Calcio

Le verità del «Mancio», con l’Arabia sullo sfondo

L’ormai ex ct Azzurro ha rotto il silenzio, motivando il suo addio: «Il presidente Gravina aveva idee opposte alle mie» - La FIGC vorrebbe sostituirlo con Spalletti, frenato però da una clausola col Napoli - De Laurentiis: «È una questione di principio»
A detta del 58.enne marchigiano il divorzio anticipato con la Federazione italiana è figlio di un rapporto con i vertici dirigenziali fattosi vieppiù insostenibile. © Reuters/Maurizio Borsari
Red. Sport
15.08.2023 22:32

Prima la bomba. Il fulmine a ciel sereno. Poi, inevitabili in assenza di vere e proprie giustificazioni, una marea di speculazioni. In molti, nelle ultime ore, avevano cercato di dare un senso all’improvviso e inatteso addio di Roberto Mancini alla Nazionale italiana. Avanzando una disparata serie di ipotesi: il fascino delle sirene arabe, i dissidi interni nel clan Azzurro e persino - a detta di mamma Marianna - la possibilità che il figlio non avesse mai veramente superato la morte dell’amico Gianluca Vialli. A mettere un freno all’ondata di voci, provando a fare ordine dopo una scelta così sorprendente, ci ha infine pensato lo stesso «Mancio». Il quale, intervistato dal Messaggero, La Repubblica e Libero, ha rotto il suo silenzio. Suggerendo, sì, le sue verità in merito alla vicenda. Una in particolare: «È da un po’ di tempo che Gabriele Gravina (presidente della Federazione italiana, ndr) aveva idee opposte alle mie. Ho cercato più volte di parlargli ed esporgli le mie ragioni. Gli ho spiegato che in questi mesi mi doveva dare tranquillità. Lui non l’ha fatto e io mi sono dimesso».

«Non ho mica ucciso nessuno»

A detta dell’ormai ex selezionatore degli Azzurri, insomma, il divorzio anticipato con la FIGC è figlio di un rapporto con i vertici dirigenziali fattosi vieppiù insostenibile. Il 58.enne marchigiano, in questo senso, non ha lesinato sui particolari, accusando Gravina di avergli portato via i collaboratori più stretti: «Si è mai visto un presidente federale che cambia lo staff di un ct? Gravina è da un anno che voleva rivoluzionarlo. A quel punto doveva mandare via me. E il mio discorso non c’entra con la scelta di nominare Gianluigi Buffon nuovo capo delegazione della Nazionale, a mio avviso una decisione giusta. Non ho niente contro di lui».

Lo sfogo di Mancini, a 360 gradi, si è poi allargato alla reazione suscitata dal suo addio nell’intero Paese. Con diversi attori, tra cui i media italiani, che non hanno esitato ad attaccarlo frontalmente per la sua decisione. «Non ho fatto niente per essere massacrato così - ha affermato il nativo di Jesi -. Mi sono solo dimesso, e ho detto che è stata una mia scelta. Non ho mica ucciso nessuno, ho solo esercitato un diritto. Perché tanti attacchi così violenti sul piano personale? Non mi aspettavo certi giudizi morali. E a chi mi accusa di tradimento dico: sono sempre stato corretto. Quando sono giunto in Azzurro ho rinunciato a opportunità più redditizie. Ho fatto una scelta ed è stato il lavoro più importante della mia vita. Inoltre ho lasciato la Nazionale a venticinque giorni dalla prossima partita, non tre».

Una porta solo socchiusa

Al netto dei modi e dei tempi scelti per l’addio, a non essere andate giù a molti tra tifosi e addetti ai lavori sono altresì state le voci di mercato che vorrebbero Mancini vicinissimo a un contratto triennale con la federazione dell’Arabia Saudita, del valore di 120 milioni di euro. Il diretto interessato, punzecchiato in merito alla possibilità di tornare a vestire presto i panni del ct con i «falchi», ha negato di aver già raggiunto un accordo. Senza tuttavia fare totale chiarezza sulla vicenda. «Le mie dimissioni non sono legate a un accordo già raggiunto - ha assicurato il “Mancio” -. In ogni caso la situazione che ho denunciato è indipendente da quello che che potrà succedere in futuro e da dove andrò. Ora non voglio pensare a niente».

I tre milioni della discordia

Chi invece dovrà pensare, e dovrà farlo in fretta, sarà proprio la FIGC. A poche settimane da due sfide cruciali nell’ambito delle qualificazioni al prossimo Europeo, la selezione Azzurra non può sbagliare la scelta del nuovo ct. In pole position, come suggeriscono i media della vicina Penisola, vi è l’ex allenatore del Napoli Luciano Spalletti. Frenato tuttavia da una clausola ancora in vigore con il club partenopeo. Desideroso di congedarsi dai campioni d’Italia con un anno d’anticipo rispetto alla scadenza del suo contratto, poche settimane fa Spalletti aveva infatti accettato di non tornare ad allenare prima del mese di giugno del 2024. Un mancato rispetto di questo accordo, clausola alla mano, sarebbe risultato in un indennizzo di 3,2 milioni di euro alla squadra di Aurelio De Laurentiis.

La FIGC, che mai ha pagato un club per assicurarsi un ct, ha già reso noto di non volersi accollare tale ammontare. Anche perché resta tuttora da definire se una federazione possa effettivamente far attivare una clausola di concorrenzialità stipulata da un club. Al proposito, dal canto suo, De Laurentiis ha le idee decisamente più chiare. E oggi, tramite i canali ufficiali della squadra partenopea, non ha utilizzato mezzi termini. «Se la scelta della FIGC cadrà su Spalletti, grande allenatore con 25 anni di esperienza ad alto livello, offrendogli uno stipendio di 3 milioni netti per tre anni, non ci si potrà fermare di fronte all’accollo di un milione lordo per anno per liberarlo dal suo vincolo contrattuale. Tutto ciò è incoerente. Per il Napoli tre milioni non sono certo molti, e per Aurelio De Laurentiis sono ancora meno. Ma la questione, nel caso di specie, non è di “vil denaro”, bensì di principio». Per il numero uno dei partenopei, insomma, il rispetto della clausola va al di là dell’ammontare previsto. «L’intero sistema del calcio italiano deve spogliarsi del suo atteggiamento dilettantistico, affrontando le sfide guardando al rispetto delle regole delle imprese, delle società per azioni e del mercato. Fino a quando si consentirà che la “regola” sia la “deroga”, il sistema calcio non si potrà evolvere» ha chiosato.

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