Euro 2024, un prezioso diversivo per un mese tremendo
Un torneo poco spettacolare. Così, in sede di bilanci anticipati, è stato definito Euro 2024. Bene. A vincerlo ci ha pensato la nazionale capace di garantire il maggiore divertimento e i numeri delle individualità più profilate. Sì, ad alzare il trofeo verso il cielo di Berlino è stata la Spagna: bella, sfrontata, inscalfibile. Gli uomini di Luis de la Fuente non hanno mai abdicato. Mai. E con merito sono tornati sul tetto del continente, come nel 1964, nel 2008 e nel 2012. Forse è presto per decretarlo, ma in Germania potrebbe aver preso vita una nuova dinastia calcistica, destinata a dominare la scena per anni come fecero Iniesta e compagni. La sensazione, soppesati i valori in campo e il clamoroso talento di elementi alla Lamine Yamal, è proprio quella lì. La povera Inghilterra, lei, non ha invece mai dato la sensazione di poter essere una trionfatrice credibile. Anche perché vedere Harry Kane con la coppa fra le mani, in fondo, avrebbe significato darla vinta ai brontoloni citati in avvio. Eppure, i vari Rodri, Carvajal, Morata, hanno disputato 50 partite o più in stagione, come gli spenti Mbappé, Bellingham o Havertz. Insomma, per emergere sono state altresì necessarie una visione, una coerenza collettiva, oltre alle qualità dei singoli beninteso. Perciò poteva, doveva persino essere l’Europeo della Svizzera, convincente su tutti i piani, splendida protagonista sul rettangolo verde ed entusiasmante compagna di viaggio per milioni di tifosi.
La selezione di Murat Yakin ha unito e soprattutto rappresentato un prezioso diversivo lungo un mese difficile. Tremendo, anche. Cinque prime pagine del Corriere del Ticino per altrettanti weekend. In un mondo asettico, o se preferite ideale, queste edizioni del lunedì avrebbero accolto con favore titoli d’apertura ed editoriali dedicati alle gesta rossocrociate, congedando con altrettanta generosità il fresco campione d’Europa. E invece, nell’ordine, la doverosa precedenza è stata accordata alla conferenza sulla pace in Ucraina, al nubifragio in Mesolcina, al disastro in Vallemaggia, al terrore per gli effetti di altri temporali violenti, infine severi con il solo Mendrisiotto, al tentato assassinio di Donald Trump. Questo per ricondurre la competizione tedesca (e lo sport in generale) a una dimensione consona. Importantissima sul piano sociale e culturale, e però non cruciale. Men che meno salvifica.
Ciò, si badi bene, non significa sminuire la portata dell’evento. Anzi. Come dichiarato alla vigilia dal suo patron Philipp Lahm, Euro 2024 mirava giustamente a essere una piattaforma di dialogo, oltre che un strumento di coesione per i popoli europei. Difficile sostenere se l’obiettivo sia stato raggiunto. L’impressione, in effetti, è che lo strumento in questione sia stato strattonato da destra e da sinistra a seconda degli interessi particolari. E ci viene in mente la mistificazione dell’intervista di Toni Kroos, simbolo di una Germania attorno alla quale si voleva ricompattare il Paese. Per quattro partite e un tempo supplementare l’operazione è riuscita. Poi, appunto, non si è perso tempo per forzare la mano in chiave anti-immigrati. Il caso più eclatante, ad ogni modo, rimane quello dei giocatori francesi, più in campagna elettorale che in sintonia con la competizione. Le martellanti prese di posizione dei Bleus sulle legislative in patria hanno confermato, una volta di più, la commistione e reciproca influenza di sport ad alto livello e politica.
Proprio ieri, al proposito, la fiaccola olimpica ha iniziato il suo peregrinare per Parigi, in attesa della cerimonia d’apertura dei Giochi estivi in agenda il 26 luglio. Si scriverà di nuovi eroi, dei loro record e - speriamo - di medaglie rossocrociate. Ci emozioneremo di nuovo insieme, sorpresi sino a un certo punto dai messaggi e dai gesti provocatori di questo o dell’altro atleta. E proveremo a distrarci, certo, in attesa di un altro tackle della vita che là fuori non si ferma.