Ma chi ha appeso quella bandiera nello spogliatoio della Serbia?
Hai voglia a separare calcio e politica. Impossibile, a maggior ragione durante Qatar 2022. L’ultima polemica, in ordine di tempo, riguarda (da lontano) la Svizzera. E richiama alla memoria la partita di quattro anni fa, ai Mondiali russi, contro la Serbia a Kaliningrad.
Ma facciamo un po’ di ordine. Giovedì, prima di affrontare il Brasile, nello spogliatoio serbo è stata appesa una bandiera. Nulla di strano, direte. E invece, il contenuto ha subito fatto scattare vari campanelli d’allarme: una mappa del Kosovo con stemma e colori della Serbia. Di più, il tutto era accompagnato da una scritta: «Nessuna resa».
Il messaggio, di per sé, era ed è chiarissimo. Molti serbi, d'altronde, ritengono che il Kosovo, un’ex provincia autonoma serba all’epoca della Jugoslavia, oggi popolata per la maggior parte da kosovari-albanesi, per ragioni storiche e culturali appartenga a Belgrado. Eppure, il Paese ha proclamato l’indipendenza nel 2008 ed è riconosciuto dagli Stati Uniti e da (quasi) tutti gli Stati europei.
Ieri, venerdì, la Federcalcio kosovara ha presentato una denuncia presso la FIFA contro la Federazione serba. Il motivo, beh, è presto detto: esporre quella bandiera rappresenta una «azione aggressiva» e una «provocazione». E ancora: «Tali atti di sciovinismo non hanno posto in un evento sportivo, figuriamoci all’interno delle strutture dove si sta svolgendo il più grande evento del calcio mondiale». La FIFA, nel frattempo, ha aperto un’inchiesta. «Il calcio, in quanto sport più seguito al mondo, trasmette i valori dell’unità e questo atto aggressivo non coincide con tali valori» si legge nella nota kosovara. «Una competizione così grandiosa come la Coppa del Mondo dovrebbe essere un luogo in cui prevalgono gli appelli alla pace e non servire a incitare all’odio tra i popoli».
Di qui la richiesta, da parte della Federazione kosovara, di punire la Serbia, senza tuttavia specificare il tipo di sanzioni che vorrebbe vedere applicate nei confronti di Belgrado. Da parte serba, l'incidente è stato contestualizzato e minimizzato. «Posso assicurarvi che né i giocatori, né lo staff e né tantomeno la Federazione hanno a che fare con questa azione» ha spiegato a 20 Minuten Ivan Cvetkovic, giornalista del portale di notizie sportive serbo Sportske.net. Cvetkovic sospetta che un tifoso VIP possa aver appeso la bandiera nello spogliatoio serbo. «La bandiera è molto popolare in Serbia, ma non è certo una provocazione».
Dicevamo della Svizzera: ai Mondiali del 2018, contro la Serbia, Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri festeggiarono gol e vittoria mimando con le mani l’aquila bicipite albanese. Una risposta alle tante, troppe provocazioni che i due – di origini kosovare – subirono prima e durante l’incontro. La FIFA, allora, stabilì che il gesto non era carico di significati politici e si limitò a sanzionare finanziariamente i giocatori rossocrociati. La polemica, tuttavia, produsse un piccolo, grande terremoto interno. Togliendo energie preziose alla squadra, che poi perse il suo ottavo a San Pietroburgo contro la Svezia, e provocando un’ondata di «primanostrismo» pallonaro tanto nel Paese quanto nelle stesse istituzioni, con il segretario generale dell’Associazione svizzera di football, Alex Miescher, costretto a dimettersi in seguito alle sue esternazioni post Mondiale. Una sorta di calderone di propositi razzisti ed esclusione.
Dopo il sorteggio dell’aprile scorso, con tanto di girone fotocopia rispetto a Russia 2018, i vertici della nostra Federcalcio e i colleghi serbi si erano incontrati proprio per pianificare l’incrocio qatariota. Emerse, a margine di quell’incontro, la volontà da ambo le parti di scongiurare uno scenario simil Kalinigrad. Gli stessi dirigenti serbi avevano promesso che, a questo giro, si sarebbe parlato solo di calcio. Una promessa dimenticata, almeno vedendo la bandiera appesa prima di affrontare il Brasile.
L'incidente di Doha, se così vogliamo chiamarlo, rientra in un ampio discorso di tensioni (nuovamente) ai massimi fra i due Paesi. È di pochi giorni fa la notizia di un accordo, raggiunto in extremis con la mediazione dell'Unione Europea, sulla vicenda delle targhe. Una vicenda trascinatasi per mesi e che, soprattutto, aveva riacceso la miccia su questioni più delicate. Questioni prettamente etniche e territoriali. L'ultimo strappo era legato alla decisione del governo kosovaro di obbligare i serbi kosovari – una minoranza del Paese – a usare targhe automobilistiche kosovare al posto di quelle serbe.