L'analisi

Lo scudetto del Napoli è figlio (anche) dell'attenzione ai bilanci

Il rinnovamento della rosa, con l'addio a molti mostri sacri dello spogliatoio partenopeo in estate, ha permesso agli Azzurri di volare in campo e abbassare il monte ingaggi – In quasi vent'anni di presidenza, Aurelio De Laurentiis ha sempre dato la precedenza ai conti in ordine
© CIRO FUSCO
Marcello Pelizzari
05.05.2023 09:45

Aurelio De Laurentiis ha aspettato. A lungo. Anche se, rispetto alla piazza, a secco di scudetti dal 1990, i suoi diciannove anni di attesa sono sembrati addirittura pochi. Il Napoli è campione d’Italia. Per la terza volta nella sua storia. Un titolo, quello blindato a Udine grazie alla rete di Victor Osimhen, figlio di una programmazione sportiva eccezionale – l’estate scorsa il club aveva salutato Koulibaly, Insigne e Mertens fra gli altri, riuscendo a trovare sostituti perfino migliori – ma anche di un’attenta, attentissima pianificazione economica.

Una pianificazione per certi versi forzata: l’uscita della vecchia guardia e la conseguente sforbiciata al monte ingaggi, leggiamo, è stata dettata dalle perdite accumulate durante l’era COVID, con 130 milioni di euro volati via. Mai, come ha spiegato Marco Bellinazzo sul Sole24Ore, un club è riuscito a rafforzarsi così tanto in campo riuscendo, allo stesso tempo, a risparmiare sulle spese.

Lo scudetto, dicevamo, sul campo ha diversi padri. Due, in particolare. Il responsabile dell’area tecnica Cristiano Giuntoli, abilissimo nello scouting, e l’allenatore Luciano Spalletti, visibilmente commosso nel ricordare il fratello morto Marcello durante le interviste post Udinese. In campo, sul campo, hanno brillato l’impronunciabile, e per molti difensori imprendibile, Kvaratskhelia, il citato Osimhen, ma anche gregari come il capitano Di Lorenzo. Ma il successo, questo successo, ha radici profonde. Profonde e lontane. La semina, se vogliamo, cominciò anni e anni fa, sulle ceneri del fallimento societario.

Un passo indietro

Il Napoli di Maradona e Ferlaino, ricordate? Gli scudetti contesi al Milan e alle altre grandi dell’epoca. I campioni, se non campionissimi. Una storia magnifica che, dopo varie vicissitudini sul campo e tempeste societarie, si concluse – di colpo – nell’estate del 2004 quando i vertici del club si videro costretti a portare i libri contabili in tribunale.

E fu allora che, un giorno all’improvviso, proprio come nell’oramai celeberrimo coro della curva, saltò fuori De Laurentiis. Produttore cinematografico, volto noto, patron vecchio stampo ma con un occhio già rivolto al domani. Rilevò il Napoli, sì, depositando un assegno di 31 milioni e 250 mila lire. Nacque il Napoli Soccer. Nacque dal basso, nel senso che ripartì dai polverosi campi della Serie C. Il primo bilancio? Venne chiuso il 30 giugno 2005, con 11,3 milioni di fatturato. L’anno successivo, il fatturato salì a 12,1. Ma quegli anni di C, pardon Lega Pro, generarono anche 16 milioni di perdite.

Piano piano, il Napoli ricominciò a salire. E, di riflesso, a vivere. L’approdo in B nel 2007, il ritorno in A nella stagione seguente. Con tutti i benefici del caso in termini di fatturato: dagli 88 milioni del 2008 ai 156 del 2012. L’incremento fu favorito altresì dalla qualificazione alla Champions, nella stagione 2011-12. Seguiranno pure i primi trofei dell’era De Laurentis – tre Coppe Italia e una Supercoppa – oltre a piazzamenti prestigiosi in Serie A e sul palcoscenico continentale.

Il valore delle cessioni

Dal ritorno in A al 2014, il Napoli ha messo assieme otto bilanci consecutivi in utile. Con profitti complessivi per 70 milioni di euro. Una gestione attenta, appunto, oculata. Necessariamente ancorata alla politica del passo secondo la gamba. Il rapporto fra fatturato netto e costi per la rosa oscillava attorno al 50%, per dire.

Negli anni successivi, e venendo più o meno al presente, è corretto affermare che il Napoli ha sacrificato in parte questa politica sull’altare, diciamo, del risultatismo o, se preferite, della spasmodica ricerca della felicità: lo scudetto val bene un tentativo. L’innalzamento delle competizioni e della concorrenza, tuttavia, hanno messo ulteriore pressione sui conti del club. Ma De Laurentiis è stato bravo, bravissimo a lavorare in uscita. Con le cessioni. Bellinazzo, al riguardo, ha fatto notare che le dieci cessioni più remunerative hanno garantito alla società proventi per 380 milioni: il passaggio di Higuain alla Juventus, nel 2016, ha generato una plusvalenza di 86 milioni, quello di Cavani al PSG 64 milioni e quello di Jorginho al Chelsea nel 2018 circa 60.

I 50 mila del 2004

La pandemia, va da sé, ha gettato nel caos l’intero sistema, Napoli compreso. Stadi chiusi, crollo delle entrate, cui bisogna aggiungere – nel caso dei partenopei – la mancata qualificazione alla Champions per due annate consecutive: 2020 e 2021. Di qui la manovra di De Laurentiis per uscire dall’impasse, con la rifondazione della rosa e la riduzione, drastica, delle spese. Una manovra tradottasi, incredibilmente ma nemmeno troppo, nel terzo scudetto nella storia del Napoli. Il valore dei giocatori? Se a inizio stagione si parlava, nell'insieme, di 500 milioni di euro, beh, oggi siamo attorno ai 650 milioni. Con un'età media relativamente bassa (26,1 anni) e la possibilità, se non la certezza, di poter aprire un ciclo tecnico vincente. In Italia e in Europa. L'immagine, perfetta, del rinnovamento è rappresentata da Kvara: costato la miseria di 10 milioni di euro, oggi ne vale almeno 100 sul mercato.

Detto dei problemi, nel (quasi) ventennio con De Laurentiis al timone il Napoli ha incassato oltre tre miliardi di euro. I risultati sportivi di questa stagione riporteranno in utile la gestione. Prima del triennio rovinato dal COVID, per dire, il Napoli viaggiava a +130 milioni.

Le prospettive, insomma, sono di nuovo rosee. O azzurre. Il club vanta un’ottima posizione finanziaria e una rosa rinnovata e, per forza di cose, rivalutata. Le prossime sfide, piuttosto, si giocheranno lontano dal rettangolo verde. Rinforzare l’immagine e il brand, costruire lo stadio e il centro sportivo, portare il Napoli (e Napoli) al livello di altre società e città che vivono e respirano calcio da mattina a sera. Di sicuro, non mancherà l’affetto della piazza. Erano in 50 mila, al San Paolo, oggi Diego Armando Maradona, per l’esordio in C contro il Cittadella: un 3-3 pirotecnico che, anche se allora nessuno poteva immaginarselo, rappresentò il primo, piccolo ma significativo mattoncino verso il terzo scudetto.

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