Calcio

Marcelo Bielsa: eccovi l’allenatore degli allenatori visto dai due ticinesi del Leeds

Arrivato a Elland Road l’estate scorsa, «El Loco» ha rivoluzionato la squadra e di riflesso l’intero calcio britannico – Berardi: «Pressing e possesso sono le sue chiavi» – Alioski: «Ci raduna già a colazione, si capisce che ne sa»
L’allenatore del Leeds Marcelo Bielsa. (Foto Keystone)
Marcello Pelizzari
07.01.2019 15:01

«Va tutto bene». Gaetano Berardi non si scompone più di tanto. È al Leeds dal 2014. Un’eternità. Tre sconfitte filate (FA Cup compresa) danno fastidio. Ma c’è tempo per rimediare. Il ticinese lo sa. E poi la classifica della Championship, la B inglese, dà ancora ragione a Marcelo Bielsa: 51 punti dopo 26 giornate, primo posto in solitaria. «Questo è un torneo duro» prosegue il difensore, 30 anni. «Si gioca ogni tre giorni. Può capitare allora di perdere, anche contro formazioni di bassa classifica. È l’Inghilterra». Ezgjan Alioski segue «Tano» da mattina a sera. Come un’ombra. L’ex attaccante del Lugano è ad Elland Road dal luglio 2017. «Ma ho capito subito come funzionano le cose» racconta. «Siamo primi, ma è presto per parlare di Premier League. Gli ultimi risultati lo dimostrano. Non c’è niente di sicuro, anche se è bello volare con la fantasia o parlarne fra di noi».

C’è un po’ di Ticino nella grande storia di questo club, caduto in disgrazia ad inizio millennio ma desideroso di rialzarsi. A Berardi e Alioski chiediamo subito com’è Marcelo Bielsa, 63 anni, l’allenatore argentino (ma sarebbe meglio definirlo un guru) chiamato a riportare in alto i «Whites». «Come è arrivato mi ha cambiato ruolo» dice sorridendo Gaetano, cresciuto nel settore giovanile del Lugano ma affermatosi nel grande calcio con le maglie di Brescia e Sampdoria. Già, il «Loco» ha deciso di metterlo in mezzo alla difesa. «Mi ha detto: guarda, ti vedo più come centrale. È andata bene, ho imparato un nuovo modo di stare in campo. Peccato per gli infortuni. Il primo al ginocchio, l’altro al flessore. Ma ora sono tornato in gruppo e fra poche settimane sarò al 100 percento».

«Rispetto alla stagione passata la squadra non è cambiata granché, ma è tutto un altro mondo» gli fa eco Alioski, per gli amici semplicemente «Gianni». «Non è solo questione di risultati. Mi riferisco al metodo. Quello di Bielsa è stressante, ma alla lunga paga». Gli allenamenti sono durissimi. «La parte fisica è tosta. E poi non stiamo mai al campo per due o tre ore. Ci passiamo l’intera giornata, dalla colazione al mattino fino a sera. A volte il mister ci trattiene pure a cena». «Ma poi ci manda sempre a casa a dormire» chiarisce Berardi. «Non è vero che ci tiene in ostaggio come hanno detto alcuni».

L’ossessione di Bielsa per il lavoro, con le dovute sfumature, è la stessa di Zdenek Zeman. «La filosofia in effetti è simile» conferma Alioski. «Non saprei dire chi è più bravo dei due. Ma i punti di contatto ci sono. E questo perché, banalmente, entrambi vivono per il calcio e per il loro mestiere».

La parola torna a Berardi: «Ricordo bene l’intensità nel ritiro pre campionato. Per due settimane abbiamo fatto anche tre sedute al giorno. Ora siamo abituati. Più che altro, sono arrivate le partite e con quelle gli automatismi. Quando sei in campo, con un avversario di fronte, capisci cosa ti chiede l’allenatore». Ma è possibile avere un rapporto personale, diciamo così, con Bielsa? «Gianni» trova un altro parallelismo con il boemo, con cui lavorò a Cornaredo. «Il nostro mister è come Zeman. Parla poco e non cura i rapporti con i singoli giocatori. Ha cinque o sei assistenti che fanno da tramite. Può capitare che ti chiami direttamente lui nel suo ufficio, per parlare di tattica e via discorrendo. Ma in generale, quando parla è per fare analisi dell’avversario o per dirci come giocare. Con lui facciamo tantissime analisi video. Si vede che è fra i migliori al mondo».

Fra le caratteristiche del gioco di Bielsa c’è il pressing, attuato con una foga e un agonismo che non possono non piacere in Inghilterra. «Insiste molto sul recupero del pallone» spiega Berardi. «Vuole che la sua squadra riconquisti la sfera nel minor tempo possibile. Il tutto è davvero organizzato con precisione». Il possesso è l’altra arma del «Loco», il soprannome che l’allenatore argentino si trascina da anni oramai. Altri allenatori celebri, da Guardiola a Pochettino, hanno dimostrato che è possibile tenere palla anche lassù, dove il lancio lungo e la spizzata di testa erano gli unici riferimenti. «Se mi aspettavo che giocassimo così bene? Le premesse in effetti erano difficili» ammette Gaetano. «Ma come dico spesso, alla fine conta il lavoro. E l’intensità che vuole Bielsa è qualcosa di molto inglese. Il pubblico apprezza».

E la pressione? Come si gestisce? «Non è aumentata perché ora abbiamo Bielsa in panchina» chiarisce Berardi. «Semmai ce la mettiamo addosso noi. L’ambizione è quella di salire in Premier League, come ogni anno. Ma la strada è ancora lunga. Anzi, lunghissima. Ci vogliono più di dieci vittorie da qui alla fine. Sono tante, soprattutto considerando che ogni partita è difficilissima». «È presto, sì» conferma Alioski. «E le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Il Fulham, la scorsa stagione, era undicesimo al giro di boa. È stato promosso. Adesso siamo primi e siamo felici, ma non significa niente».

A suo tempo, il passaggio di «Gianni» al Leeds scatenò qualche polemica. Tanto rumore – si diceva – per una semplice B. «Rifarei mille volte questa scelta» precisa Alioski. «L’Inghilterra è un sogno per tutti. Ho avuto la possibilità di firmare qui, a Elland Road, dove sono pazzi per il calcio, e non ci ho pensato su due volte. C’è un’atmosfera incredibile, i nostri tifosi sono fra i migliori del Paese. Sono sempre con noi». Alla crescita di Ezgjan hanno contribuito tanto Bielsa quanto Berardi, una sorta di fratello maggiore. «Gaetano è sempre con me. Mi ha preso sotto la sua ala protettiva sin dal primo giorno. È il mio miglior amico assieme a Pontus Jansson. Avere dei compagni di spogliatoio così è un aiuto in più». Ma in cosa consiste l’aiuto di «Tano»? «Non mi fa da mangiare, anche perché al cibo ci pensa Bielsa» risponde divertito Alioski. «Se ci va bene, siamo a casa una sera la settimana» scherza Berardi. «Il tempo a nostra disposizione è poco» insiste l’ex Lugano. «Bielsa vuole che la squadra si ritrovi per fare colazione. Poi c’è il primo allenamento della giornata, seguito dal pranzo e dalla seduta pomeridiana. Se gli gira, ci tiene anche a cena. Cura ogni dettaglio, si occupa dell’alimentazione. Sì, lui è una specie di generale mentre noi siamo i suoi militari. Non possiamo sgarrare».

Se Bielsa è un monumento vivente, Berardi è un totem del Leeds. Per i tifosi è uno di loro. «Mi fa piacere l’affetto della gente» afferma. «Sono qui da parecchio tempo, quando scendo in campo do il massimo. E credo che il pubblico mi ami per quello: se vedono la maglia sudata e l’impegno, diventi automaticamente un loro idolo».

Il finale del racconto, inevitabilmente, ci porta lontano dall’Inghilterra. Quanto manca Lugano (e il Lugano) a «Gianni» e «Tano»? «Parliamo di un club e di una squadra che occupano una parte del mio cuore» conclude Alioski. «Chissà, un giorno potrei tornare. Mai dire mai. Ma è chiaro che se dovessimo conquistare la promozione in Premier League resterei qui (ride, ndr)». «Leeds non è bella come Lugano» aggiunge Berardi. «Però si sta bene. Tornare? Sarebbe bello. Un giorno vorrei indossare la maglia della squadra in cui sono cresciuto. Fra i professionisti non è ancora successo». Il tempo delle parole è finito: venerdì si gioca ancora.

QUANDO PEP VOLÒ IN ARGENTINA SOLO PER PARLARGLI

Guardiola e Pochettino lo considerano il migliore al mondo, mentre in città il tecnico sudamericano è diventato una divinità

Pochi mesi ancora. Poi il Leeds United festeggerà il centenario. Segnatevi la data: 17 ottobre. Il regalo più bello (e scontato) si chiama Premier League. Sarebbe incredibile centrare la promozione proprio quest’anno. Incredibile e bellissimo, perché permetterebbe al club di lasciarsi definitivamente alle spalle un lungo periodo di fallimenti. Sportivi e non.

Da quelle parti, nel West Yorkshire, quando devono descrivere un incubo usano un’espressione ad hoc: «doing a Leeds». Comprensibile, visto che dopo il titolo del 1992 (il terzo nella storia del club) sono arrivate soltanto delusioni. E considerando che la squadra non gioca una partita del massimo campionato dal 2004. Già, il Leeds è un brutto sogno che si ripete. Anno dopo anno. A Elland Road ne sono successe di tutti i colori. Barcollanti, manco fossero ubriachi, i «Whites» hanno vissuto delle stagioni disperate fra retrocessioni, disastri finanziari, amministrazione controllata e cessioni eccellenti. E parallelamente la città, come ha fatto notare Anthony Clavane sul «Guardian», «ha visto le sue fantasie sgretolarsi fino a diventare polvere». Per capirci, Leeds si era autoproclamata la Barcellona del nord. Suscitando ilarità fra gli abitanti.

Qualcosa è cambiato, evidentemente. E il merito va dato in gran parte all’argentino Marcelo Bielsa. «El Loco», il matto. Più che un allenatore una vera e propria leggenda vivente. Ha (ri)costruito la squadra a sua immagine e somiglianza, rivoltandola come un calzino. «E ha fatto tutto ciò rimanendo seduto su un secchio» ha spiegato ancora Clavane. Proprio così, l’ex tecnico di Argentina e Cile segue le partite nell’area antistante la panchina. Seduto su un secchio rovesciato. C’è del metodo nella sua apparente follia: la visuale da lì è migliore.

La città e più in generale l’Inghilterra hanno preso subito in simpatia il personaggio (e l’allenatore). Il suo calcio totale – chiamiamolo così, volendo semplificare – è apprezzato da pesi massimi quali Pep Guardiola e Mauricio Pochettino. Per il tecnico del Manchester City Bielsa è «il migliore al mondo». Non sono parole di circostanza: l’ex Barcellona e Bayern Monaco ai tempi volò fino a Buenos Aires e poi guidò per quasi 200 chilometri soltanto per parlare con il Maestro. Pochettino, che fu un giocatore di Bielsa al Newell’s Old Boys, invece ha rivelato un particolare curioso: «Quando ero ragazzo, venne a casa mia per ispezionare le mie gambe mentre dormivo».

Di aneddoti ce ne sarebbero a migliaia. Alcuni sono costruiti ad arte – i giocatori del Leeds non vengono tenuti a dormire al centro di allenamento, come è stato riferito da più fonti – ma altri sono verissimi. Al suo arrivo a Elland Road, ad esempio, ha ordinato all’intera squadra di raccogliere i rifiuti attorno al campo. Ai tempi dell’Athletic Bilbao, invece, a un giocatore venne posta la seguente domanda: Bielsa è pazzo? Risposta: «No, è pazzo da legare».

Per certi versi ricorda l’ex Lugano Zeman. Come il boemo, anche l’argentino è un maniaco del lavoro ed è ossessionato dalla condizione atletica. I tifosi seguono le sue conferenze stampa come allievi alle prese con un professore. Quanto al gioco, apprezzano tanto il possesso quanto l’aggressività (un misto di pressing asfissiante e rabbia tipicamente inglese) mostrata nel riconquistare il pallone. E pazienza se, FA Cup compresa, il Leeds è alla terza sconfitta consecutiva. Sugli spalti intonano il nome di Marcelo Bielsa sulle note di «Seven Nation Army» dei White Stripes, resa famosa dagli italiani ai Mondiali del 2006.

«El Loco» ha cambiato il mondo. Quantomeno quello del Leeds. Ha unito una città divisa e ancora alla ricerca di un ruolo post industriale (è allo stesso tempo centro legale e finanziario), in cui ricchezza e povertà si incontrano continuamente. Una città spaccata anche sulla famigerata Brexit (il 50,3% aveva votato per restare nell’Unione Europea) ma riscopertasi compatta alle spalle del mister. Un romantico del pallone che alla standardizzazione del prodotto calcio ha sempre risposto con un’arma non convenzionale: la bellezza del gioco.