«Della Svizzera non mi fido, io non l’ho mai battuta»

Nato e cresciuto a Locarno, esploso a Ginevra, per poi entrare nel cuore dei tifosi della Mannschaft. Più che una partita, per Oliver Neuville Svizzera-Germania rappresenta un tuffo nel passato. E una questione di cuore. L’ex attaccante della nazionale tedesca ci parla della sfida in agenda domani sera a Basilea. Ma anche di tanto altro.
Signor Neuville partiamo dal pareggio di giovedì tra Germania e Spagna. Che voto dà alla squadra allenata da Joachim Löw?
«È stata una bellissima partita. Interessante, anche. Dopo quasi 10 mesi di stop ho infatti visto una Germania con un grande potenziale. Anche l’intensità in campo, tutto sommato, non è stata male. Entrambe le nazionali hanno esercitato un importante pressing in zona offensiva. Soprattutto a inizio gara».
Anche senza le stelle del Bayern insomma è stata una Germania convincente?
«Senza dubbio. Basti pensare alle prestazioni di chi ha sostituito gente come Neuer o Kimmich. In porta Trapp è stato bravissimo, così come di spessore è stata la gara sull’esterno di Gosens, al battesimo in nazionale. Anche in prospettiva non sono preoccupato, se penso alle qualità di profili giovani e promettenti come Brandt, Havertz o Ginter. Il bacino dal quale può attingere Löw, Bayern Monaco o meno, è vasto».
Ma l’Europeo rinviato di un anno favorirà o penalizzerà la Mannschaft?
«Difficile dirlo. A mio avviso non sarà comunque un male, né per la Germania né per altre selezioni che stanno vivendo un ricambio generazionale: Spagna e Italia su tutte. Sì, i 12 mesi in più a disposizione contribuiranno anche alla crescita dei tedeschi. Prendete la partitissima con la Spagna: in un contesto normale il ct avrebbe probabilmente puntato su un top 11. La situazione attuale ha per contro favorito l’inserimento di altri giocatori. Che così impareranno più in fretta, accumulando esperienza preziosa in vista della prossima estate».
Vien comunque da chiedersi se un colosso come la Germania possa permettersi di fare esperimenti in Nations League. Tradotto: non c’è l’obbligo di vincere?
«Non ci sono altre soluzioni: il calendario è fittissimo e per molti club da qui a fine dicembre vi saranno solo settimane inglesi. Durante la prossima finestra per le nazionali, in ottobre, sono ad esempio in programma tre partite in dieci giorni. Ed è impensabile che Löw decida di spremere solo le prime scelte. Il turnover sarà necessario».
A complicare le cose per le nazionali c’è poi la pandemia, con tutti i rischi del caso - tra potenziali contagi e quarantene di rientro - per i giocatori. Lei ora è viceallenatore del Borussia Mönchengladbach: i club non cercheranno di frenare le partenze dei rispettivi pupilli?
«La situazione è difficile ma le contromisure e le precauzioni adottate sono importanti. Posso parlare del nostro caso. A Gladbach ci sottoponiamo al tampone due volte a settimana. E chi è partito per le nazionali, come Sommer, Elvedi, Embolo e Lang, è stato testato prima di recarsi nel proprio Paese, poi dallo staff medico della selezione e infine sarà ancora esaminato dal club dopo il rientro in Germania. C’è poi un altro aspetto di cui sono convinto. Per un giocatore la nazionale resta motivo d’orgoglio. E a fronte di queste ragioni le società non dovrebbero assolutamente frenare una convocazione».


Ha menzionato gli svizzeri che militano nel suo club, ai quali va aggiunto l’infortunato Zakaria. Cosa può dirci di loro?
«Sommer è tra i migliori portieri del continente. Elvedi a soli 23 anni possiede delle doti enormi. E se continua in questo modo presto per lui si apriranno le porte di un top club europeo. Quelle che negli scorsi mesi si erano già socchiuse per Zakaria».
Embolo invece resta un oggetto misterioso. Potenzialmente devastante, ma ai fatti spesso inconcludente. Perché?
«Innanzitutto non dimentichiamo che ha soli 23 anni. Inoltre la prima stagione di Breel al Gladbach è stata positiva, malgrado qualche piccolo infortunio. Parliamo di un giocatore con qualità enormi, veloce, esplosivo e dal fisico impressionante. Il suo problema è la concentrazione: a volte sparisce completamente dal match. E poi, sì, deve sicuramente migliorare anche sotto porta. Dal mio punto di vista dovrebbe poi evitare di cercare troppi palloni a centrocampo, puntando maggiormente alla profondità. Il ragazzo ad ogni modo sta crescendo e ha importanti margini di crescita. Anche Lewandowski quando è arrivato a Dortmund non ha segnato subito».
Veniamo dunque a Svizzera-Germania. Come legge Oliver Neuville questa sfida? Werner e compagni partono con i favori del pronostico?
«Sulla carta sì, anche se della Svizzera non bisogna fidarsi. Anzi. Oltretutto non solo la squadra di Petkovic è sotto pressione. Con un punto all’attivo, una sconfitta potrebbe infatti complicare e non poco pure il cammino dei tedeschi. Giocare in trasferta contro i rossocrociati poi non è mai semplice. E non lo sarà nemmeno questa volta. È vero, in questi anni alla nazionale elvetica è mancato l’acuto. La qualità dei suoi giocatori è però indiscutibile».
Nella sua carriera di calciatore ha sfiorato per due volte la vittoria della Coppa del mondo e una volta quella all’Europeo. La Svizzera però l’ha affrontata solo una volta. Cosa ricorda?
«Che non sono mai riuscito a batterla. Era il 2000, a Kaiserslautern. Agguantammo il pareggio solo nei minuti finali, dopo una partita ostica. Non ricordo molto altro, se non Michel Pont in qualità di vice sulla panchina elvetica».
E nel «suo» Ticino torna ancora?
«Normalmente in dicembre faccio tappa ad Ascona, dove festeggio il Natale con mia madre e mia sorella. Purtroppo quest’anno non sarà però possibile. Colpa, come dicevo, del calendario che ci vedrà impegnati in Coppa il 22 o 23 dicembre e poi il campionato il 2 gennaio».
A proposito di Bundesliga. Come sta andando l’esperienza sulla panchina del Borussia Mönchengladbach?
«Bene. Sono molto soddisfatto. Devo ammettere che questo incarico è stato un autentico colpo di fortuna. L’allenatore, Marco Rose, cercava un collaboratore che parlasse bene il francese, dal momento che in squadra diversi elementi parlano questa lingua. Io guidavo la Under 19 e nel giro di poche settimane sono stato catapultato in una nuova e stimolante dimensione. Un futuro da mister? No, davvero. Mi vedo di più nella veste di vice o con compiti specifici, come la preparazione degli attaccanti».