La storia

Perché i calciatori israeliani indossavano una sola scarpa ai piedi?

Il capitano della nazionale che affronterà la Svizzera domani sera in Ungheria, Eli Dasa, ha spiegato il gesto: «È per onorare un bambino che è stato preso in ostaggio in un kibbutz»
© KEYSTONE / LAURENT GILLIERON
Red. Online
14.11.2023 18:30

Eli Dasa, il capitano della nazionale israeliana, non ha potuto né tantomeno voluto nascondere la sua emozione. A Felcsút, in Ungheria, nella pancia dello stadio, si è presentato davanti ai giornalisti – per la tradizionale conferenza stampa della vigilia – con una scarpa in mano. Domani, alle 20.45 assieme ai suoi compagni capitan Dasa affronterà la Svizzera nell'ambito delle qualificazioni a Euro 2024. La partita era stata rinviata a causa degli attacchi terroristici di Hamas e, di riflesso, della guerra scatenatasi fra Israele e l'organizzazione militante palestinese. Dasa, la voce rotta dall'emozione appunto, ha pronunciato poche, ma significative parole: «Nessuno può capire la storia di questa scarpa se non la spiego io» ha detto il giocatore, quasi in lacrime. «Appartiene a un bambino che è stato preso in ostaggio in un kibbutz. La sua casa è stata bruciata. Questo è tutto ciò che resta della sua casa. Lo stiamo aspettando».

«Questa scarpa è un simbolo» ha aggiunto l'allenatore, Alon Hazan. Il calcio è una cosa, insomma, la guerra è un'altra. Una faccenda molto più importante.

Detto della conferenza, quando è arrivato il momento della rifinitura – sul prato della Pancho-Arena – i giocatori della nazionale israeliana, tutti, si sono presentati con una sola scarpa ai piedi. Un modo per dimostrare vicinanza al ragazzo e, allargando il discorso, a tutti gli ostaggi israeliani a oggi detenuti nella Striscia di Gaza. Solo all'ultimo momento, prima di cominciare a sgambettare, i calciatori hanno indossato anche l'altra scarpa.

«Qualificarsi per l'Europeo sarebbe bello, ma la cosa più importante è liberare gli ostaggi e portare gioia al nostro Paese» ha ribadito il commissario tecnico quando gli è stato chiesto se pensava che Israele, attualmente terzo nel gruppo di qualificazione dietro Romania e Svizzera, avesse ancora una possibilità di partecipare alla fase finale del torneo, in Germania. La sconfitta per 1-0 in Kosovo, domenica, in questo senso è stata un brutto, bruttissimo affare. Israele, ora, dovrà assolutamente vincere contro la Svizzera, domani, per avere qualche speranza di qualificarsi direttamente. «Abbiamo perso in Kosovo» ha commentato Dasa. «Speravamo di portare gioia alla nostra gente, ma era solo una partita. Speriamo di ottenere un buon risultato mercoledì a questo punto».

Tra i 1.500 e i 2.000 tifosi israeliani saranno presenti mercoledì alla Pancho-Arena per sostenere la loro nazionale, compresi molti orfani invitati dalla Federazione. «Le emozioni sono alte in tutto il Paese e non possiamo metterle da parte» ha detto Hazan. «E non vogliamo farlo. Stiamo rappresentando il nostro Paese, non solo la squadra nazionale».

Il fatto che questa partita si svolga in Ungheria, un Paese in cui la religione ebraica vanta una lunga tradizione ed è fortemente rappresentata, non è un fatto trascurabile. «Siamo grati all'Ungheria per averci accolto» ha chiosato Alon Hazan. «Lo stadio è piccolo, è vero, ma sarà ideale per farci sentire a casa. L'Ungheria ha una forte storia con l'ebraismo, ma anche se ci fosse un solo ebreo nello stadio e dovessimo giocare una partita di calcio, ci sentiremmo a casa».

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