Kimmich, i suoi fratelli no vax e quel 4% che rischia grosso

The show must go on. Già. Alcuni stadi, però, sono tornati a svuotarsi. Altri hanno dovuto ridurre la propria capacità. Mentre in Svizzera, al momento, ci si aggrappa alla regola del 2G, alle mascherine e - nel calcio - alla chiusura dei settori ospiti. Sta di fatto che la pandemia sta accerchiando (di nuovo) il mondo dello sport. E, di riflesso, i suoi protagonisti. Non solo. La COVID-19 ha ripreso a insinuarsi negli spogliatoi. Facendo breccia nei piani di protezione e mandando all’aria i progetti di più di un allenatore. Nel nostro Paese, al momento, il sistema regge. Per trovare le ultime falle - con conseguenti match rinviati -, bisogna infatti ritornare al 19 e al 21 ottobre, e ai mini-focolai che avevano interessato lo Zugo e lo Stade Losanna. Bene. Nel resto dell’Europa, e soprattutto sul fronte pallonaro, le cose stanno invece prendendo una brutta piega. E il caos scoppiato attorno alla sfida di Conference League tra Tottenham e Rennes, prima confermata, poi annullata per i contagi in serie tra la squadra e lo staff inglesi, è l’emblema della situazione attuale. Fragile. Fragilissima. Proprio il Governo Johnson, in Gran Bretagna, si appresta a correre ai ripari. Ben oltre la mezzanotte. A spaventare di brutto è la variante Omicron, che oramai imperversa oltremanica. La strategia di «BoJo», per ora solo una bozza, guarda anche agli eventi sportivi con più di 10.000 persone. Sì, perché i tifosi dovranno mostrare un tampone negativo per accedere agli impianti. Grossomodo, quanto già previsto per i giocatori non vaccinati. Il timore che serpeggia tra i calciatori no vax, tuttavia, è che l’obbligo vaccinale possa, presto o tardi, interessare la Premier League. Così come molti altri tornei del continente.
«Presto altri casi pure da noi»
A ottobre - stando ai dati ufficiali della lega inglese - l’81% dei tesserati aveva ricevuto almeno una dose e il 68% la seconda. Nelle ultime settimane, comunque, la curva in questione avrebbe conosciuto un’impennata. Il margine di manovra per il coronavirus però rimane. «Ed è ovvio che la recrudescenza dei contagi nella popolazione si rifletta anche fra gli sportivi professionisti» osserva Marco Marano. Il team doctor di FC e HC Lugano non usa giri di parole: «Purtroppo, considerata la tendenza, nelle prossime settimane anche i massimi campionati elvetici torneranno a conoscere nuovi casi. È inevitabile». Ahia. Marano, fortunatamente, ha anche buone notizie. «Per le prime due dosi, l’adesione dei giocatori e degli staff di HCL e FCL era già stata elevatissima. Parliamo di un 95% complessivo. Ebbene, per il richiamo questo tasso verrà confermato. Buona parte degli interessati si sottoporrà ancora al vaccino in gennaio, passati i sei mesi dall’ultima iniezione. Ma per alcuni giocatori, che si erano mossi autonomamente prima dei nostri programmi, il booster sarà realtà già nei prossimi giorni». A Cornaredo e alla Cornèr Arena, insomma, la sensibilità sul tema è alta. «Nel frattempo - indica Marano - le rispettive leghe hanno chiesto di ripristinare i protocolli che erano stati allestiti nella prima fase della pandemia. Dall’invito a viaggiare da soli per recarsi agli allenamenti, alla suddivisione in gruppi negli spogliatoi, passando per l’uso della mascherina nei luoghi comuni al chiuso». Lo spettacolo, d’altronde, deve continuare. Ma più che del calendario di National e Super League, ne va soprattutto della salute degli stessi atleti. E la chiave, appunto, è rappresentata dal vaccino. «Non si tratta di screditare i no vax, no» precisa il team doctor bianconero. «Il mio, il nostro, è un discorso meramente scientifico. Che guarda alla salute degli sportivi di alto livello». E a tal proposito, la recente conferenza mondiale del Comitato olimpico internazionale, dedicata alla prevenzione degli infortuni e delle malattie nello sport, ha fornito importanti risposte agli esperti del settore.
Occhio a cuore e respirazione
La più rilevante riguarda i decorsi dei giocatori sorpresi dal virus. In particolare, quelli non vaccinati. Come Joshua Kimmich, esatto, che proprio ieri - per voce del Bayern Monaco, suo club - ha annunciato che non rientrerà prima del 2022. Il 24 novembre si era contagiato. «Sono felice che la mia quarantena sia finita. Sta andando tutto molto bene, ma non posso ancora allenarmi completamente a causa di un leggero danno ai polmoni». Una complicazione all’apparato respiratorio, dunque, «che con la miocardite - un disturbo cardiaco - ha interessato il 4% dei professionisti risultati positivi alla COVID-19» sottolinea Marano, puntualizzando che si tratta di dati raccolti prima dell’avvento dei vaccini. «Questi ultimi, al contrario, non azzerano la trasmissione del virus, ma di certo escludono sintomatologie gravi come quelle appena descritte». Una sorta di Long COVID in termini sportivi. «La cui durata - prosegue il nostro interlocutore - può essere stimata in mesi e che riguarda persone con un’età media di 25 anni. Senza, per altro, che al momento siano conosciute terapie specifiche per combattere questi casi». Marano avanza quindi un esempio concreto: «Nell’autunno del 2020, è noto, s’infettarono molti giocatori dell’HC Lugano. Tre di loro conobbero delle complicazioni, che ne hanno ritardato il ritorno sul ghiaccio. Uno addirittura rimase ai box per oltre un mese». Alla luce di questi contraccolpi, effettivi o potenziali, «sono state implementate delle valutazioni cardiovascolari regolari. Prima di tornare a competere come pure alla vigilia della stagione. Detto ciò - conclude il team doctor bianconero Marco Marano - da un punto di vista medico obbligare gli sportivi d’élite a vaccinarsi potrebbe essere la scelta più giusta». In Austria sarà così. E, forse molto presto, anche nella Germania di Joshua Kimmich.