La storia di Patrick Rossini: «Finalmente ho rivisto la luce in fondo al tunnel»

Gli ultimi otto mesi di Patrick Rossini assomigliano molto più a una Via Crucis che a una vita normale. Dentro e fuori dagli ospedali, tre operazioni, una pericolosa infezione, la riabilitazione, la sensazione di non farcela. Ora, l’attaccante ticinese dell’Aarau sorride. È tornato in campo nell’amichevole dell’altro giorno contro lo Zurigo. «Finalmente» dice. E ha pure colpito un palo. «Dopo un’assenza così lunga rientrare in una partita di un certo livello non è facilissimo» spiega l’ex Locarno e Lugano. «Ed è anche un po’ frustrante: sai dove metterti, conosci posizioni e movimenti da compiere. Eppure il corpo non segue al cento percento ciò che vorrebbe fare la testa. È normale, certo, però la sensazione è strana». Normale, sì. Anche perché il tunnel attraversato da Rossini è stato lunghissimo: otto mesi e 11 giorni. Praticamente una stagione intera. «Ho subito un brutto infortunio, tuttavia non è stata la rottura dei legamenti del ginocchio a rendere le cose complicate. Incidenti del genere possono capitare nella carriera di un calciatore. Sono stato operato una prima volta a Rheinfelden. Tutto bene, fino a quando la ferita non si è infettata. Ho quindi dovuto sottopormi ad altri due interventi chirurgici che hanno prolungato i tempi di recupero. Di più: proprio per togliere l’infezione, prendevo quotidianamente due antibiotici. Le medicine mi hanno buttato a terra. Stavo in piedi una mezzoretta ma poi dovevo stendermi, non ce la facevo. È stato quello il periodo più duro anche perché dovevo restare sotto osservazione in ospedale. Vedere i miei bambini entrare nella stanza era difficile: vedevo in loro parecchia sofferenza. Poi è cominciata la lunga fase di recupero. Ho scelto di curarmi ad Aarau proprio per stare vicino alla mia famiglia. Non volevo togliere dall’asilo i miei figli per trasferirli in Ticino. Tuttavia, quando proprio non ce la facevo più, rientravo un paio di giorni a Lugano dal fisioterapista Roberto Maragliano. È stata dura superare l’infezione, soprattutto mentalmente. Non pensavo più al calcio, dovevo cercare innanzitutto di guarire».


Adesso, per fortuna, l’infortunio e tutto quanto ne è seguito sono solo un ricordo. Patrick Rossini, come detto, ha ritrovato il gusto di scendere in campo. «Sono tornato a lavorare con il gruppo lunedì e il mister ha subito voluto farmi giocare un’amichevole» racconta il ticinese. «Un bell’attestato di stima nei miei confronti, significa che ad Aarau puntano ancora su di me e questo mi fa estremamente piacere. Inoltre, rispetto a qualche settimana fa, vedo miglioramenti ogni giorno. Prima, invece, i progressi erano molto più lenti, li misuravo in mesi. È stata lunga, ora ne sono finalmente uscito».
L’Aarau, uno dei club storici della Svizzera, da anni combatte in Challenge League. Una situazione difficile, cui vanno aggiunti i problemi legati al nuovo stadio. Il Brügglifeld, impianto affascinante quanto vetusto, ha oramai fatto il suo tempo. Ma una marea di ricorsi ha bloccato e messo in serio pericolo un progetto vecchio più di dieci anni. «Seguo le vicende legate al nuovo stadio, però è tutto molto complicato» dice Rossini. «La situazione non è bellissima, anche perché il presidente del club (Alfred Schmid, ndr) ha comunicato che lascerà l’incarico la prossima estate. Bisogna capire chi gli subentrerà e soprattutto quale sarà il destino del progetto della struttura». Per tornare grande e riuscire a riabbracciare la Super League, l’Aarau ha bisogno di una nuova casa. Così come di un disegno sportivo serio e pluriennale. «Dal punto di vista calcistico le cose stanno andando meglio» spiega il ticinese. «Noto maggiore continuità e la volontà di non cambiare sempre le carte in tavola quando i risultati non arrivano. Patrick Rahmen, il nostro allenatore, è rimasto al suo posto nonostante un inizio di campionato complicatissimo. Un buon segno, significa un netto taglio rispetto al passato. I risultati prima di Natale sono stati positivi, bisognerà proseguire su questa strada anche nel girone di ritorno. Non ci fasciamo troppo la testa, nel senso che abbiamo deciso di non guardare troppo avanti. Viviamo il presente, prendiamo partita dopo partita e cerchiamo di risalire la classifica (gli argoviesi hanno chiuso la prima patte di stagione al sesto posto, ndr). In fondo siamo in una specie di limbo: l’ultimo posto dista otto punti, gli stessi che ci separano dallo spareggio. Bisogna crederci, mantenendo sempre una linea costante in tutto ciò che facciamo, dagli allenamenti alle partite fino all’organizzazione della squadra. In passato, fra infortuni e nuovi arrivi, era difficile trovare la chimica giusta. Oggi, invece, la rosa è competitiva e ha imparato a stare assieme. Certo, la Challenge League è imprevedibile. Non a caso i tifosi, quando ero a Lugano, cantavano “è un campionato fantastico”. Tutti possono battere chiunque, non c’è una legge. Noi dobbiamo fare il nostro, poi i risultati arriveranno».


La dirigenza dell’Aarau, grazie ai buoni contatti del direttore sportivo Sandro Burki, nella finestra di mercato appena aperta ha già messo a segno un colpo di quelli importanti: Markus Neumayr. Il tedesco, piedi raffinati e rara visione di gioco, è tornato in Svizzera dopo esperienze in Turchia (Kasimpasa) e Iran (Esteghlal). «Un grande acquisto, certo» commenta Rossini. «Personalmente trovo che davanti siamo messi bene. Ci sono giocatori importanti, di qualità. Questo mi permette di sfruttare tutto il tempo necessario per recuperare al cento percento il mio fisico. Non ho l’impellenza di tornare immediatamente in campo in una partita ufficiale proprio perché la squadra è ottima. Ho voglia di segnare e di sentirmi nuovamente indispensabile, ci mancherebbe, ma dall’altra parte non voglio nemmeno forzare».