Le verità di Pablo Bentancur
Il suo nome, negli ultimi giorni, è sulla bocca di tutti. Soprattutto a Chiasso. Pablo Bentancur, però, precisa subito: «Io non ho mai cercato di acquistare i rossoblù». È l’inizio di una lunga (e intensa) chiacchierata.
Glielo hanno già chiesto, ma ci aggiungiamo al coro: davvero non ha mai cercato di mettere le mani sul Chiasso?
«Davvero. E mi dispiace per questa situazione, in primis per i tifosi. La realtà è che il Chiasso deve alla mia società, la Goal, una cifra importante. Parliamo di un debito. E così, quando la squadra sembrava condannata alla retrocessione, Nicola Bignotti mi chiede di trovare un acquirente. In quel modo, diciamo, io avrei potuto gestire la somma che mi spettava. Sono in attesa da settembre dell’anno scorso. Ho lavorato molto, impiegato tempo e fiducia, mosso i miei contatti affinché il Chiasso trovasse un nuovo proprietario. Ci ero riuscito».
Quali saranno, allora, le sue prossime mosse?
«Sono un uomo di calcio. Per tanto tempo, litigando con il mio commercialista, non ho fatto pressioni né ho inviato un precetto esecutivo. Avrò incontrato Bignotti, il direttore generale rossoblù, cinque o sei volte. E lui mi ha pregato di aspettare. Se mi sono mosso per trovare un acquirente, è anche perché non volevo né voglio prendere una via dura per recuperare i miei soldi. Ma il Chiasso, va da sé, deve pagarmi. E posso dire che la cifra è molto, molto importante».
Sul perché la trattativa fra la proprietà attuale e il suo uomo non sia andata in porto si è detto e scritto molto. Vuole aggiungere altra carne al fuoco?
«L’acquirente ha revisionato i bilanci, come vuole la prassi. Non gli tornava una cosa, in particolare: come venivano spesi i soldi che arrivavano dalla proprietà. Una cosa su tutte: escludendo Rossini, che ha giocato poco, lo stipendio medio di un calciatore al Riva IV è di 2.500 franchi. A livello di uffici, invece, ci sono dipendenti che guadagnano più del doppio rispetto a chi va in campo, per tacere di Bignotti. Tu non puoi avere un allenatore che guadagna la metà di un segretario, o un giocatore che guadagna l’ottava parte di un direttore generale. Se questo direttore avesse vinto il campionato e avuto successo, potrei anche capire, tuttavia i numeri e i risultati parlano chiaro. Quello che è perdente rimane perdente, per giunta così dimostri di non saper amministrare bene i soldi. Nel calcio, la prima regola è trattare bene i giocatori».
È vero che nei bilanci il debito verso la Goal non figura?
«No, tant’è che ho chiesto ai miei collaboratori di andare avanti. Mi infastidisce, più di tutto, che Bignotti si sia fatto pubblicità usando il nome di Pablo Bentancur. Sui conti del Chiasso ci sarebbero molte cose da dire ma, lo ribadisco, io non voglio il fallimento del club. Ho aspettato e mostrato pazienza. Mi sono messo a lavorare sulla vendita anche per quello, come dicevo. Il finale della vicenda lo avete visto. E il debito non è mica sparito».
È stato difficile dialogare con la proprietà attuale e con il patron Andrey Ukrainets?
«Preferisco non commentare, anche perché potrei causare un casino ben più grande. Ma la proprietà, questo sì, è stata sempre corretta e puntuale. Ha inviato i soldi affinché la componente sportiva potesse lavorare».
La promessa di aiuto al Chiasso va letta anche come un addio al Bellinzona? O è ancora parte del club granata?
«A Bellinzona, finora, ho solo dato un appoggio sportivo. Portando dei giocatori fuori categoria».
La piazza ha apprezzato il suo impegno?
«La verità? A Bellinzona non sono professionisti. E questo pesa. Direi che non è un caso se tre ragazzi che avevo fatto arrivare al Comunale, adesso, sono stati richiesti da tre club ambiziosi: Yverdon, Nyon e Carouge. Il Bellinzona è un club onesto, in ogni dove c’è puzza di calcio come dico io. E c’è passione. È proprio questo che mi affascina e mi diverte. Io sono fatto così: ti porto quattro, cinque ragazzi e vediamo che succede. L’ho fatto alla Sambenedettese, a Lugano, al Middlesbrough. Posso rifarlo. Sono cose che metto in piedi contro i miei interessi, perché mi divoro anni di vita, lavoro, soldi. Finendo addirittura per rovinare il rapporto con i giocatori, perché chiedo loro di accettare una realtà non del tutto professionale come l’ACB attuale».
Perché lei è accompagnato da una cattiva stampa e, ancora, perché il suo nome in Ticino fa paura?
«Forse perché io non ci parlo, con la stampa. Almeno, è raro che lo faccia. Voi, ad esempio, avete aspettato sei anni per un’altra intervista con me. Con queste premesse, non posso farmi volere bene. Va detto, poi, che la diplomazia non è il mio forte. E forse in Ticino mi servirebbe fare buon viso a cattivo gioco. È che non riesco ad abbracciare qualcuno e poi a parlare male di lui, come si usa fare qui. Per tornare alla domanda: se hanno paura di me, allora perché continuano a cercarmi?».
L’hanno sempre cercata?
«Sempre. Anche a Lugano: fu Preziosi, che mi doveva dei soldi, a propormi il 40% del club. Io non avevo nemmeno visto mezza partita. Quando incontrai Angelo per la prima volta eravamo allo Splendide. C’erano anche Livio Bordoli e il suo vice. Io, per un bel po’, mi rivolsi a Gianluca Dormiente pensando fosse lui il mister. Fu l’avvocato Luca Tettamanti ad avvisarmi dell’errore. Ad ogni modo la stampa anche allora decise di massacrarmi. Tanti guru passati per Cornaredo, però, non riuscirono a centrare la promozione. A noi bastarono pochi mesi. Io non cercai il Lugano, come non ho cercato Chiasso e Bellinzona. Mi hanno chiamato. Punto».
Le facciamo noi la sua domanda: perché la cercano?
«Perché tutti sanno che porto calciatori importanti. In ogni film serve un cattivo. Io sono quel cattivo. Mi riferisco al modo in cui mi relaziono con i giocatori. Solo così so che mi ripagheranno, sul campo. Ma posso comportarmi in questo modo se, dietro, c’è un club che li paga il giusto».
Il Bellinzona è pronto per tornare in B, un domani?
«Devo capirlo. Di sicuro, è un club vincente. Un club che non sopporterebbe una gestione alla Bignotti, cioè perdente. Lo ripeto: se un giocatore capisce che un segretario guadagna più di lui, non va bene. Mi auguro di trovare un accordo con i granata, di trovare anche la forza per portarli in B. Sono un uomo di calcio. E il più grande attestato di stima, tempo fa, me l’ha fatto Angelo Renzetti, dicendo di essere pentito per non aver venduto il Lugano a me e Mino Raiola».