Platini-Blatter, l’ultimo scontro: e il calcio mondiale ora trema

C’erano una volta i due uomini più potenti del calcio mondiale. Prima amici e sodali. Poi vicini di banco, diffidenti e circospetti. Infine, rivali. O, peggio, nemici. Impegnati in una guerra senza quartiere per governare il rutilante e ricchissimo mondo del pallone. E accomunati, alla fine, da un destino apparentemente beffardo: la sospensione da ogni incarico decretatata senza appello da un comitato etico.
L’ex presidente della FIFA, lo svizzero Sepp Blatter, e l’ex presidente della UEFA, il francese Michel Platini, compaiono oggi di fronte al Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona per rispondere di imputazioni molto pesanti: «truffa, eventualmente appropriazione indebita, subordinatamente amministrazione infedele, nonché falsità in documenti». Reati per i quali sono previste pesanti multe e pene fino a cinque anni di carcere.
Nel «Caso SK.2021.48», si legge sul sito del TPF, «Joseph Sepp Blatter e Michel François Platini sono accusati di avere ottenuto illegalmente, a danno della FIFA e a favore di Platini, un pagamento di 2 milioni di franchi e contributi assicurativi per 229. 126 franchi. A tal fine, nel 2011, Platini avrebbe, tra le altre cose, presentato alla FIFA una fattura presumibilmente fittizia per una (asserita) pretesa ancora esistente per la sua attività di consulenza in favore della FIFA negli anni dal 1998 al 2002. Dopo la firma di tale fattura e la conferma dell’esistenza del credito da parte di Blatter, la FIFA avrebbe saldato la relativa pretesa (inclusi i contributi alle assicurazioni sociali) in favore di Platini». Blatter, 86 anni, dovrebbe essere sentito già oggi in apertura del processo. L’interrogatorio di Platini, 66 anni, è invece previsto per domani. La Corte, composta da tre giudici togati, ha fissato un calendario di 11 udienze, fino al 22 giugno. La sentenza sarà pronunciata l’8 luglio.
Un giallo internazionale
La vicenda che ha portato Blatter e Platini davanti a un Tribunale federale è una sorta di giallo internazionale, i cui colpi di scena, come vedremo, si sono ripetuti in continuazione, fino a poche ore prima dell’apertura del dibattimento. Un brutto copione, secondo l’ex capitano dei Bleus, che ha sempre gridato al «complotto» ordito a suo danno per sbarrargli la strada della presidenza della FIFA nel 2016.
Al centro del caso, come detto, c’è il pagamento di due milioni di franchi a Platini per servizi di consulenza. Un pagamento autorizzato da Blatter nel gennaio 2011 «senza una base giuridica». Questa, almeno, è la tesi della Procura federale elvetica, la quale contesta la validità dell’accordo verbale stipulato dai due imputati nel 1998 (la legge svizzera prevede difatti un termine di cinque anni per tali pagamenti). «Attendo con fiducia il procedimento al Tribunale penale federale, spero che questa storia finisca presto e che tutti i fatti emergano in modo chiaro», ha dichiarato Blatter nei giorni scorsi.
Dal canto suo, invece, Platini, tre volte vincitore del Pallone d’Oro, non ha mai smesso di contestare accuse ritenute «infondate e ingiuste». Fino ad arrivare, nel 2019, a ricostruire l’intera storia in un libro. scritto a quattro mani con il giornalista Jérôme Jessel (Il re a nudo, pubblicato in italiano da Baldini & Castoldi).
Racconta Platini: «Nel novembre del 1998 vengo nominato ufficialmente delegato allo Sviluppo e allo Sport della FIFA. […] Mi occupo di alcuni dossier spinosi, la riforma dei calendari internazionali e il progetto “Goal” che aiuta i Paesi più poveri. Nell’agosto del 1999, non avendo più notizie del mio contratto, chiedo un incontro con Blatter: “Sepp, hai problemi con il mio contratto?”. “Sì, non posso più pagarti un milione perché c’è stata una riduzione degli stipendi, una griglia salariale ci impone altri pagamenti. Tu devi capire: il mio braccio destro, il segretario generale, guadagna trecentomila franchi svizzeri all’anno. Dunque, dobbiamo allinearci a questa cifra. Tu non puoi guadagnare tre volte quanto guadagna lui. Ti pago 300 mila franchi e poi ti salderò il conto al milione, ma più tardi”. Ci stringiamo la mano, è un contratto orale che ha valore legale in Svizzera. Torno a occuparmi d’altro, mi fido di lui, gli credo sulla parola e presumo che onorerà l’impegno».
Il complotto
«Le accuse non reggono né di fatto né di diritto», ha detto l’altroieri a Le Monde Vincent Solari, uno dei due avvocati di Michel Platini (l’altro è Dominic Nellen). «Sarà invece necessario spiegare perché il tema di questo debito ha impiegato anni per tornare a galla», e sia riemerso quando l’ex campione juventino si apprestava a correre per la presidenza della FIFA. È la tesi del complotto, che Solari e Nellen vorrebbero dimostrare nei prossimi giorni proprio davanti al Tribunale penale federale, chiamando in causa nientemeno che Gianni Infantino.
Secondo i legali di Platini, infatti, l’attuale presidente della FIFA (e segretario generale di Platini alla UEFA tra il 2009 e il 2016) avrebbe sfruttato l’apertura dell’indagine penale da parte del Pubblico ministero della Confederazione, nel settembre 2015, per presentare la sua candidatura e conquistare così il trono del calcio mondiale.
Solari e Nellen tenteranno di dimostrare come Gianni Infantino sapesse mesi prima dell’apertura ufficiale dell’indagine sul pagamento a Platini dei 2 milioni di franchi. Tanto è vero che, dal luglio 2020, contro lo stesso presidente della FIFA è aperto un procedimento penale in Svizzera per «istigazione all’abuso di autorità, violazione del segreto d’ufficio e intralcio al procedimento penale». Un’indagine che lunedì, secondo quanto rivelato dal Tages Anzeiger, è stata estesa ad altre due persone: l’ex direttore legale della FIFA, Marco Villiger, e l’ex pm Olivier Thormann, lo stesso che nel 2015 aveva avviato l’inchiesta penale contro Blatter e Platini (e che è stato comunque chiamato a testimoniare).
«Questa teoria del complotto è un’invenzione della difesa, il cui unico scopo è fungere da controfuoco mediatico alle gravi accuse che sono al centro del processo», ha però dichiarato ieri a Le Monde Catherine Hohl-Chirazi, avvocato della FIFA e parte civile nel procedimento.
Ma la guerra tra FIFA e UEFA non è finita
Nicola Sbetti: «Una maggiore trasparenza è necessaria quando si gestisce così tanto denaro»
«Questo processo è importante da molti punti di vista e, in particolare, perché serve a ribadire come le istituzioni sportive non siano e non debbano essere intoccabili. Il mantra dello sport inviolabile e autonomo ha prodotto scandali e molti danni, ad esempio una serie di episodi corruzione dai quali le stesse istituzioni sportive sono uscite in modo diverso». Nicola Sbetti, docente di Storia dello sport all’Università di Bologna, si occupa da anni del rapporto tra politica e calcio, tema al quale ha dedicato alcune monografie (l’ultima, scritta in collaborazione con Riccardo Brizzi e pubblicata da Le Monnier nel 2018, si intitola Storia della Coppa del mondo di calcio (1930-2018). Politica, sport, globalizzazione).
Guardando al dibattimento che si apre oggi a Bellinzona, Sbetti dà una doppia lettura della vicenda che ha per protagonisti gli ex padroni del calcio mondiale. «Quanto accaduto - dice al Corriere del Ticino - è figlio di due dinamiche molto diverse tra loro. La prima è la tensione tra Blatter e Platini, scatenata dalla decisione dell’allora presidente della FIFA di ricandidarsi per un quinto mandato nonostante la precedente promessa fatta al francese di lasciargli il posto. La seconda è invece il ruolo giocato da Stati Uniti e Regno Unito all’indomani dell’assegnazione dei Mondiali 2018 e 2022 rispettivamente a Russia e Qatar».
Vecchi e nuovi alleati
Pur senza cedere a forzature di tipo politico, dice ancora Sbetti, «è chiaro che Londra e Washington avevano tutto l’interesse a far emergere situazioni non limpide legate alle scelte sui Mondiali, anche per riaffermare la propria immagine “pulita” e non corrotta all’interno del mondo calcistico. La stessa elezione di Gianni Infantino fu sponsorizzata dagli USA, contro il blocco arabo, per gli stessi motivi». La situazione, nel tempo, è però cambiata. Si è, di fatto, “normalizzata”.
«La vittoria di Gianni Infantino, in un primo momento, è sembrata a tutti una vittoria dell’UEFA e dell’Europa, qualcosa che scardinava l’asse di ferro tra Asia, Africa e America che, sino a quel momento, aveva controllato il calcio mondiale. Tuttavia - spiega ancora Sbetti - a lungo andare, e pur provenendo dalla UEFA, Infantino ha seguito i passi dei suoi predecessori, dimostrando come quasi sempre le istituzioni siano più forti degli uomini che le governano. Oggi, c’è una guerra dichiarata ed evidente tra Infantino e Aleksander Čeferin, l’avvocato sloveno a capo del calcio europeo». UEFA e FIFA sono naturalmente «antagoniste», dice lo storico dell’Università di Bologna, «il calcio è uno sport globale per eccellenza, ma il suo cuore continua a battere soprattutto in Europa, come dimostrano anche gli ultimi, recentissimi e massicci investimenti americani e arabi. Questo perché la vera gallina dalle uova d’oro è la Champions, competizione annuale che garantisce enormi guadagni. Non a caso la FIFA, contro il parere della UEFA, vorrebbe il Mondiale ogni due anni. E non a caso, nella altre Confederazioni, la stessa FIFA sta lavorando a superleghe simili a quella naufragata l’anno scorso in Europa. Pochi lo hanno notato, ma Infantino è stato l’ultimo a criticare il progetto della superlega europea, e lo ha fatto quando ormai il disegno era pressoché fallito». Per questo, conclude Sbetti, «ben venga il processo di Bellinzona. Aiuterà a pretendere maggiore trasparenza dai colossi del calcio, i quali gestiscono una massa di denaro enorme e sempre crescente».