Leo come Diego, il 2022 come il 1986: ha vinto l'Argentina, ancora

Quando Lionel Messi ha baciato il trofeo è come se si fosse fermato il tempo. Era lui, sì, proprio lui finalmente. Ma la sua immagine e quella di Diego Armando Maradona - per un fugace istante - si sono sovrapposte. Il 1986 come il 2022. I cori del popolo argentino a fare da ponte tra due leggende sacre. Sì, ha vinto l’Albiceleste. E ha vinto il suo splendido capitano. Il dieci. Ora grande come il Diez. La Pulce ha coronato più sogni. Il suo, certo, ma anche quello di un’intera nazione. E di una schiera di devoti, appassionati di calcio. Si è sfregato le mani, Leo, ancora e ancora. Ha sorriso. E quindi l’ha baciata di nuovo, prima di danzare verso i compagni e infine alzarla in cielo. La sua Coppa del Mondo. La terza Coppa del Mondo della storia dell’Argentina.
Onore ai Bleus
Come è stata conquistata la tercera, è l’altra parte clamorosa del racconto. Già, perché al Lusail Stadium è andata in scena forse la finale più bella di sempre. Merito della Francia e del suo, di dieci: Kylian Mbappé. Per il ct dei sudamericani Lionel Scaloni - una Copa America e un Mondiale ad appena 44 anni - non doveva essere la partita tra le due stelle del PSG. E invece, seguendo una trama surreale, è andata esattamente in questo modo. Certo, con qualche variazione sul tema e invitati di spessore a impreziosire il tutto. Messi, in ogni caso, ha giganteggiato per primo, tra l’ennesimo rigore segnato e tocchi non ammessi agli esseri umani. Il fido Di Maria - una volta di più - si è invece esaltato sul palcoscenico più importante, mandando in depressione la difesa transalpina. Una prestazione terribile, davvero, quella degli uomini di Didier Deschamps. Per 80 minuti comparse non degne dell’ultimo atto. «Sarà la febbre» si sono detti tutti, sulle tribune. Increduli. Dentro agli oramai ex campioni in carica c’era però un cuore pronto a battere. Bastava una miccia. E voilà, nel giro di 120 secondi il paziente si è ristabilito, per l’appunto trascinato dal suo faro e guaritore. Sì, Mbappé ha capito che era arrivato il suo momento e che la finale poteva avere due padroni. Una doppietta spettacolare per allungare un incontro che - a quel punto - nessuno avrebbe mai voluto terminasse.
L’altra statua a Mar del Plata
E per un poco, ancora per un poco, questa magnifica finale non è finita. Nemmeno dopo l’ennesimo sussulto della Pulce, sempre in partita, totale, come non lo era mai stato in Nazionale. Sia Maradona, sia Burruchaga per un 3-2 che - suggerivamo - avrebbe regalato all’archivio dei Mondiali una pagina di calcio avvincente come quella di 36 anni fa. Mbappé - e chi altrimenti - ha però scovato il gomito che serviva nel frangente più disperato. Il rigore che ha regalato i rigori, l’epilogo in fondo più giusto per una partita a quel punto diventata opera d’arte. Un pezzo da museo, che i ghigni del presidente della FIFA Gianni Infantino e dell’emiro Tamin bin Hamad Al Thani hai voglia a boicottarli.
Oddio, invero a Mar del Plata stanno già costruendo una statua. La chiamano la ciudad feliz - la città felice - ed è il luogo natio di Emiliano Martinez, per tutti Dibu. Il portierone argentino ha chiuso la porta a Kolo Muani a un amen dal 120’. Ma te lo immagini un epilogo diverso? Te lo immagini Messi beffato un’altra volta? Non era destino. No, Martinez ha sbarrato la strada ai francesi dal dischetto, spalancando quella della gloria ai compagni. E così a Emmanuel Macron non è restato che rimettersi la giacca del completo, mentre il cuore del Kun Aguero - poi omaggiato in campo - impazziva resistendo. Un finale incredibile e poi il tripudio e un sol uomo, di bianco e di celeste vestito, portato in trionfo. È stata l’ultima partita a un Mondiale di Lionel Messi. Ci aveva preparati. E ora che sappiamo come è andata a finire, con quale lascito per gli amanti del calcio e la storia dello sport, non ci resta che gioire.