Calcio

Gli ottant’anni di mister Corrado Orrico

Comunista, allenò per pochi mesi l’Inter nel 1991 fra numerose critiche - Criticava storture, frivolezze e immoralità di un mondo che voleva dinamitare dall’interno, ma la bomba gli scoppiò in mano
La rosa dell’Inter 1991-1992. Orrico è al centro. ©WIKIMEDIA
Stefano Marelli
16.04.2020 06:54

Fu la scommessa più rischiosa di Ernesto Pellegrini. E, purtroppo per tutti, il presidente interista la perse. Corrado Orrico arrivò alla Pinetina nell’estate del 1991 a sostituire, dopo un lustro vincente, nientemeno che Giovanni Trapattoni. Doveva essere la risposta nerazzurra alla rivoluzione sacchiana operata dai cugini milanisti. Pareva infatti a tutti, a quel punto della storia pallonara, che non si potesse prescindere dal gioco a zona. Le aspettative attorno al tecnico massese, che nelle serie minori aveva mostrato meraviglie, erano dunque enormi.

Lui, però, cominciò presto a mingere fuori dal vaso, professando a più riprese la sua fede comunista - che alle orecchie satinate della Milano da bere dovevano suonar bestemmia - e ciancicando di continuo un mezzo toscano, vezzo assai poco fotogenico per le telecamere dei network nazionali. Idem per la cravatta: il patron gliene regalò dozzine, ma Orrico non ne indossò mai nemmeno una. Complicato fu pure il suo rapporto con la stampa. I giornalisti sportivi, infatti, sono animali strani: si lamentano sempre delle banalità dichiarate dagli allenatori, ma poi, quando ne trovano uno capace di esulare dai meri aspetti tecnici, prendono a odiarlo perché rischia - citando Hegel, Weber e Heidegger- di metterli in difficoltà. E così gli danno del venditore di fumo, del parvenu, del visionario più attento alla maieutica che al turnover. Specie, ovviamente, se incappa in una falsa partenza: eliminato dalla Coppa UEFA al primo turno e fuori dai giochi-scudetto già a Ognissanti.

Tutti presero dunque a fargli la fronda, a cominciare dai giocatori - quasi tutti - che pubblicamente manifestavano sfiducia nel credo tattico di Orrico, così lontano dal pragmatismo sparagnino del Trap che aveva fatto la loro fortuna. I cronisti, increduli davanti a tanta grazia, si diedero il 5 e cominciarono l’opera di demolizione del coach toscano, ricordando i mille campionati in quarta serie e le centinaia di esoneri che fregiavano il suo curriculum. Il vecchio Corrado, infatti, la Serie A l’aveva assaggiata soltanto una volta, oltre dieci anni prima, quando dalla C2 era approdato direttamente alla panchina dell’Udinese. Un brevissimo passaggio nel massimo campionato che non aveva lasciato ricordi, tranne un pareggio a San Siro contro il Milan campione in carica - poco prima di essere esonerato - e una stuzzicante comparsata alla Domenica Sportiva, invitato da Beppe Viola, uno che per gli underdog aveva un fiuto straordinario.

Corrado Orrico. ©WIKIMEDIA
Corrado Orrico. ©WIKIMEDIA

Prendere per il culo Orrico divenne presto un obbligo sociale. Non solo fra i tifosi bauscia, a cui giravano i cabasìsi nel vedere il Milan di Capello dominare il campionato, ma perfino fra i dirigenti nerazzurri, che smisero presto di difendere il proprio allenatore. Col panettone mal digerito, il tecnico filosofo rassegnò le dimissioni nei giorni dell’Epifania. Lo fece da uomo, riconoscendo il proprio fallimento e smenandoci pure un po’ di testoni, come dicono a Milano. Doveva essere Sacchi, finì peggio di Maifredi. Quando tolse il disturbo, i pennivendoli al guinzaglio stapparono lo champagne che qualcuno gli aveva regalato, senza nemmeno lontanamente immaginare la grandezza e l’unicità del personaggio che stavano perdendo per sempre. A Corrado Orrico infatti - al contrario di quanto succede a galoppini e yesmen - non fu più offerta alcuna occasione nel calcio che conta.

Hombre vertical, colto, coerente all’estremo, mai scontato, consapevolmente presuntuoso, lettore attento, perdente, marginale, incompreso e assai sfortunato, Orrico è stato ed è tuttora autentica mosca bianca nel mondo del football, dove più che dialettica e sofismi contano gol e punti. Criticava storture, frivolezze e immoralità di un mondo che voleva dinamitare dall’interno. Per disdetta però, come spesso capita ai rivoluzionari, la bomba gli scoppiò in mano in garage, la sera prima dell’attentato.

Oggi purtroppo viene ricordato soltanto per la gabbia in cui faceva allenare i suoi giocatori, una pelouse di piccole dimensioni delimitata da alte pareti che mantenevano il pallone sempre in gioco, senza tempi morti. Si trattava di uno strumento assai meno banale di quanto credettero i critici allineati, che troppo in fretta la bollarono come stravaganza da invasato. Oggi Corrado Orrico compie 80 anni, e noi lo abbracciamo, alla faccia dei gonzi che, quella volta, brindarono a scrocco alle sue sventure.