Ma alla fine quanto vale Lionel Messi?

Nove numeri a caratteri cubitali. 555.237.619. Parliamo di soldi. Euro, per la precisione. Corredati da un titolo incendiario: «Il contratto faraonico di Messi che ha rovinato il Barça». Boom! Sì, a fine gennaio il quotidiano spagnolo El Mundo ci è andato giù pesante. Spiattellando a tutto il mondo lo stipendio XXL del fuoriclasse argentino: 138,8 milioni lordi a stagione, pari a poco meno di 75 milioni netti, per il periodo 2017-2021. Eccole le cifre del calciatore più pagato al mondo. Pagato, tuttavia, da un club che a inizio anno ha visto i suoi debiti superare quota 1 miliardo di euro. Per tacere degli oltre 200 milioni di ricavi persi a causa della pandemia. Di qui lo scalpore e anche una certa indignazione per la retribuzione di Lionel Messi. Per molti, una sorta di comorbidità in un paziente finanziariamente malato.
«Un’icona, come il tiki-taka»
Bene. Al netto delle deduzioni affrettate, può comunque essere utile fare un bel respiro. E ampliare lo spettro dell’analisi. «Partiamo dunque col dire che nel 2004-2005, quando è iniziata l’era Messi, il Barcellona aveva un fatturato annuo di circa 140 milioni di euro». La premessa è di Marco Bellinazzo, giornalista de «Il Sole 24 Ore», tra i massimi esperti italiani in materia di calcio e finanza. Questo il seguito del suo ragionamento: «Oggi il fatturato della società blaugrana, prima in Europa su questo fronte, si aggira attorno agli 800 milioni. Di più: senza la COVID-19, i piani avevano fissato l’asticella a 1 miliardo all’anno. E sono certo che il club catalano ci sarebbe arrivato». In questa moltiplicazione per dieci, almeno a livello potenziale, «il fattore Messi non può non essere ritenuto determinante» prosegue Bellinazzo: «Insieme al tiki-taka di Guardiola, stiamo parlando del simbolo del Barcellona contemporaneo. Un’icona, l’ambasciatore nel mondo del motto “més que un club”. Per le qualità tecniche, i successi, il peso commerciale. Ciò che, a mio avviso, si è legittimamente riflesso nell’ultimo stipendio».
Quanti premi con le Champions
Il passo successivo non è tuttavia dei più semplici. Determinare, cioè, se la Pulce genera più introiti o costi per il Barcellona. Diversi specialisti, in Spagna, si sono cimentati in un esercizio alquanto fragile. Arrivando a stimare ricavi annui tra i 130 e 200 milioni di euro (Ivan Cabeza al giornale Marca), o ancora - nelle ultime tre stagioni - pari a 619.265.000 euro (Marc Ciria al quotidiano Sport). Il tutto, insomma, con un saldo positivo non indifferente per la società. «Di recente - completa Bellinazzo - sono stati anche resi noti i premi distribuiti dalla Champions League dal 1992-1993 in avanti. E il Barcellona, che quattro dei suoi successi nella competizione li ha ottenuti grazie a Messi, ha incassato 940 milioni di euro». Non solo. «Bisogna aggiungere l’impatto avuto dall’argentino sulla Liga (insieme a Cristiano Ronaldo), per quanto concerne i diritti tv. Come pure le entrate da sponsor e botteghino. Quanti si sono recati al Camp Nou per ammirare Messi? Quanti turisti?». Difficile, anche qui, fornire risposte irreprensibili dal punto di vista scientifico. Sempre Marca ha però stimato che dal 5% al 10% dei viaggiatori che visita il capoluogo della Catalogna, lo fa per Messi e il Barça. «Ma ripeto: la crescita progressiva del fatturato è un dato certificato e già molto indicativo» afferma convinto Bellinazzo.
Il peso (cruciale) dei social
Sullo sfondo di queste discussioni, si stagliano le imminenti elezioni presidenziali del club. Con i candidati alla poltrona lasciata da Josep Maria Bartomeu che sono Joan Laporta (già numero uno blaugrana dal 2003 al 2010), Victor Font e Toni Freixa. E al pari della situazione debitoria, la gestione di Lionel Messi si trova in cima alla lista delle priorità. Quasi dimenticavamo: il contratto del giocatore scade a giugno, quando avrà oramai 34 anni e di penali per lasciare il Barcellona - a differenza di un’estate fa - non ve ne saranno più. Che fare? Le sirene del calciomercato danno il Manchester City in pole position per accaparrarsi sia il calciatore sia il suo potenziale commerciale. «Non ho dubbi sul fatto che Messi possa ancora spostare quote importanti di fatturato» osserva Bellinazzo. «Anche perché al giorno d’oggi il valore iconico dei giocatori è spesso più importante di quello sportivo. Basti pensare al clamore mediatico, qualche giorno fa, generato dall’accordo di un Pato con Orlando City. Ingaggiare simili profili significa attirare sponsor e soprattutto seguito e consenso sui social network». Al proposito, il nostro interlocutore avanza un esempio eclatante: quello di Cristiano Ronaldo e dei suoi 250 milioni di follower su Instagram (vedi anche l’articolo in basso). «Da quando il portoghese è sbarcato alla Juve, ha trascinato i bianconeri pure in termini di interazioni e seguaci sui social. E questi non sono numeri di mera vana gloria. No, si tratta di statistiche cruciali ai fini commerciali. Gli sponsor pagano i club anche in funzione della loro visibilità all’interno del circuito dei social network. Una visibilità che Messi garantisce e può altresì incrementare». In pochi, pochissimi, possono tuttavia permettersi d’investire su di lui. «A maggior ragione in questo momento storico, che vede il calcio globale vivere la prima grande recessione» spiega Bellinazzo: «Soltanto i club di vertice della Premier League hanno i margini per ragionare su ingaggi di questa portata. Forse non più 70 milioni all’anno, ma attorno ai 40-50. Che, considerato il carico fiscale, portano il costo complessivo a 80-100 milioni. L’unica eccezione potrebbe essere rappresentata dal PSG, dove però gli impegni finanziari sono già importanti con Mbappé e Neymar. In questo caso l’operazione avrebbe per altro finalità diverse, legate al marketing e al cosiddetto “soft power”; un biglietto da visita per il club parigino-qatariota alla vigilia dei Mondiali organizzati proprio in Qatar». Niente da fare invece per le big italiane. «E ciò - conclude Bellinazzo - nonostante un regime parecchio favorevole per questo tipo di affari. Grazie al decreto crescita del 2019, il costo fiscale per i club sarebbe infatti dimezzato rispetto agli altri Paesi. Nessuna società, oggi, presenta tuttavia capacità economiche tali da potersi permettere Messi». Un giocatore da 555 milioni di euro in quattro stagioni. Nel bene e nel male.
Da Ronie a Ronaldo, come cambiano i colpi della Serie A
Con l’ingaggio di Cristiano Ronaldo, nell’estate del 2018, la Juventus ha aspirato a dinamiche simili al connubio Messi-Barcellona. «Il portoghese costa alla Vecchia Signora circa 80 milioni di euro all’anno» indica Marco Bellinazzo. «Un investimento oneroso che rischia di non essere compensato in termini di fatturato. A causa della pandemia». Al termine della prima stagione di CR7 alla Juve, «i segnali erano incoraggianti. La società aveva incrementato il fatturato di 60 milioni. Con l’avvento della COVID-19 ha invece fatto retromarcia, da 464 a 400. E se immaginiamo che l’operazione Ronaldo, a conti fatti, costerà ai bianconeri 320 milioni sui 4 anni di contratto, ecco che da un bilancio neutro si passerà a un probabile scarto negativo». Bellinazzo pone però l’accento sull’impatto «immateriale, di posizionamento del club. Con Ronaldo che ha rappresentato un acceleratore per la rinascita internazionale della Juve. Uno sviluppo, questo, che darà i suoi frutti in futuro».
Cristiano è arrivato in Italia 20 anni dopo un altro Ronaldo, il fenomeno dell’Inter. «L’età dell’oro dei club italiani, sul piano sportivo, era caratterizzata da dinamiche economiche differenti» precisa Bellinazzo. «Siamo negli anni Ottanta e Novanta, all’alba dei diritti tv, della globalizzazione calcistica, nel quadro di un sistema che si appoggiava al mecenatismo. Non su meccanismi di tipo commerciale. Per dire: nei 18 anni di presidenza Moratti, compresi i cinque con Ronnie, l’Inter ha accumulato perdite per 1,3 miliardi».