E se alla fine vincesse il Qatar?

Di tifosi qatarioti, noi, non ne abbiamo proprio visti. Oddio, non che a Doha pullulino quelli delle altre nazionali. Tolto un po’ di casino verdeoro all’aeroporto – complice la comparsa di Roberto Carlos agli arrivi –, l’atmosfera delle ultime ore ci è parsa alquanto trattenuta. Eppure, domani si comincia. Con l’Al Bayt Stadium teatro della sfida tra i padroni di casa e l’Ecuador. Okay. Ma il Qatar, stritolato tra le critiche dell’Occidente e difeso a spada tratta dal presidente della FIFA Gianni Infantino, è pronto? Beh, la sensazione è che la selezione di Felix Sanchez arrivi all’appuntamento più sul pezzo del Comitato organizzatore. La cui rincorsa alla perfezione, ancora oggi, doveva fare i conti con strade bloccate, tassisti della prima ora disorientati e – più in generale – un caos trasversale. Logico, verrebbe da dire, a fronte dell’imponenza della competizione e della particolarità territoriale di chi la ospita. «Nei prossimi giorni andrà meglio», ripetono non a caso – e senza mai smettere di sorridere – le centinaia di volontari di turchese vestiti, sparsi a ogni angolo del National Convention Center. Nel cuore pulsante del torneo, per l’occasione trasformato nel centro media, l’allenatore della nazionale qatariota ha parlato di «momento storico e felice. Un momento atteso a lungo».
«Ma queste non sono condizioni avverse»
Già, perché se a distinguere questa Coppa del Mondo dalle altre è stato anche il minimo scarto con la fine dei campionati per club, il discorso cambia radicalmente per i rappresentanti dell’Emirato. Staff e giocatori, in effetti, si trovano in ritiro perenne da otto mesi. Hai voglia a chiamarla pressione. «Sul piano sportivo è uno degli aspetti singolari del Paese: il campionato locale va avanti, i calciatori delle principali squadre sono però impegnati con la nazionale» ci spiega Luis Arrones, preparatore fisico dell’FC Lugano con alle spalle due esperienze nel team del Qatar, tra il 2014 e il 2018. «Si tratta di un vantaggio non da poco, l’unico forse in grado di compensare il gap tecnico con buona parte delle selezioni presenti al Mondiale». Per lo specialista di Siviglia, ad ogni modo, recuperare il terreno per le nazionali europee è tutto fuorché impossibile. «Naturalmente è necessario un periodo di adattamento, per rispondere al meglio al clima di Doha. Direi una decina di giorni, ben venga se arricchiti anche da un’amichevole a temperature avverse». Una buona notizia per la Svizzera, che oltretutto entrerà in scena con le ultime rappresentative. Arrones evidenzia poi un altro aspetto: «Quello attuale non è un periodo critico per giocare e vivere in Qatar. Ve lo assicuro. Quando abbiamo preso parte alle qualificazioni per i Mondiali del 2018, ho dovuto gestire allenamenti alle 23.30, con 44 gradi e un’umidità pazzesca». Le partite, loro, meritano un discorso a parte. «Perché con gli stadi climatizzati è possibile avere una temperatura esterna di 50 gradi e una interna – nonostante si giochi a cielo aperto – di 22 gradi» ricorda Arrones, toccando uno dei dossier più delicati di Qatar 2022. «Ora lo scarto sarà minimo: circa 25 gradi negli impianti e una trentina fuori. Insomma, nulla di diverso dalla Super League a Lugano in pieno luglio».


Il percorso condotto da Felix Sanchez
Al netto di una preparazione fisica forgiata negli scorsi mesi, Arrones invita a non sottovalutare la formazione di casa per altre ragioni. «A differenza di molte altre realtà, l’Emirato deve fare i conti con un bacino di calciatori minuscolo. È praticamente impensabile avere due buone alternative per lo stesso ruolo. Detto questo, e a fronte dei limiti appena menzionati, nel recente passato il Qatar ha ottenuto dei risultati per certi versi incredibili. E buona parte del merito va attributo al ct Felix Sanchez». Lo spagnolo, classe 1975, ha allenato ne La Masia del Barcellona sino al 2006. Prima di cogliere il fiore all’occhiello dell’Emirato: l’Aspire Academy, grazie alla quale – negli anni – ha coltivato e portato a maturazione una promettente generazione di calciatori. «Parliamo di un tecnico preparatissimo e di un gruppo esploso nel lontano 2014, con la conquista della Coppa d’Asia U19» indica Arrones. Per poi proseguire: «Da allora la squadra non è cambiata molto. E la bontà di questo percorso è confermata dal terzo posto alla Coppa d’Asia U23 del 2018, ma soprattutto dal trionfo del 2019 a livello di selezione maggiore». Giappone e Corea del Sud, giusto per fare i nomi più altisonanti, hanno provato il sapore della concorrenza. «Se non avesse organizzato il torneo, il Qatar avrebbe comunque avuto le qualità per qualificarsi a questo Mondiale» sottolinea il preparatore fisico bianconero. Chi si troverà di fronte, dunque, l’Ecuador? «Una compagine che pratica un calcio moderno, strutturato, fatto di transizioni. Dal punto di vista tattico mi aspetto una squadra all’altezza della situazione». E poi c’è lui: Akram Afif. «È il Messi del Qatar» conferma Arrones, parlando dell’attaccante dell’Al-Sadd. «Come molti connazionali, ha sposato definitivamente la lega qatariota. Ma in precedenza aveva fatto parte del Villarreal e, a mio avviso, sarebbe titolare in tutti i club di Super League».
«Qui non esiste la classe media»
Che poi, la Svizzera, il 26.enne se lo ricorda molto bene. Quattro anni fa, a Cornaredo, i rossocrociati incapparono infatti in una clamorosa sconfitta in amichevole, con il gol decisivo siglato per l’appunto da Afif nell’incredulità generale. Altro che Ghana. Per il match winner, per contro, immaginiamo la fama mista a idolatria in quel di Doha. Il nostro interlocutore, su questo tema, tira però il freno a mano: «I qatarioti – che costituiscono solo il 10-15% della popolazione – non sono tifosi fanatici. Anzi. Vi assicuro che se Afif si reca al ristorante o in un centro commerciale, non deve trascorrere la maggior parte del tempo a posare per i selfie altrui. È più probabile che passi inosservato». E qui torniamo all’euforia ovattata citata in avvio, viziata dalle polemiche che hanno travolto il Paese organizzatore e la FIFA. Ecco, a proposito: che Qatar ha incontrato Luis Arrones? «Ho osservato due tipi d’immigrazione. Da un lato quella che porta competenze: la fame di conoscenza e di progresso dell’Emirato, d’altronde, è enorme. Dall’altro la manodopera per i settori snobbati dai qatarioti. In Qatar, più in generale, non esiste la classe media. C’è quella bassa e quella alta. O altissima». Già. Arrones non a caso menziona le manie di grandezza della famiglia reale. «A Doha è tutto esagerato. Ma altresì caotico. No, non parlerei di una cultura organizzata. La vita, per gli indigeni, è facile. E per questa ragione sono curioso di scoprire se sapranno garantire un evento ordinato». L’inizio – confermiamo a nostra volta – non è stato dei migliori. «Ma nei prossimi giorni andrà meglio» ripetono, sorridendo, i volontari di turchese vestiti. E allora, attesi da otto mesi o vituperati da anni, buoni Mondiali.