo del pallone, sono per contro le traiettorie delle quali s’intravede già il possibile tramonto. Si pensi a Enzo Zidane, pargolo di Zinedine, che a Losanna sarà ricordato più per lo stipendio percepito in soli sei mesi (300.000 franchi) che per le prestazioni offerte sul campo. Da qualche settimana il figlio del campione del mondo, campione d’Europa, pallone d’oro e tanto altro ancora, ha deciso di rilanciarsi nell’Almerìa allenato da Guti, nella seconda divisione spagnola. Un campionato, questo, dove milita anche il secondogenito Luca, portiere del Racing Santander.

«El Cholito», Chiesa e Kluivert

Dalla Spagna all’Italia, sono molti i figli d’arte promettenti che stanno cercando di far decollare definitivamente la propria carriera. Oltre a essere «figlio di» Enrico, Federico Chiesa deve convivere anche con l’investitura di miglior talento del calcio italiano. Il 22.enne attaccante della Fiorentina riuscirà a raggiungere quota 138 reti in Serie A come il babbo e a trascinare gli azzurri ai prossimi Europei?

La dinastia dei Chiesa non è ad ogni modo la sola perpetuata al momento nel Belpaese. Nel Sassuolo milita ad esempio Federico Di Francesco, nato da Eusebio, campione d’Italia con la Roma nel 2001. E a proposito dei giallorossi. Oggi nella squadra di Fonseca gioco un certo Justin Kluivert, intenzionato a seguire le orme di papà Patrick. In Sardegna per contro si fa affidamento su «El Cholito» Simeone, stesso sangue di Diego, mastino di Inter e Lazio a cavallo degli anni Duemila ma anche bandiera dell’Atletico Madrid, di cui ora è l’allenatore.

La tripletta degli Alonso

I fratelli do Nascimento sognano da parte loro di poter sollevare un giorno la Coppa del mondo. Come papà Iomar. Di chi stiamo parlando? Di Mazinho, sul tetto del globo con il Brasile nel 1994, e dei figli Rafinha (in prestito dal Barcellona al Celta Vigo) e Thiago Alcántara (centrocampista del Bayern Monaco). Curiosità: il primo è naturalizzato brasiliano, mentre il secondo vanta già numerose presenze con la nazionale spagnola. Furie rosse che, se si parla di tradizioni di famiglia, nel marzo del 2018 ha accolto la terza generazione degli Alonso. Dopo il nonno «Marquitos» (vincitore di cinque Champions con il Real Madrid tra il 1954 e il 1962) e l’omonimo papà, il terzino del Chelsea Marcos si è conquistato la chiamata dell’allora ct Julen Lopetegui.

L’ombra del Pibe de Oro

Alcuni cognomi rischiano invece di essere davvero troppo ingombranti. Di più: rappresentano delle autentiche condanne sportive. Ne sa qualcosa Diego Maradona jr. Con quel «junior» a fungere da discriminante assoluta. «Il paragone con Maradona è stato un enorme macigno sulla mia carriera di calciatore» ebbe a dire un paio d’anni fa il diretto interessato, affiancato addirittura al Lugano durante l’era Pastorello. Gli crediamo sulla parola (ma pure osservando le squadre della sua, mediocre carriera). La dinastia del Pibe de Oro potrebbe però rifiorire nel nome del nipote Benjamin, nato dalla relazione tra la figlia Gianinna e il Kun Aguero, campione del City. Hai detto poco. Ah, il padrino del ragazzo si chiama Lionel Messi.

Andrea Conti: "È stato difficile essere all'altezza di papà Bruno"

Andrea Conti, 42 anni, fra il 2007 e il 2013 ha vestito la maglia del Bellinzona. È figlio di Bruno, campione del mondo con l’Italia nel 1982, e fratello di Daniele ex bandiera del Cagliari. © CdT/Archivio
Andrea Conti, 42 anni, fra il 2007 e il 2013 ha vestito la maglia del Bellinzona. È figlio di Bruno, campione del mondo con l’Italia nel 1982, e fratello di Daniele ex bandiera del Cagliari. © CdT/Archivio

Andrea, partiamo dalla domanda più banale: è difficile essere il figlio di Bruno, campione del mondo con l’Italia nel 1982?

«Lo è stato, sì. È stato difficile perché sia io sia mio fratello Daniele siamo cresciuti nel settore giovanile della Roma, società di cui papà è stato una bandiera. È stato difficile perché, ogni giorno, dovevamo dimostrare di essere all’altezza. Eppure, siamo riusciti a diventare calciatori entrambi. Lui in A, fra Roma e Cagliari, io prima in Italia e poi in Svizzera, a Bellinzona. Ci siamo tolti delle belle soddisfazioni».

Qual era la sfida più complicata? Sopportare il peso del cognome oppure dribblare quelli che vi dipingevano come due raccomandati? Della serie: giocano nella Roma solo perché figli del grande Bruno.

«La nostra fortuna, diciamo, era il talento. Non ne avevamo come papà, lui era un’altra cosa. Ma eravamo bravi e, soprattutto, sul campo dimostrammo il nostro valore. E il campo, alla fine, è il solo e unico giudizio che conta. Nostro padre, fra l’altro, era il primo ad allontanarci dal cognome. Ci diceva che nella vita, come nel calcio, uno le gioie e le soddisfazioni doveva guadagnarsele. Non bastava essere figli di Bruno per diventare calciatori, insomma».

Scegliere il mestiere di papà è stato naturale o avete subito pressioni?

«È stato naturale, più che altro perché io e Daniele siamo cresciuti a Trigoria, dove si allena la Roma, con il pallone in mano. Mi ricordo che seguivamo papà ovunque. La passione è nata così».

Papà, fra l’altro, da buon nettunese eccelleva in un altro sport: il baseball.

«Iniziò con il baseball, è vero. Per tutti era una promessa anche in quello sport. Poi per fortuna, dico io, scelse il calcio. I risultati gli hanno dato ragione».

Torniamo a lei e a Daniele: lasciare Roma o, meglio, la Roma era l’unica opzione possibile per diventare a tutti gli effetti calciatori?

«Alla fine è stato giusto partire, sì. Roma è una piazza esigente con chiunque, figuriamoci con i figli di Bruno Conti campione del mondo. Tanto più che, come detto, noi non avevamo il suo livello. Io e Daniele abbiamo cercato altre strade. Mio fratello, per certi versi, ha trovato a Cagliari una nuova Roma. Si è affezionato alla Sardegna, alla gente, ai tifosi, diventando una sorta di sindaco. Per quell’angolo di mondo ha rifiutato non so quante offerte, anche da parte di grandi club. Io, invece, mi sono affezionato al Ticino e al Bellinzona. Mi manca la Svizzera».

Ecco, è stata dura essere anche «fratello di»?

«No, affatto. Io e Daniele ci siamo sempre voluti bene. Non siamo mai stati gelosi e lui non mi ha mai fatto pesare la sua carriera. Il nostro rapporto si è rafforzato durante la permanenza nelle giovanili della Roma».

Daniel Maldini, figlio di Paolo e nipote di Cesare, ha appena fatto il suo esordio in Serie A con il Milan. Lei che consigli gli darebbe?

«La pressione nel suo caso è doppia, visti i percorsi del papà e del nonno. E poi non ha esordito in una società qualunque, ma nel Milan. Per avere continuità, per importi a quei livelli, beh, devi essere bravo. Bravo, in particolare, a non pensare al cognome e a ciò che rappresenta. In ogni caso, esistono anche altre strade. Noi Conti lo sappiamo bene, direi».

Attualmente lei lavora per le giovanili della Roma: arriverà mai un nuovo Bruno Conti?

«Ora come ora è complicato e dico di no. Un domani chissà. Però, ecco, io mi occupo di selezionare i migliori elementi della zona. Ragazzi che poi entrano a Trigoria. E uno con le qualità di mio padre, ancora, non l’ho trovato. Detto ciò, occhio ai 2011. Ci sono dei profili davvero interessanti».