«In Svizzera è complicato monitorare i procuratori»

Signor Russo, partiamo da una domanda atta a contestualizzare il tema: perché alcuni procuratori decidono di fare un passo in più, diventando anche proprietari?
«Come proprietario di una società, o comunque azionista di riferimento, un agente ha la possibilità di far circolare i calciatori della sua “scuderia” in determinati campionati. Dai migliori al mondo a quelli comunque di buon livello, come ad esempio la Challenge League. Tornei che potremmo definire arene di sviluppo, dove far crescere i giocatori per poi rivenderli lucrando sulla cessione. Il tutto aggirando i divieti imposti dalla formula della “Third-Party ownership”, decretata dalla FIFA nel 2015 con l’intento di bandire la possibilità, da parte di soggetti esterni, di sfruttare la cessione dei diritti economici dei calciatori. Ovviamente l’entrata in vigore di questo divieto non ha fatto altro che rendere sempre più indiretto, ma non meno presente, il controllo dei club da parte di questi procuratori. Consentendo al conflitto d’interessi, che in questi casi è enorme, di sussistere».
Le lancio una provocazione: ma il conflitto d’interessi è così marcato soltanto nei casi degli agenti-proprietari?
«La questione della forte vicinanza tra alcuni procuratori e determinati club si pone sempre. Poi - di volta in volta - va compresa sia la formula, sia la profondità di questa influenza. Vi sono ad esempio degli agenti, spesso definiti come “super-agenti”, che hanno una dimensione molto importante. E quindi, di riflesso, anche una certa influenza sul mercato, pur non essendo proprietari di alcun club. Solitamente sono i procuratori con un potere inferiore che si cimentano nelle gestioni societarie, al fine di andare a conquistare delle nicchie di mercato. Raggiungendo il massimo livello di promiscuità. Aggiungo, per completezza, che tuttavia a volte pure i “super-agenti” finiscono per avere un club di riferimento, le cui politiche in materia di trasferimenti vengono da loro plasmate pur non essendone esplicitamente proprietari. L’esempio più lampante è quello di Jorge Mendes e lo Sporting Braga, con il portoghese che ha praticamente reinventato la società, dandole addirittura una dimensione europea».
È giusto affermare che la «regola» più importante per chi si presta a determinate operazioni, specialmente nei casi in cui l’agente rientra nella proprietà del club, è non dare nell’occhio?
«Esattamente, non bisogna essere espliciti. Altrimenti c’è il rischio - lo si è visto nelle ultime ore - di mettere in allerta le autorità competenti. In casi del genere il principio più seguito è non figurare nei ranghi dirigenziali con nessuna carica, evitando di essere ufficialmente coinvolti. E, in generale, mantenere un profilo basso. Tuttavia nonostante queste “precauzioni”, spesso le politiche di mercato portate avanti da determinati club tradiscono ciò che in fondo accade realmente. Ecco, a parer mio questo genere di dinamiche andrebbero monitorate meglio dalle autorità preposte. Ma, con mio profondo dispiacere, purtroppo in Svizzera ciò non è possibile, perché si tratta di un Paese in cui il segreto societario è un dogma. I club sportivi, così come le società di capitali in generale, sono delle scatole nere sulle quali l’opinione pubblica non può esercitare nessun potere di controllo. Per fare un paragone, nel calcio italiano - una realtà tutt’altro che sana, intendiamoci - i bilanci di ogni società professionistica sono fruibili e di dominio pubblico. Un enorme vantaggio se si intende appurare cosa accade realmente dietro le quinte».
In merito al «caso Bentancur», la Commissione delle licenze della Swiss Football League (SFL) ha affermato - tramite il suo presidente - di basare i suoi sospetti su dichiarazioni e situazioni esaminate durante l’anno. Può essere sufficiente, per giungere a una conclusione attendibile?
«Dal punto di vista puramente legale tenderei a non sbilanciarmi, anche perché non sono particolarmente competente. Tuttavia posso dirti che il quadro che mi dipingi, in generale, un po’ mi sconcerta e un po’ mi sorprende. Se nemmeno la lega stessa possiede gli strumenti per andare a fondo in merito agli assetti proprietari, la situazione si fa veramente complicata. Non credo che quando Bentancur ha rilasciato le dichiarazioni menzionate dalla Commissione delle licenze, stesse parlando a vanvera. Diceva una sua verità, e di questo una lega non può non tenere conto. Che poi siano delle prove oggettivamente validabili, questo io non lo so. Come dicevo prima, è un terreno sul quale preferisco non addentrarmi perché rischierei di dire delle cose imprecise, non essendo un esperto».
Perché secondo lei la SFL ha scelto di puntare i fari su Bentancur e il Bellinzona, ma - almeno all’apparenza - rimane indifferente di fronte a casi analoghi come quelli di Basilea e Grasshopper? Il club renano, presieduto da David Degen, ha un’inevitabile vicinanza con suo fratello Philipp, un procuratore. Mentre la società zurighese rientra tra quelle in qualche modo connesse con il già citato agente portoghese Jorge Mendes...
«È una domanda alla quale sinceramente fatico a trovare una risposta. Se non per il fatto che gli altri due soggetti da lei citati, almeno dall’esterno, appaiono più prudenti. Il caso del Basilea rimane comunque sconcertante, e mi chiedo come mai non siano ancora state trovate le necessarie contromisure. Mentre per quel che concerne il GC, l’influenza di Mendes è abbastanza accertata, ma altresì molto indiretta. Decisamente meno marcata rispetto a quella che ad esempio esercita al Wolverhampton, dove comunque dopo attente analisi da parte degli organi competenti è rimasto impunito. Figurarsi allora in Svizzera...».
La FIFA, come suggeriva lei inizialmente, ha dichiarato guerra agli agenti speculatori. Scorrendo l’elenco dei casi che tutt’oggi rimangono quantomeno dubbi, sembra tuttavia evidente che questa battaglia non sta fruttando i risultati auspicati. Come mai?
«Innanzitutto è una guerra molto complicata da portare avanti, perché laddove non vi sono evidenze di un coinvolgimento diretto da parte degli agenti, tutto si fa più difficile. La FIFA, poi, non è l’Interpol. Non ha dei poteri giudiziari e investigativi tali da poter andare a controllare anche gli assetti societari al di fuori del mondo del calcio, che spesso sono quelli decisivi in questo genere di circostanze. Aggiungo inoltre, ma è una sensazione personale, che a volte mi sembra che queste guerre siano più che altro di facciata. Quando vedo massime cariche calcistiche, formalmente impegnate appunto in determinate battaglie, partecipare ai grandi forum pallonari a contatto di gomito - se non addirittura a braccetto - con determinati procuratori, allora la cosa mi fa riflettere. Mi sembra più un gioco delle parti, che non viene preso veramente sul serio. E questo, unitamente al fatto che purtroppo determinati fenomeni risultano inarrestabili, non lascia grandi margini di speranza in vista del futuro. Anzi, a mio avviso nei prossimi anni assisteremo a un incremento di controlli occulti sui club da parte degli agenti, che sperimenteranno formule sempre più ingegnose per aggirare i regolamenti. Non arriveremo mai ad estirpare determinati meccanismi».