La Viola e quel precedente col botto: «Passammo il turno per un petardo»

Nonostante siano ormai trascorsi 25 anni, la voce di Pascal Zuberbühler tradisce ancora una certa emozione. La stessa che nell’autunno del 1998 ammantò una delle sfide più speciali della sua carriera. «Come dimenticare, del resto, quella Fiorentina? - ci confida l’ex portierone, all’epoca in forza al Grasshopper - Parliamo di una squadra iconica, tra le migliori d’Italia a ridosso del nuovo millennio. Infarcita di giocatori di talento e allenata da un certo Giovanni Trapattoni. La cui punta di diamante, forse qualcuno se lo ricorderà, si chiamava Gabriel Batistuta».
Sconfitti ma fiduciosi
I destini della Viola e delle Cavallette, al pari di quanto accadrà questa sera al Basilea, si incrociarono sul palcoscenico continentale. Nello specifico, nel secondo turno della Coppa UEFA, quelli che oggi definiremmo i sedicesimi di Europa League. «Un privilegio acquisito in due tappe - ci racconta Rolf Fringer, allenatore di quel GC -. Prima vincendo la Lega Nazionale A, e poi, nel corso della successiva campagna europea, superando il turno iniziale contro l’Anderlecht». Eventi che, come detto, apparecchiarono una doppia sfida indimenticabile. In tutti i sensi. «L’aspetto sportivo - spiega “Zubi” - avrebbe dovuto essere preponderante. E invece lo fu soltanto in occasione del match d’andata. All’Hardturm finì 2-0 per i toscani. Uno dei gol, manco a dirlo, me lo infilò proprio Batistuta. L’altro invece Robbiati. Io mi arrabbiai in entrambe le occasioni, incassare reti non mi metteva mai di buon umore (ride, ndr). A quel punto ci ritrovammo nella scomoda - ma stimolante - posizione di dover recuperare un doppio svantaggio. Partimmo per l’Italia con quel pensiero in testa, convinti dei nostri mezzi. Del resto, tra gli altri, avevamo in squadra gente come Türkyilmaz, Comisetti, Esposito, Cabanas, Gren e Haas. Nessuno di noi, tuttavia, si sarebbe mai potuto immaginare quanto avvenne in seguito».
Un boato assordante
A fornirci il contesto, con una nota d’amarezza, ci pensa Fringer. «Ricordo che all’epoca eravamo un po’ delusi, perché il match di ritorno non si disputò allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, bensì all’Arechi di Salerno. Il motivo? Le intemperanze dei tifosi fiorentini nella semifinale della Coppa delle Coppe del 1997, che fruttò alla società un esilio forzato. Così ci ritrovammo a Salerno, nella speranza di evitare ulteriori guai. Una speranza vana». Già. Persino a 500 chilometri di distanza dal capoluogo toscano, infatti, l’ignoranza trovò il modo di accedere agli spalti. Prendendo il sopravvento al momento di andare in pausa. «Eravamo sotto per 2-1 quando l’arbitro fischiò la fine del primo tempo - racconta Zuberbühler -. Avvicinandomi al tunnel per gli spogliatoi, notai un oggetto sul terreno che emanava del fumo. Poi un enorme boato squarciò l’aria. Si trattava di un petardo, in realtà più simile a una piccola bomba, lanciato da un idiota - scusate il termine - presente sugli spalti. Ferì il quarto uomo, il belga Philippe Flament, a un ginocchio. E stordì pure il sottoscritto. Per diverse ore persi infatti l’udito. Spaesato, mi ritrovai negli spogliatoi con il resto della squadra, dove regnava un grande caos. Alla fine nessuno dei due club tornò in campo. E qualche giorno più tardi, l’UEFA decise di punire la squadra di “casa” con una sconfitta a tavolino per 3-0. Grazie a quel risultato rimontammo il 2-0 dell’andata e ci qualificammo per il terzo turno (gli ottavi di finale, ndr). Fu bello proseguire il cammino, ma al tempo stesso triste considerato lo scandalo e i terribili fatti all’origine di quell’exploit, che nulla avevano a che vedere con il calcio».
Notti magiche e grandi speranze
Stasera, questa volta sì, all’Artemio Franchi di Firenze, il Basilea avrà la possibilità di emulare i connazionali. Muovendo un ulteriore passo verso territori inesplorati. «Agguantare un’importante finale europea sarebbe un risultato storico per la squadra renana, ma anche per il resto del calcio svizzero - rileva l’ex portiere della Nazionale elvetica -. Da giocatore ho vissuto tante splendide serate continentali con i rossoblù. Notti magiche, dove si aveva l’impressione di poter avverare qualsiasi sogno. È ciò che auguro ai protagonisti di quest’epoca, recentemente segnata da diverse difficoltà societarie. Sulla carta la Fiorentina è favorita, ma a volte la carta viene smentita». Un’opinione, per non dire una speranza, condivisa pure da Fringer: «Ciò che mi porta a credere in un exploit è l’esperienza continentale del Basilea. Parliamo di un club che per anni si è messo in mostra sul palcoscenico europeo, andando lontano. È un elemento che la Viola non dovrà sottovalutare, altrimenti rischierà d’incappare in un’altra delusione a firma svizzera. Noi passammo il turno per scelte prese fuori dal campo, dietro a una scrivania. In sostanza vincemmo al lotto. I renani invece possono farcela con le loro forze».


Due squilli. Poi, dall’altro capo del telefono, ecco spuntare l’inconfondibile - nonché ottimo - italiano con accento spagnolo di Matías Delgado. «Mati», storica bandiera del Basilea, oggi vive a Madrid. «Dove prima di tutto faccio il papà», scherza il 40.enne argentino. E dove, a suo dire, si è un po’ allontanato dal mondo del calcio. «Lo seguo a distanza. Ma questa sera, per il mio Basilea, farò certamente un’eccezione. Sì, sarò davanti alla tv. Non mi perderei mai i renani impegnati in una semifinale europea. Anche perché ho ancora diversi amici che sono attivi nel club, ai quali ogni tanto scrivo». Indossando la maglia rossoblù in due differenti parentesi, l’ex trequartista ha vissuto diverse campagne continentali di successo. Contribuendo ad alimentare il mito del «Basilea europeo». «Non so se “magia” sia il termine giusto - prosegue Delgado -. Però è innegabile che spesso quando i renani escono dai confini svizzeri, si esaltano a dismisura, superando i loro stessi limiti. È difficile spiegarlo, credo sia un mix di più fattori, tra cui ovviamente la motivazione e il desiderio di mettersi alla prova. Ci sono squadre che sembrano fatte per giocare in Europa, e il Basilea è tra queste».
Quando l’argentino militava nella compagine renana tuttavia, quasi sempre festeggiava pure il titolo svizzero. Oggi invece i rossoblù non sono più profeti in patria. «A mio avviso è un problema di natura psicologica - rileva “Mati” -. Le grandi squadre sanno trovare la forza per rendere in qualsiasi contesto. Ecco, sotto questo punto di vista il gruppo attuale ha ancora margini di miglioramento. Ma attenzione, ciò non vuol dire che vi sia una mancanza di personalità. Del resto sono riusciti a spingersi laddove io e molti altri non siamo mai arrivati. E per questo non si può che far loro i complimenti».
L’attuale percorso europeo, tuttavia, non si è ancora concluso. Potrebbe arricchirsi di tre ulteriori, appassionanti capitoli. E magari, perché no, di un epilogo da sogno. «Me lo auguro! Quando giochi una semifinale, significa che sei a due passi dalla gloria. Dalla storia. E a prescindere da chi ti trovi di fronte, hai l’obbligo di crederci fino alla fine. Sono convinto che questa squadra abbia i mezzi per sollevare il trofeo. Anche perché spronata dagli insuccessi registrati in patria. Deve solo dimostrarlo, già da questa sera a Firenze. Noi peraltro nel 2015, proprio in quello stadio, ci eravamo imposti nell’ambito dell’Europa League. Batterli, insomma, non è impossibile» chiosa Delgado.