La storia

La vittoria «per l'Ucraina» dello Shakhtar Donetsk

In esilio dal 2014, i Minatori hanno eliminato il Rennes e conquistato l'accesso agli ottavi di Europa League – L'allenatore Jovicevic: «Viviamo al ritmo dei bombardamenti e delle sirene»
© YOAN VALAT
Marcello Pelizzari
24.02.2023 10:50

Io tornerò un lunedì. Ma non è mai lunedì. I versi appartengono a Tananai e alla sua (commovente) Tango, brano presentato a Sanremo e incentrato sull’amore impossibile fra due persone durante la guerra in Ucraina. Ma potrebbero benissimo appartenere allo Shakhtar Donetsk. Già, perché il club del Donbass è in esilio dal 2014. L’intera società aspetta da così tanto tempo quel lunedì che, oramai, tifosi, dirigenti e giocatori si sono arresi all’idea di giocare lontano da casa. Sempre.

Allo stesso tempo, i Minatori non mollano. Continuano a martellare, in campo. E, incredibile ma vero, a vincere. Ieri, ad esempio, lo Shakhtar ha eliminato il Rennes dopo una partita combattutissima. Guadagnando così l’accesso agli ottavi di Europa League. Magnifico. Sono serviti i calci di rigore e addirittura tre parate del portierone Anatoliy Trubin. Poi, un abbraccio collettivo sentito, vero, sincero. Un abbraccio significativo, visto il momento: un anno fa, infatti, la Russia invadeva l’Ucraina. Dando seguito a ciò che Vladimir Putin aveva cominciato proprio nel 2014, prima annettendo la Crimea e poi provocando il conflitto nel Donbass.

Una vittoria per l'Ucraina

Non a caso, l’allenatore Igor Jovicevic ha salutato il passaggio del turno come «una vittoria per l’Ucraina». E ancora: «È stato molto importante. Questa partita era per te, Ucraina, era per il nostro Paese, per l’Ucraina». Era per un Paese violentato, martoriato, colpito al cuore e nell’orgoglio. Ma tutto fuorché battuto. Un Paese che lo Shakhtar, ieri, ha rappresentato in tutto e per tutto. «Siamo stati in partita fino alla fine» ha aggiunto il tecnico. «Si potrebbe quasi dire che siamo morti in campo, che abbiamo lasciato lì le braccia e le gambe. Questa vittoria è una ricompensa per il nostro lavoro».

Lo Shakhtar, dicevamo, non gioca a Donetsk dall’aprile del 2014. Da quando, cioè, il conflitto fra l’esercito ucraino e le forze separatiste sostenute dalla Russia, nelle regioni del Donbass e del Lugansk, ha costretto la squadra a trasferirsi. Leopoli, Kharkiv, Kiev le sedi per gli incontri «casalinghi». In Europa, invece, a causa dell’invasione russa i Minatori hanno dovuto virare su Varsavia, in Polonia.

Tempo fa, a ESPN, proprio Jovicevic spiegò che questo continuo peregrinare in giro per l’Ucraina e l’Europa «psicologicamente può distruggerti». Le sfide sono molteplici: «Dopo la partita, abbiamo un viaggio di 10 ore verso casa. Per le altre squadre c’è il riposo, i giocatori possono andare nella vasca idromassaggio, fare un massaggio, andare al barbecue con la famiglia. Nessun’altra squadra in Europa vive come noi: siamo sempre in viaggio; quindi, c’è un vero accumulo di stanchezza mentale e fisica». Già, per dirla con il mister «è irreale quello che abbiamo dovuto fare». La guerra, va da sé, è sempre presente: «Ci alleniamo, poi pensiamo a rifugi e bunker, alle nostre truppe che combattono per noi. Subito dopo, però, dobbiamo pensare al Lipsia».

La Donbas Arena, lo stadio dello Shakhtar, è in uno stato d’abbandono dal 2014. Gran parte della popolazione della regione ha trovato rifugio, negli anni, nell’Ucraina occidentale ma anche in Polonia, Moldavia e Romania.

«Vogliamo svegliarci vivi»

La guerra, di nuovo, è una costante nella vita dei Minatori. Lo scorso gennaio, quando il Chelsea ha acquistato la superstar della squadra, Mykhailo Mudryk, il presidente dello Shakhtar – il ricchissimo Rinat Akhmetov – ha donato 25 dei 105 milioni di dollari incassati al «Cuore di Azovstal», un progetto che intende aiutare e sostenere le famiglie dei soldati ucraini caduti. Parentesi: le acciaierie Azovstal, prima della guerra, appartenevano proprio a Akhmetov. «Sto stanziando 25 milioni di dollari oggi per aiutare i nostri soldati, i difensori e le loro famiglie» le parole del patron. «Il denaro verrà utilizzato per coprire diverse esigenze, dalla fornitura di cure mediche e protesiche e supporto psicologico al soddisfare richieste specifiche. Saremo per sempre in debito con i nostri soldati».

Ora, per lo Shakhtar, si schiuderanno le porte degli ottavi di Europa League. Una competizione che il club vinse nel 2008, quando ancora si chiamava Coppa UEFA, battendo in finale il Werder Brema. «Il mio sogno – ha detto Jovicevic – è che la mia squadra un giorno possa giocare a casa, in uno stadio pieno di tifosi». Prima dei sogni, tuttavia, c’è una dura realtà con cui convivere. «Viviamo al ritmo dei bombardamenti, delle sirene. Dobbiamo pensare alla tattica ma, soprattutto, vogliamo svegliarci vivi domattina».

In questo articolo: