Calcio e finanza

Il Chelsea, i club sauditi e la scappatoia: «Una dinamica destinata ad aggravarsi»

Reduce da folli campagne acquisti, la società londinese sta cercando di rientrare nei parametri finanziari imposti da UEFA e Premier League - La proprietà statunitense dei Blues, in questo senso, ha trovato terreno fertile in Arabia - Marco Bellinazzo: «Compravendite “drogate” a soccorso dei bilanci»
Il difensore senegalese Kalidou Koulibaly, corteggiato dall’Al-Hilal, è uno dei quattro Blues indirizzati verso la lega araba. © Reuters/Molloy
Nicola Martinetti
24.06.2023 06:00

Mateo Kovačić al Manchester City e Kai Havertz all’Arsenal, per un totale di oltre 100 milioni di franchi. E ancora: Romelu Lukaku, César Azpilicueta e Mason Mount pronti a partire a loro volta, per una somma persino più alta. I primi due direzione Milano, il secondo promesso al Manchester United. La rosa del Chelsea, in questo rovente mese di giugno, è più gettonata di una gelateria. E al banco di Todd Boehly e associati, attirati da offerte per tutti i gusti, si stanno alternando i club più prestigiosi al mondo. Ma non solo. Già, perché costretto a sfoltire i ranghi dopo aver acquistato rinforzi per oltre 600 milioni di franchi in poco più di un anno, il proprietario statunitense dei londinesi sta anche strizzando l’occhio all’attrice più chiacchierata di questa finestra di mercato estiva: la Saudi Professional League.

Un comodo lasciapassare

Sarebbero infatti addirittura quattro i calciatori dei Blues attualmente indirizzati verso il massimo campionato dell’Arabia Saudita: Kalidou Koulibaly (corteggiato dall’Al-Hilal), Édouard Mendy (Al-Ahli), Hakim Ziyech (Al-Nassr) e Pierre-Emerick Aubameyang (Al-Hilal). Senza dimenticare il passaggio a parametro zero - già ufficializzato - di N’Golo Kanté dallo stesso Chelsea all’Al-Ittihad. L’asse Stamford Bridge-Arabia Saudita, insomma, è davvero caldissimo. E in molti - non soltanto i maligni - ci vedono una scappatoia, una sorta di carta per uscire gratuitamente dalla prigione del fair play finanziario, sfruttata senza remore da un club che negli ultimi dodici mesi ha speso senza freni. «Direi che al proposito non vi sia alcun dubbio - ci conferma Marco Bellinazzo, giornalista del quotidiano “Il Sole 24 Ore” ed esperto di calcio e finanza -. Il Chelsea “americano” è reduce da campagne acquisti spropositate, peraltro nemmeno corroborate dalla qualificazione alla prossima Champions League. La combinazione delle due cose, va da sé, ha posto il club in una posizione estremamente complicata dal punto di vista dei parametri finanziari imposti sia dall’UEFA, sia dalla Premier League. Di qui la volontà, questa estate, di sfoltire la rosa non soltanto per incassare cifre importanti dai cartellini, ma anche al fine di liberare il monte ingaggi dai contratti più “pesanti”. Rientrando così nelle spese, aiutando i bilanci. La realtà saudita, in questo contesto, ha fornito un terreno estremamente fertile grazie a una serie di club che stanno attualmente “drogando” le compravendite con prezzi smisurati. Il caso del Chelsea, tuttavia, non fa discutere soltanto per questa dubbia dinamica. Ma pure per una ragione puntuale, che ha attirato l’attenzione delle altre società».

Sospetti e limiti giuridici

L’oggetto delle controversie, infiammatesi dopo un recente incontro tra Todd Boehly e il presidente dell’Al-Hilal, Fahad bin Nafel, è presto spiegato. Clearlake, il fondo d’investimenti che in cordata con Boehly ha acquistato il Chelsea, rilevandone circa il 60% delle quote azionarie, parrebbe avere un legame indiretto con il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, il Public Investment Fund (PIF). Il problema? Quest’ultimo, oltre a essere l’azionista di maggioranza del Newcastle, negli ultimi giorni ha assunto il medesimo ruolo in seno a quattro dei club citati in precedenza: l’Al-Hilal, l’Al-Ahli, l’Al-Nassr e l’Al-Ittihad. Difficile, premesse alla mano, non paventare dunque un potenziale e irregolare conflitto d’interessi. Ovviamente poco gradito dagli altri club, in particolare quelli di Premier League. «Il problema, tuttavia, è che non stiamo parlando di un quadro dalle pennellate ben definite - rileva Bellinazzo -. Al contrario, vi sono molteplici sfumature. Il sospetto che il PIF abbia quote e partecipazioni in Clearlake, e viceversa, è reale. Ma si tratta altresì di un’accusa difficilmente comprovabile a livello giuridico. Di fatto né l’UEFA, né la Premier League, né tantomeno altri tipi di autorità hanno le armi e gli strumenti per poter determinare se vi siano effettivamente dei conflitti d’interesse. E neppure se, in questo caso specifico, il PIF controlli sia il venditore sia il compratore. Resta il fatto che la vicenda ha suscitato e continua a suscitare grande malumore in seno alle altre squadre. Era del resto già accaduto quando il PIF era divenuto azionista di maggioranza del Newcastle».

Uno scenario prevedibile

Il processo innescato nelle ultime settimane, insomma, parrebbe inarrestabile. E destinato a scombussolare gli equilibri del calcio mondiale anche in futuro. «Penso proprio di sì - conferma il nostro interlocutore -. Il caso specifico del Chelsea, a mio avviso, potrebbe rivelarsi estemporaneo. Ma la tendenza, il fenomeno che ha contraddistinto le prime fasi dell’attuale mercato estivo, quello no. Anche perché in realtà era prevedibile. Tant’è che ne avevo già parlato nel mio libro - “Le nuove guerre del calcio” - pubblicato in collaborazione con Feltrinelli nell’ottobre del 2022. Il pericolo che in futuro i club europei continuino a sfruttare la realtà saudita come scorciatoia per risolvere le difficoltà economiche, è enorme. E destinato non solo a rimanere, ma anche ad aggravarsi. Allargando il discorso, tuttavia, emerge un tema di fondo che l’UEFA e il calcio europeo sono chiamati ad affrontare. E che, personalmente, ritengo che fin qui sia stato gestito in maniera errata. Mi riferisco alle multiproprietà. Attualmente in Europa vi sono circa 200 club interessati da questo fenomeno. E le situazioni che ne conseguono creano delle circostanze opache, che a lungo andare rischiano di incidere sia sul fair play finanziario sia sull’equità delle competizioni. Su questo aspetto bisognerebbe fare maggiore chiarezza, invece pare che l’UEFA si stia muovendo nella direzione opposta, verso una legittimazione di questo sistema tramite una normativa. Uno sviluppo che, va da sé, personalmente riterrei sbagliato».

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