La Catalogna ora sogna, e non solo per il Barça

In Catalogna si sogna il titolo. Che novità, direte voi. Il Barcellona del resto ne ha vinti «solo» 27, l’ultimo dei quali la scorsa stagione. Vero. A stuzzicare la fantasia dei catalani, tuttavia, questa volta non è (soltanto) la formazione blaugrana. E nemmeno l’altra anima della Città dei Conti, l’Espanyol, peraltro ormai confinato in Segunda División. No, a essersi preso la scena nel girone d’andata, prepotentemente anche, è il sorprendente Girona. Sì, avete capito bene, il Girona. Che attualmente, dopo 15 giornate, affianca il Real Madrid di Carlo Ancelotti in vetta alla classifica. L’unica rivale in grado di strappare una vittoria alla squadra di Míchel.
Un palmarès inesistente
I «Gironins», da sempre, rappresentano la terza forza della comunità autonoma. Ma seppur apprezzati dal leader indipendentista Carles Puigdemont, prima d’ora non si erano mai ritagliati un ruolo importante nel calcio che conta. Il loro palmarès, al proposito, è eloquente: nessun trofeo rilevante, nessuna partecipazione a una coppa europea, e appena 4 (!) stagioni all’attivo nel massimo campionato spagnolo - compresa questa - in 93 anni di storia. Come è allora possibile che un club di questa caratura, a ridosso del nuovo anno, si ritrovi a dare battaglia ai giganti del calcio iberico per la conquista del titolo nazionale? Una risposta, quantomeno parziale, c’è. E no, al netto dell’apprezzabile narrativa della sorprendente cenerentola che sfida i potenti, non poggia le proprie basi su qualcosa di inspiegabile o di ineffabile. Bensì su dinamiche e meccanismi che da anni ormai contraddistinguono il mondo pallonaro.
L’ombra dell’universo Citizen
C’è in effetti un motivo se l’arco esistenziale del club catalano ha subito una netta impennata a partire dal 2017, anno della prima, storica promozione in Primera División. Dopo aver tagliato quel traguardo, infatti, gran parte delle quote societarie sono state rilevate da due entità profondamente legate al Manchester City: il City Football Group (proprietario dei Citizens) e il Girona Football Group, quest’ultimo guidato dal fratello di Pep, Pere. Entrambe si sono accaparrate il 44,3% delle azioni, assumendo di fatto le redini dei «Blanc-i-Vermells».
Non sorprende, allora, il fatto di ritrovare nella rosa dei catalani alcuni giocatori legati alla galassia City. Couto, Herrera e Sávio - quest’ultimo in prestito dall’altro club satellite, il Troyes - rientrano tutti sotto questo cappello. Al loro fianco, la dirigenza ha deciso di puntare su alcuni veterani di comprovata esperienza - l’olandese Blind e l’uruguaiano Stuani su tutti - e alcuni talenti in rampa di lancio, come García e Torre (in prestito dal Barcellona) e la talentuosa ala ucraina Tsyngakov. Un mix interessante, certo. Anche promettente. Ma sulla carta tutt’altro che esplosivo. E decisamente non così incendiario.
L’uomo giusto al posto giusto
L’innesco fondamentale, la scintilla in grado di scatenare l’imponderabile, si è allora rivelato essere - lo dicono gli addetti ai lavori spagnoli - il già citato tecnico Miguel Ángel Sánchez Muñoz, in arte Míchel. La sua filosofia calcistica suadente e offensiva, che esalta le doti dei tenori d’attacco, ha reso il Girona una squadra temibile e letale. Nonché divertente da seguire. Il 48.enne iberico, ironicamente madrileno, ha insomma cambiato il volto dell’intera squadra. Trovando il modo di unire quella che all’apparenza sembrava un’accozzaglia di elementi intrigante ma un po’ insensata, trasformandola in una macchina quasi infallibile. Un giudizio esagerato? Le 12 vittorie inanellate sin qui, a fronte di 2 pareggi e la sola sconfitta concessa contro i «Blancos», dicono il contrario. Anzi, per i quasi 13.000 del Montilivi - il secondo stadio meno frequentato della Liga, ma solo perché la capienza massima è quella - sognare è ormai diventato lecito. E domenica al Camp Nou è in programma la sfida contro i «cugini» del Barça. Arriverà l’allungo?