Calcio

«I nostri criteri per il patentino sono una garanzia di qualità»

L'intervista a Patrick Brugmann, direttore dello sviluppo del calcio presso l'Associazione Svizzera di Football
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Nicola Martinetti
21.06.2022 06:00

Il dibattito attorno ai parametri di selezione dell’ASF per valutare gli aspiranti allenatori interessati a conseguire il patentino UEFA Pro si è acceso negli scorsi giorni. A dar fuoco alla miccia, la ventilata possibilità che Hakan Yakin e

Vincent Cavin decidano di effettuare la formazione all’estero, a causa delle restrizioni presenti sul nostro territorio.

Signor Bruggmann, negli scorsi giorni la commissione che si occupa della formazione degli allenatori, diretta dal suo dipartimento, è finita sotto i riflettori per i suoi criteri di selezione. È sorpreso, considerando che essi sono gli stessi ormai da anni?

«No, personalmente non sono sorpreso dai recenti sviluppi. Quando vengono stabiliti dei parametri selettivi, infatti, è inevitabile che si generino anche delle discussioni. La vicinanza dei casi di Hakan Yakin e Vincent Cavin ha probabilmente fatto sì che la questione tornasse d’attualità».

Una delle critiche mosse al vostro processo di selezione è che i suddetti criteri sono ritenuti troppo rigidi. È vero?

«Di fatto noi ci basiamo su un documento denominato “UEFA Coaching convention”, un regolamento che definisce quali devono essere i criteri da soddisfare per poter ottenere i patentini certificati dalla federazione continentale. Tutti i Paesi si appoggiano a questo documento, dunque non siamo diversi dagli altri. Tranne che per un aspetto: noi richiediamo ai candidati due anni di esperienza in qualità di allenatore o assistente, invece che uno solo. Riteniamo che l’anno extra permetta agli aspiranti tecnici di accrescere in maniera determinante il loro bagaglio professionale, sotto vari punti di vista».

A chi afferma che l’investimento richiesto - economico, di tempo eccetera - è troppo dispendioso, cosa risponde invece?

«Dal punto di vista finanziario posso assicurarvi che i costi da sostenere in Svizzera sono meno importanti che altrove. In alcuni Paesi, infatti, la spesa totale per un patentino UEFAPro può risultare anche due o tre volte più elevata. Per quanto concerne invece il tempo da investire, esso è stabilito dalla UEFA, che ha posto l’asticella a 360 ore, ovvero 45 giorni da 8 ore l’uno».

Come federazione svizzera avete deciso di adottare un numerus clausus per la formazione dei tecnici, con un massimo di 12 candidati per ogni corso biennale UEFA Pro. Come mai?

«Innanzitutto va precisato che il regolamento UEFA prevede comunque un massimo di 20 candidati per questo genere di formazione. Noi, come ASF, abbiamo deciso di abbassare ulteriormente il limite a 12 aspiranti tecnici, per poter garantire il personale e le risorse finanziarie necessarie allo svolgimento dell’intero processo. È chiaro che, di riflesso, una scelta simile richiede una selezione. Noi infatti valutiamo le competenze professionali dei vari candidati, ma anche quelle sociali e via dicendo, toccando molti aspetti della vita di ognuno di essi. Ci rendiamo conto che, così facendo, il processo per diventare un allenatore di Swiss Football League (SFL) risulta lungo, complesso ed esigente. Ma svolgere tale professione ad alti livelli è altresì incredibilmente difficile e noi abbiamo l’obbligo di preparare i nostri candidati, affinché possano avere successo in ciò che fanno».

Nell’hockey, però, per allenare non è necessario disporre di un diploma o svolgere formazioni di questo genere. Un totale contrasto rispetto alla vostra realtà, no?

«Beh, non è mia intenzione giudicare ciò che avviene in altre discipline. Posso semplicemente dire che trovo bizzarro che non venga richiesta alcuna formazione specifica per accedere a una carica che prevede grandi responsabilità e salari importanti. Posso comprendere che l’istruzione, da sola, non determina i risultati che un tecnico ottiene poi sul campo. Ma sono fermamente convinto che ne aumenti sensibilmente le chance di successo. Direi allora che piuttosto che allentare i criteri instaurati nel calcio, sarebbe più sensato fissarne quantomeno alcuni nell’hockey».

Tornando brevemente al numerus clausus, qualora in futuro le vostre risorse finanziarie aumentassero, è ipotizzabile che esso venga ritoccato portandolo alla quota massima di 20 candidati stabilita dall’UEFA?

«Direi di sì. Del resto anche oggi, in fondo, è possibile che venga fatta un’eccezione arrivando a quota 13 o 14, in presenza di più candidati meritevoli. Tuttavia, sarà sempre necessaria una selezione sotto forma di valutazione per determinare i candidati. Riteniamo infatti che rappresenti un punto di forza, che assicura la necessaria qualità alla formazione».

Un terzo dei club di Super League (tre su dieci) vanta un tecnico straniero. Aumentando il numero di iscritti al corso, questo dato cambierebbe secondo lei?

«No, personalmente non vedo una particolare correlazione tra le due cose. Già adesso in Svizzera circolano molti più allenatori elvetici col patentino UEFA Pro, rispetto alle venti panchine messe a disposizione dai club di Super e Challenge League. E le società faranno sempre delle scelte dettate dalle singole esigenze, a prescindere da questo dato di fatto. Quantomeno, adottando dei severi criteri di selezione, proteggiamo la categoria garantendo la qualità dei suoi esponenti».

In Ticino conosciamo molto bene il caso di Mattia Croci-Torti, che in piena formazione ha preso le redini del FCLugano, vincendo anche la Coppa Svizzera. Il suo esempio cosa rappresenta per il vostro programma?

«Dimostra che svolgere questo percorso sottostando alle nostre condizioni non solo è fattibile, ma porta anche dei frutti tangibili. Sono convinto che a precisa domanda lui stesso affermerebbe che il corso è stato sì intenso, ma altresì utile e istruttivo».

Al contrario del «Crus», Hakan Yakin e Vincent Cavin potrebbero optare per seguire il corso all’estero. Come funziona in questi casi?

«Entrambi possono seguire il corso all’estero, a patto che conoscano la lingua in cui viene svolta l’istruzione e soddisfino i requisiti di ammissione del rispettivo Paese. Nel caso di Vincent Cavin, la federazione italiana dovrà decidere se accettarlo o meno. Notiamo solo che attualmente non soddisfa i nostri requisiti di ammissione».

Non è però un controsenso che Cavin, dipendente dell’ASF, effettui la formazione in Italia e non presso i corsi da voi organizzati?

«Vincent Cavin ha attualmente un solo anno di esperienza come allenatore, secondo quanto stabilito dal regolamento UEFA e siccome il nostro prossimo corso biennale inizierà prima che lui accumuli anche il secondo da noi richiesto, finirebbe col poter accedere alla formazione ASF solo nel 2025. Di qui l’intenzione di accelerare il processo guardando all’Italia, che invece gli permetterebbe di accedere all’istruzione già adesso».