Como me gusta la Serie A

La Serie A, il Como e il basso livello del calcio

La partita di ieri sera contro l'Empoli è stata particolarmente brutta, ricca di errori tecnici come poche altre - Nel confronto con il pre-Bosman, la categoria ha fatto passi indietro - Ma resta qualcosa di unico
© EPA/Claudio Giovannini
05.11.2024 19:00

Le interviste post-partita possono essere noiosissime. Lo sono, il più delle volte. Un po' per la mancanza di audacia di molti giornalisti. Un po' per l'assenza di acume tra gli attori protagonisti.

Ci sono però alcune eccezioni. Senza voler fare l'Adani della situazione, senza voler essere macchiettistico, parlo di chi fa davvero calcio. Di chi lo vive fino in fondo, fin nel profondo, in maniera viscerale. Cesc Fabregas è uno di questi.

Ieri, dopo l'orribile incontro disputato dal suo Como a Empoli, ha buttato lì un commento passato quasi inosservato: «È stata una partita di basso livello». Ha detto proprio così.

Chi l'ha vista, può testimoniarlo. È stata una partita di media Serie B. Per gli amanti del genere, roba da non credere ai propri occhi. Per tutti gli altri, quelli che dallo stesso Fabregas si aspettano altro, un briciolo di spettacolo, di gioco, è stato un incubo. Difficile fare peggio. Da una parte e dall'altra. Perlomeno l'Empoli è arrivato fino in fondo, e un gol lo ha fatto. Il Como no.

Ma la riflessione che vi voglio proporre è un'altra. Mi sono chiesto: la Serie A è, generalmente, di alto livello? E che cosa, oggi, a livello calcistico, lo è? Detto che l'eventuale discussione rientra nel campo della soggettività, l'impressione è che il calcio stia in qualche modo regredendo a livello tecnico. La difficoltà nell'individuare un campione a tutto tondo, meritevole senza discussioni e senza tristi pantomime (sì, ci riferiamo al Real) del Pallone d'Oro, in fondo lo dimostra. E poi quante volte ci viene da dire che questo o quell'altro giocatore mai e poi mai avrebbero potuto giocare in quella Juve, in quel Milan o in quell'Inter, riferendoci a tempi andati?

Intendiamoci, i brocchi e i bluff ci sono sempre stati, anche nelle grandi squadre, ma spesso si sono ritrovati circoscritti. Pochi casi nascosti nelle rispettive generazioni. Ma oggi? L'Empoli e il Como di ieri sera? Il Venezia attuale? Al netto delle idee di allenatori piuttosto illuminati - lo stesso Di Francesco è un perdente di qualità eccelsa -, gli effettivi mostrano davvero grandi limiti.

Ma facciamo un gioco. Alla Maurizio Mosca. E andiamo a confrontare le ultime due dell'attuale classifica con le ultime due della stagione 1994-1995. Trent'anni fa. Era una signora Serie A. Ultime risultarono Reggiana con 18 punti e Brescia con 12, staccatissime dal resto della compagnia, persino dalle altre retrocesse, Foggia (34) e Genoa (40, mandata giù dallo spareggio contro il Padova, finito ai rigori).

Partiamo dal Brescia. Il Brescia 1994-1995 fece girare tre allenatori: Lucescu, Maifredi e Moro. In squadra, aveva tre soli stranieri - chiaro -, i nazionali rumeni Lupu e Sabau e il portoghese minore Cadete. Tra gli italiani, però, schierava: Ballotta in porta, lo stesso Adani, un Battistini a fine carriera, Baronio, Corini, Gallo, un giovane Pirlo, il povero Borgonovo, «Nippo» Nappi e il simbolo Neri. Insomma, mica male.

E la Reggiana? Anche gli emiliani iniziarono con Marchioro ma cambiarono poi due volte, prima con Ferrari, infine con Vitale. E la squadra era di tutto rispetto. Basti pensare agli stranieri di spicco, Oliseh e Paulo Futre, e poi l'altro portoghese Rui Aguas e la punta russa Simutenkov. E gli italiani: tra gli altri, Antonioli in porta, De Agostini, Gregucci, Gambaro, Nando De Napoli, la coppia di mediani dai cognomi più baüscia che ci sono - Brambilla e Mazzola -, Ciccio Cozza, Padovano.

La Legge Bosman, di lì a poco, avrebbe travolto e stravolto il calcio. Ma ci sentiamo di dire che nel confronto - non stiamo neppure a spulciare le rose delle attuali ultime due della classe, Venezia e Lecce - tra epoche diverse, la Serie A qualcosa ci ha perso. Sono cresciuti altri campionati, per più motivi differenti, tra tutti la Premier, ma il livello del calcio italiano ha fatto qualche passo indietro.

Detto questo, a essere rimasto intatto in Italia è il gusto per questo sport. Sono cambiate le abitudini, a cominciare dalla radiolina attaccata all'orecchio, dal tabellone dei risultati utile in chiave totocalcio, sono cambiati gli orari e le gestioni. Ora sono pochi i patron italiani, le dirigenze indigene. E qualcosa si perde, si sta perdendo. Ma per chi ha memoria, anche un Empoli-Como, un Empoli-Como come quello di ieri sera, ha un senso.

E allora è vero che, come ha osservato Fabregas, questa è stata una partita di basso livello. È vero che alcune squadre, specie quest'anno, non sembrano essere del tutto pronte alla categoria - e speriamo che a Fabregas venga dato il tempo per recuperare il terreno -, ma è altrettanto vero che la passione va oltre il bello, oltre il calo di qualità. E in fondo è proprio quel genere di partita a riavvicinarci all'essenza del calcio di provincia, quello che cresce lontano dalle omologazioni e dalla finzione in stile playstation.