Il bilancio di Qatar 2022

«Fra 10 anni, forse, cambierà qualcosa»

L’Emirato ritiene di aver vinto la sua scommessa, nonostante critiche e nuovi scandali: «La persuasione economica rimane il fulcro della sua politica estera» rileva Raphaël Le Magoriaec
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Massimo Solari
19.12.2022 06:00

È iniziato fra le critiche. Si è chiuso con un altro scandalo, il Qatargate, che ha travolto proprio uno dei bastioni dell’Occidente: da querelante a querelato. Già, proprio mentre lo spettacolo sportivo - sublime - sembrava aver preso il sopravvento. Se questo ennesimo scossone indebolirà Doha, tuttavia, è un altro discorso. «Per quanto attiene alle ambizioni di rivalsa sulla scena internazionale, il Qatar ha una storia molto recente» indica Raphaël Le Magoriaec, ricercatore all’Univerità di Tours e specialista di politiche sportive nei Paesi del Golfo. «Attraverso la sua potenza economica, l’Emirato è stato in grado di prendere parte alla partita dei più grandi. Per imporsi su di loro, invece, è stato necessario manipolare le regole del gioco. E a dimostrarlo, appunto, vi sono i ricorrenti scandali, da ultimo quello emblematico che ha investito Bruxelles».

«La strategia non muterà»

Le macchie, però, iniziano a essere davvero tante. E tutte indelebili. Le Magoriaec non si scompone: «Come non è avvenuto a fronte di tanti altri dossier scottanti - dalla corruzione in seno alla FIFA al PSG, passando naturalmente per i diritti violati per organizzare il Mondiale -, non credo che il modus operandi dell’Emirato muterà per effetto del Qatargate. Proprio perché, come dicevo, l’asse principale della politica estera di Doha rimane l’influenza e la persuasione economica. Poi, certo, gli effetti collaterali delle indagini sui vertici dell’Europarlamento potranno servire anche da lezione. Ma non ne sono convinto: il concetto di debriefing non è la specialità di questo Paese». Insomma, l’obiettivo conta molto di più della modalità per ottenerlo. «Non solo: il Qatargate è un affare europeo» ricorda Le Magoriaec, co-autore del libro L’Empire du Qatar. Le nouveau maître du jeu? (Ed. Les points sur les i). «Agli occhi di Asia, Africa e America del sud, Doha rimane forte. Così come rimarrà un partner ricercato dall’Occidente per le sue risorse». A margine del torneo e dei battibecchi sulla fascia da capitano OneLove, per dire, Qatar e Germania hanno firmato un accordo della durata di 15 anni per la fornitura di gas naturale liquefatto. «I rischi - prosegue Le Magoriaec - seguono una precisa gerarchia e hanno nei Paesi vicini il grado di pericolosità maggiore. Più ci si allontana, più determinati casi spinosi non intaccano la strategia di sopravvivenza del Qatar».

Determinati argomenti hanno fatto incursione in seno alla società locale. E, molto lentamente, potrebbero smuovere alcune resistenze di un universo conservatore
Raphaël Le Magoriaec, ricercatore all’Univerità di Tours e specialista di politiche sportive nei Paesi del Golfo

Stadi avulsi

Sin qui il macrocontesto. Cosa resterà, per contro, della Coppa del Mondo a Doha? Ai qatarioti e alle centinaia di migliaia di stranieri attivi sul territorio? «Una ventata d’apertura, il torneo, l’ha portata con sé» assicura il ricercatore. «Determinati argomenti hanno fatto incursione in seno alla società locale. E, molto lentamente, potrebbero smuovere alcune resistenze di un universo conservatore. Mi riferisco ovviamente ai diritti dei lavoratori, alla questione LGBT, all’alcol stesso. Interrogarsi su questi temi sarà un po’ più facile dopo l’evento. Lo sguardo che per un mese si è avuto sul resto del mondo, ha alimentato l’impressione di essere parte integrante di una comunità globale. E di essere riconosciuti in quanto tale. Non bisogna dimenticare che a Doha è presente anche un fronte più progressista, di cui l’emiro deve in qualche modo tenere conto per la stabilità del Paese». Bene. Ciò non toglie - precisa Le Magoriaec - «che la competizione sia stata funzionale ai destini dell’Emirato e del suo padrone. La scollatura tra la Coppa del Mondo e la società che l’ha ospitata resta evidente. Prendete gli stadi: il fatto che siano stati costruiti in zone lontane dalla città e dai quartieri più popolati costituisce l’emblema di questo distacco. L’oggetto era ed è rimasto nelle mani di poche figure. Ma ripeto: per fortuna non è stato possibile impedire l’interazione fra culture differenti. Fugaci contaminazioni che potrebbero sfociare in piccoli cambiamenti. Sono ipotesi e l’orizzonte per verificarle va situato fra 10-15 anni».

E ora avanti i sauditi

E il visitatore occidentale che cosa ha compreso del Qatar? «L’Emirato - indica Le Magoriaec - ha senza dubbio cercato di conquistare i cuori dei tifosi stranieri recatisi a Doha. E, probabilmente, fra loro in molti hanno scoperto una realtà inaspettata o comunque diversa da quella illustrata in precedenza dai media occidentali. L’impressione, in tal senso, è che il Qatar stesso tenda a fare leva sui meccanismi del softpower per creare della nebbia attorno a sé. E così distogliere l’attenzione dalle reali sfide interne». Sfide, suggerivamo, che sono legate ai delicati equilibri con le potenze confinanti. Una su tutte. «La presenza e la visibilità del principe ereditario Mohammed Bin Salman alla cerimonia d’apertura ha certificato le ambizioni saudite sul piano della politica sportiva» evidenzia Le Magoriaec. «La Coppa del Mondo 2030 è cerchiata in rosso. E accettando l’invito di Al Thani a Doha, l’Arabia Saudita ha in qualche modo assicurato il proprio avvenire. Il messaggio centrale era d’altronde rivolto alla FIFA. Della serie: “Guardate, abbiamo messo da parte ogni genere di conflitto e rispettiamo questo Mondiale”. In questo modo Riad ha confermato - una volta di più - di voler recuperare il terreno perso e definire la sua grandezza e il suo dinamismo economico attorno alla politica dei grandi eventi sportivi». E alla FIFA, va da sé, questo non disturba affatto. «Infantino è ossessionato dalla componente economica. La corsa a più soldi e più profitti è prioritaria» ricorda l’esperto. «Per questa ragione i Paesi del Golfo rimarranno degli ottimi candidati, mentre l’Occidente è alle prese con altre sfide. Di più: opporsi all’organizzazione di un grande appuntamento sportivo, in una realtà autoritaria, significa opporsi al potere. L’appoggio popolare - a differenza delle democrazie - di fatto non serve. A regnare è così una visione che fa solo gli interessi dei grandi attori sportivi alla ricerca di nuove entrate. Basterebbe osservare in che direzione sta andando la F1».

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