Calcio

Quando il Generale passò da Lugano

Kazimierz Deyna è stato forse il miglior calciatore polacco di tutti i tempi, di sicuro il più importante del Legia Varsavia - Esteta con il vizio del gol e dell’alcol, ufficiale e pure attore nel film «Fuga per la vittoria», nell’autunno del 1971 fece tappa a Cornaredo - Poi la consacrazione
La statua dedicata a Kazimierz Deyna, all’esterno del Marshall Józef Pilsudski’s Municipal Stadium di Varsavia. ©Shutterstock
Massimo Solari
12.12.2024 06:00

Al momento di presentare la formazione del Legia Varsavia, questa sera, il numero 10 non s’insinuerà nella voce dello speaker e sui tabelloni del Marshall Józef Pilsudski’s Municipal Stadium. Semplicemente perché quella maglia è stata ritirata tanti anni fa. È appartenuta forse al miglior calciatore polacco di tutti i tempi. Di sicuro, al giocatore più importante nella storia del club della capitale. La sua statua in bronzo si trova proprio all’esterno dell’impianto, rivolta a nord-est, a pochi metri dalla Lazienkovska. E i tifosi che fra poche ore assisteranno al match contro il Lugano non mancheranno di accarezzarla, magari abbassando la testa, in segno di ammirazione e rispetto per il monumento Kazimierz Deyna.

Sono trascorsi 35 anni dal violento schianto che se lo portò via a San Diego. Era da poco il 1. settembre del 1989 e due giorni più tardi lo stesso, tragico destino, avrebbe colpito Gaetano Scirea. Di nuovo la Polonia, terra tormentata e però culla di grandi campioni del pallone. Deyna, dicevamo, è stato uno di loro. Icona dentro e fuori dal campo, fantasista ancor prima che il ruolo venisse plasmato, protagonista – a suon di reti e grazia – della generazione d’oro che negli anni Settanta trascinò la nazionale a un passo dall’inaudito.

Per l’Esercito odio e gratitudine

Deyna, come molti altri nel secondo dopoguerra, giunse a Varsavia per volere dell’Esercito popolare. E controvoglia, perché all’obbligo di leva tentò di sottrarsi in tutti modi. Nascondendosi e infrangendo le regole del Paese che poi lo avrebbe idolatrato. Trasformandolo da tenente, per i servizi resi alla Nazione, a Generale, per la dimensione e il valore delle sue prestazioni sul rettangolo verde. Nato nel 1947 in Pomerania e cresciuto calcisticamente nelle giovanili dello Starogard Gdanski, Deyna non impiegò molto a far parlare del suo talento precoce. Un’ascesa verticale, che oltre alle prime convocazioni con le selezioni polacche giovanili, lo proiettò nel massimo campionato a soli 19 anni, con la casacca del LKS. Era l’ottobre del 1966 e un mese più tardi Deyna si sarebbe trovato già nella capitale, pronto per l’esordio con il Legia, emanazione calcistica delle forze armate tanto vituperate quanto provvidenziali per la genesi della sua immensa carriera. Allora solo Kasiu, promessa e fine stratega. Non ancora leggenda.

Giocatore e squadra avrebbero comunque impiegato pochi anni per guadagnarsi rispetto e attenzione oltre la cortina di ferro. Nella stagione 1968-69 ecco il primo titolo nazionale e un bottino personale di 19 reti. Ma fu soprattutto il 1970 a spingere il Legia su, su, quasi sul tetto d’Europa. Solo il Feyenoord riuscì a interrompere i sogni di Deyna e compagni, nella semifinale della Coppa dei Campioni. Poco male. Ad attendere il metronomo del Legia – basette lunghe e capelli da beatle - sarebbe stato un decennio folle. Con tanto di tappa a Cornaredo.

Incensato da Pelè

Il 1971, in effetti, fece rima con Coppa UEFA e per il Lugano, e per il Legia Varsavia. Le due formazioni si incrociarono all’alba della competizione, allo stadio dei trentaduesimi di finale. Era settembre e il match d’andata, disputato in Ticino, certificò la superiorità dei polacchi. Un 3-1 al quale Deyna contribuì discretamente, così come accadde in occasione dello 0-0 maturato due settimane più tardi a Varsavia. La consacrazione, quella definitiva, avrebbe piantato le prime, solide radici proprio al termine della stagione. Con 9 gol in 7 partite (e la doppietta decisiva nell’atto conclusivo), il 25.enne Deyna regalò alla Polonia l’oro olimpico, massimo trofeo sin qui conquistato dalla nazionale. Ma i Giochi non possono naturalmente competere con la Coppa del Mondo e allora fu necessario illuminare di nuovo la Germania Ovest, questa volta nel 1974, anno dell’apoteosi del Generale. Eliminata l’Italia in avvio, la Polonia impreziosì quell’edizione col bronzo, terza, sì, con tanto di finalina vinta ai danni del Brasile. Non solo. Pelè incoronò Deyna miglior giocatore del torneo, premessa degna per il gradino più basso del podio nella classifica del Pallone d’oro, alle spalle di Cruijff e Beckenbauer.

Il Best polacco

E dire che, in quanto ufficiale dell’esercito, Deyna non avrebbe nemmeno potuto esibirsi in un Paese membro della NATO. La stessa ragione che gli impedì di cedere alle lusinghe di Milan, Real Madrid e Bayern Monaco. Perlomeno sino ai 30 anni, limite imposto dal Governo polacco per qualsivoglia trasferimento all’estero. A bussare alla porta del genio del Legia, nel 1978, ci pensò dunque il Manchester City. Una trattativa tortuosa, sul piatto 100.000 sterline e addirittura mobili e tute Adidas, prima dell’arrivederci dall’amata Varsavia. Invero un addio in vita. Nella capitale polacca Kasiu aveva potuto esaudire ogni desiderio, e non solo sportivo. Ma l’Inghilterra avrebbe strattonato finanche con più forza il vizio dell’alcol, irresistibile per il Best polacco. L’esperienza, non a caso, si rivelò negativa, a causa della fatal distrazione e di un gioco fatto di troppi lanci lunghi e tackle per le delicate maniere di Kazimierz. Celebre, tra l’altro, fu una sua dichiarazione poco dopo essere sbarcato a Manchester. «Non ho bisogno che Malcolm Allison (l’allenatore della squadra, ndr.) mi sostenga dicendo che sono un grande giocatore. Che sono un grande giocatore me lo ha già detto Pelè».

Curioso. Non sarebbe stata l’ultima volta che il nome di Deyna e quello di O Rei si sarebbero incrociati. Archiviata la parentesi inglese, il tramonto calcistico di Kasiu – non solo quello purtroppo – venne disegnato negli Stati Uniti, sponda San Diego e North American Soccer League. Più denaro e spettacolo che calcio. E sempre con l’inseparabile bicchiere a offuscare una lucida uscita di scena. Nel 1981 arrivò pure il cinema, con una parte in Fuga per la vittoria, la famosa pellicola di John Huston che ha messo in scena una partita tra prigionieri alleati e soldati tedeschi. Deyna venne inserito in un cast stellare, per l’appunto insieme a Pelé e – tra gli altri - Bobby Moore, Sylvester Stallone, nelle improbabili vesti di portiere, e Michael Caine. Il sipario sarebbe calato brutalmente otto anni dopo, sulle strade della California. Dal 2012, dopo essere state rimpatriate, le ceneri di Kazimierz Deyna sono sepolte al Powazki, il cimitero militare di Varsavia. La sua maglia numero 10, invece, può essere indossata solo in cielo.

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