Il personaggio

Piccolo, grande «Lord» Nicklas Bendtner

Il danese è tornato a casa, a Copenhagen, dopo una vita logorante e spericolata: dalle promesse mai mantenute all’Arsenal alla rinascita in Norvegia, passando per le sbronze e le risse – Ripercorriamo la carriera di un attaccante atipico in cui talento ed eccesso hanno cercato la convivenza
Nicklas Bendtner durante un allenamento con il Copenhagen. ©EPA/Niels Christian Vilmann
Marcello Pelizzari
18.09.2019 21:51

Ha provato tutte le ebbrezze. Come i poeti maledetti o gli attori hollywoodiani. «Ho speso gran parte dei miei soldi per alcol, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato». La frase fu pronunciata da George Best. Ma appartiene anche a lui, Nicklas Bendtner da Copenhagen. Gloria, amori, miseria sportiva, sbandate e rinascite improvvise. Ne ha viste e vissute tante, l’Ibrahimovic danese. Sì, Zlatan. Prima che gli dessero del fallito, dell’arrogante, dello sciupafemmine, prima che il calcio lo archiviasse come l’ennesimo bad boy incapace di equilibrio e continuità, prima dei saliscendi, insomma, Bendtner era quella roba lì: una versione oltreconfine di Ibra. Merito del fisico, innanzitutto. Un metro e novantaquattro centimetri di altezza. Muscoli, tatuaggi, strafottenza.

La promessa mai mantenuta

Ci ha provato e ci prova, Nicklas. Ad essere un giocatore vero e non una serie di etichette e soprannomi. I tifosi dell’Arsenal lo rimpiangono ancora oggi. Lo consideravano la «next big thing». La prossima grande cosa. Ma cos’era e cos’è Bendtner – avversario del Lugano in Europa League – ci sfugge. Un attaccante atipico. Dallo stile indefinito. Uomo dai colpi isolati, fra i pochi a saper attaccare davvero la profondità e a smarcarsi in area. Un trascinatore. L’altro Nicklas, invece, è un egoista. Sbaglia tanto. Troppo. In campo sfiora il grottesco. Fuori, se possibile, è peggio fra sbronze moleste, botte, vizi da star consumata. In lui convivono, a fatica, il talento e l’eccesso. La capacità di abbagliare con un gol e quella di conquistare il popolo della notte. Così, la risposta danese a Ibrahimovic si è ritrovata a gestire un culto forse inaspettato. C’è chi lo ama per quello che è, una promessa imprigionata nel corpo di un fisico minaccioso. E chi per il mito che si è costruito, in particolare su Instagram dove sfoggia il suo ego.

La caduta di Nottingham

Bendtner ha vissuto una vita logorante. Eppure, ha soltanto 31 anni. Lo spaccone è caduto. Tante volte. Ad un certo punto, ha raccontato, temeva di non riuscire a rialzarsi. Gli davano del fallito, appunto. Ogni santo giorno. L’idea di chiudere con il calcio prima del previsto gli era balenata a Nottingham, dopo un contratto rescisso a marzo e la miseria di 17 presenze e 2 gol nella Championship. Era diventato uno spettro. Si aggirava per l’Europa alla ricerca di un nuovo inizio. Ma chi l’avrebbe più preso uno così? C’era stato il tempo delle possibilità, a Londra. Poi i prestiti al Birmingham, al Sunderland, perfino alla Juventus dove si fece notare soltanto alla premiazione per lo scudetto. Il Wolfsburg. Dopo Nottingham, però, sembrava davvero finita.

La prigione norvegese

All’improvviso è successo qualcosa. Prima di tornare a casa, a Copenhagen. O, meglio, dopo aver lasciato il Forest. C’è chi ha avanzato un paragone con «Il Trono di Spade». Bendtner su a Nord, in Norvegia, a espiare i propri peccati. Oltre la barriera, nella speranza un giorno di tornare e riprendersi lo scettro. Anche per rispettare un altro soprannome, Lord. La rinascita di Nicklas è avvenuta a Trondheim, al Rosenborg. Un suo gol d’esterno è perfino stata paragonato ad un’opera d’arte di Edvard Munch. Lassù, fra i fiordi, il ragazzone problematico troppo spesso vittima del suo personaggio e abbonato all’errore ha trovato il tassello mancante: l’equilibrio. Come per incanto, ha trovato di nuovo anche la maglia della nazionale danese. «Ho sempre avuto un’enorme voglia – disse ai tempi – ma forse non la giusta prospettiva». Bendtner è stato salutato dai suoi nuovi tifosi con un’ovazione. Le magliette del Copenhagen con il suo nome e il suo numero sono andate a ruba. Prospettiva, già.

L’ebbrezza di ricascarci

Tutto bene, dunque? Sì e no. L’equilibrio, dicevamo. Nicklas l’ha ritrovato, d’accordo. Ma a corrente alternata. La luce si è spenta ancora. Poco più di un anno fa ha aggredito un tassista proprio a Copenhagen, rompendogli la mascella. Avevano litigato. Si è beccato 50 giorni di prigione, tramutati poi in banali arresti domiciliari. Bracciale elettronico alla caviglia, foto su Instagram e avanti come se non fosse successo nulla. Bendtner ha provato tutte le ebbrezze. Ne proverà ancora, in campo e fuori.