«Gianni» Alioski conquista l’Europa
«Gianni» ci risponde da Skopje, la capitale della Macedonia del Nord. Vi ha fatto rientro nella notte di giovedì, assieme alla squadra, dopo aver battuto la Georgia a Tbilisi e strappato la qualificazione ad Euro 2020 (anzi, 2021). Parla con un filo di voce, dice di non aver ancora realizzato bene. «Ma sono felice» spiega.
Domanda secca per cominciare: la finale di questi playoff è stata la partita più importante della sua vita?
«Sì, assieme alla partita che ha regalato la Premier al Leeds. Il discorso, però, è che in questo caso abbiamo fatto gioire un intero popolo. Non soltanto un club, o una città. La Macedonia del Nord è esplosa. Una festa pazzesca».
Aver giocato e vinto durante la pandemia può essere anche un messaggio di speranza? Lo sport in fondo è anche questo.
«Di sicuro, ci sarebbe piaciuto abbracciare i nostri tifosi. Non è stato possibile. Ma, questo va detto, l’assenza di pubblico in Georgia ci ha favorito visto che a Tbilisi altrimenti avremmo giocato in uno stadio pieno. Niente, gli spareggi sono stati messi in calendario durante la seconda ondata di contagi e noi calciatori li abbiamo presi come sono arrivati. Pazienza se la gente era a casa».
Che partita è stata?
«Una partita difficile. E non per la qualità dell’avversario, che andava comunque rispettato, ma perché era una finale. E in una finale ti innervosisci, puoi panicare. Tant’è che nel primo tempo non abbiamo giocato da Macedonia. Sapevamo, ad ogni modo, di avere singoli in grado di decidere il match e così è stato».
Si riferisce in particolare a Goran Pandev, il grande vecchio della squadra.
«Sono felice per lui. E anche orgoglioso. Io e Goran parliamo tanto in nazionale. Non è solo un grande calciatore, è anche una persona squisita. Mi ha fatto crescere tanto. Di lui mi colpisce l’umiltà. Ha vinto una Champions League, eppure non fa mai pesare quell’exploit o la sua carriera meravigliosa. Prima della partita, negli spogliatoi, ha toccato le corde giuste con un discorso».
Cosa ha detto?
«Ho i brividi solo a ripensarci. Ha spiegato che, se avessimo perso, quella sarebbe stata la sua ultima partita in nazionale. E ha pianto. Un simbolo, con venti e passa anni di carriera alle sue spalle, in lacrime. Una scena che ha colpito tutti noi compagni. E siccome il calcio è un film incredibile, beh, il gol che ha portato la Macedonia agli Europei l’ha segnato lui. Sì, Goran chiuderà il suo ciclo con questa maglia il prossimo giugno. Meritava un finale del genere».
«Gianni», dica la verità: nella sua testa immagina già gli Europei o è ancora troppo presto?
«Se chiudo gli occhi e penso agli Europei, per ora tornano alla mente solo le immagini delle edizioni passate. Edizioni che vedevo alla televisione. Sarà, sicuramente, qualcosa di nuovo per noi macedoni. Ma non andremo ad Euro 2020 per divertirci. Anzi, meglio: ci divertiremo ma cercheremo allo stesso tempo di creare scompiglio. Adesso vogliamo far vedere a tutti che questa squadra ha qualità. Del resto vanta giocatori che militano nei maggiori campionati: chi in Inghilterra, chi in Italia e chi in Spagna».
Di recente, su «Rivista Corner» è stato ricordato il suo percorso e, soprattutto, l’addio doloroso allo Young Boys. Per i bernesi lei non sarebbe mai diventato un calciatore affermato. E invece, eccola in Premier e con in tasca un biglietto per l’Europeo.
«E dire che l’addio allo Young Boys avvenne sette anni fa, nel 2013. Sembra ieri. Se allora mi avessero predetto una simile parabola avrei sorriso. Tipo: non ci credo. E invece, in serie, sono rinato a Sciaffusa grazie a Jacobacci, ho conquistato l’Europa a Cornaredo, sono partito per l’Inghilterra dove poi ho conosciuto un mito come Bielsa. Devo tanto a chi ho trovato lungo il cammino, ma devo tanto a me stesso. Non ho mai mollato, ho sempre creduto che un giorno ce l’avrei fatta. È quello che consiglio ai giovani: troverete una strada. Anche quando vi sembrerà impossibile trovarla».
Sa che a Lugano, giovedì, tanti facevano il tifo per la Macedonia del Nord?
«Non lo sapevo, ma in fondo non mi sorprende visto che a Lugano ho scritto una pagina indelebile della mia carriera e della mia vita. So, ad esempio, che tanti tifosi bianconeri mi seguono a Leeds. Sperano che le cose mi vadano bene. Non ho giocato tantissimo con i bianconeri, un anno e mezzo, ma è bastato per rimanere nel cuore della gente. E viceversa. A chi tifa Lugano dico grazie. E dico che io amo quel club».
Lo chiediamo a tanti ex: il primo posto in classifica cosa le suggerisce?
«Dico che sarà molto difficile restare lassù, ma nel calcio mai dire mai. L’arrivo di Jacobacci a Cornaredo è stato decisivo. È il classico allenatore che, se seguito alla lettera, regala un sacco di soddisfazioni. Di più, Maurizio ha fatto capire alla squadra che giocare bene è una cosa e vincere un’altra. Può bastare anche un 1-0 sporco: a contare sono i tre punti. Che bello se il Lugano restasse al primo posto fino alla fine. Vi immaginate la festa?».